A dicembre è stato firmato, tra Federmanager e Confservizi, il rinnovo del contratto nazionale collettivo dei dirigenti. Mario Cardoni, direttore generale Federmanager, ne racconta le principali innovazioni, commentando anche le recenti novità in tema di pensioni e decreto Ilva.
Che significato ha avuto la firma del rinnovo, alla luce della disdetta del contratto da parte di Confservizi?
Quel che ha fatto Confservizi, lo fece l’anno precedente Confidustria. Quindi la disdetta in sé non è stata né una novità né un fatto imprevedibile. Il gesto, però, la dice lunga sulla posta in gioco delle trattative: il processo evolutivo di quelle aziende ex municipalizzate e ora a grande vocazione industriale, aziende, cioè, che hanno da tempo abbandonato il profilo pubblico. Perciò una delle principali conquiste di questo rinnovo sta nell’aver semplificato il quadro normativo, snellendo i riferimenti agli aspetti pubblicistici delle aziende. Al tempo stesso, comunque, abbiamo salvaguardato alcune specificità, in particolare il riconoscimento per tutti i dirigenti della retribuzione variabile.
Me ne può parlare meglio?
In pratica, nella gestione di un’azienda a vocazione industriale, una volta che la parte fissa viene definita tramite Trattamento minimo complessivo garanzia (Tmcg), non c’è più un adeguamento salariale su parametri generali come, ad esempio, quello inflattivo. Ecco quindi che la partita si gioca tutta in azienda. Per questo abbiamo delineato specifici criteri di definizione delle modalità di riconoscimento della parte variabile del salario, con tanto di formalizzazione in forma scritta e verifica da parte dell’azienda.
Quali sono le principali novità introdotte nel contratto?
Un primo punto riguarda il tema della formazione, sempre molto trattato a livello teorico, ma meno su quello pratico. Con il contratto abbiamo cercato il modo di responsabilizzare le aziende, demandando ad appositi accordi tra azienda e rappresentanza manageriale la previsione di momenti di confronto sulla formazione dei lavoratori. In secondo luogo vi è il tema degli strumenti a difesa di quei dirigenti che si ritrovano ad uscire dall’azienda senza avere gli specifici requisiti pensionistici. In questo caso stiamo verificando la possibilità di inserire nei precedenti accordi, o di costituire una soluzione ad hoc, per delineare strumenti di tutela sanitaria e un sistema di politiche attive; strumenti che saranno operativi a partire dal prossimo mese di marzo.
Passando alle relazioni tra Federmanager e Confapi, vorrei approfondire i due principali temi al centro dell’incontro dello scorso 25 gennaio: l’inclusione nel ccnl delle figure consulenziali e il progetto di una nuova Agenzia del Lavoro.
Con Confapi abbiamo rivisto il nostro sistema di relazioni industriali, abbandonando i vecchi metodi e cercando di concentrarci sulle esigenze concrete delle piccole e medie imprese. Il nostro rapporto con Confapi si basa sulla comune convinzione che il tessuto della piccola e media imprenditoria necessiti dell’inserimento di competenze manageriali e, in particolare, di competenze esterne alla “famiglia”. Siamo infatti convinti che per ridare nuovo slancio al paese si debba passare per l’evoluzione, in senso manageriale, delle pmi. La nuova Agenzia del Lavoro è stata pensata proprio in funzione di questo scopo: un’entità bilaterale gestita, in maniera collaborativa, da Confapi, che si occuperà della domanda, e da Federmanager, che si occuperà dell’offerta, in modo da creare il terreno per un reale inserimento delle figure manageriali nelle pmi. Eppure la figura del dirigente strutturato non è sempre compatibile con quel mondo; per questo avevamo già innovato il quadro normativo attraverso la “sezione 2” dedicati ai “quadri superiori”, ossia manager a misura delle pmi, il che significa soprattutto compatibilità in termini di costi. Ora puntiamo ad andare oltre, cioè ad includere nel contratto anche la figura dei consulenti, figure di alto livello per le quali ancora non è prevista una norma che ne disciplini il rapporto di lavoro aziendale.
Cosa ne pensa della sentenza del Tribunale di Palermo rispetto alla legge sulla perequazione automatica delle pensioni?
Questa sentenza è stata ampiamente sostenuta e promossa da noi di Federmanager in ambito confederale, giacché riguarda non solo i lavoratori dirigenti dell’industria ma anche degli altri comparti. Avevamo chiaro che il legislatore, con la legge 109, non avesse interpretato adeguatamente la sentenza della Corte costituzionale sulla sostanziale incostituzionalità della legge Fornero. Siamo perciò fiduciosi del fatto che la Corte continui a dimostrare la sensibilità già espressa in merito alla questione pensionistica, e auspichiamo che il governo si limiti ad applicare ciò che la Corte sentenzierà.
Qual è il suo giudizio in merito alla gestione, da parte del governo, delle pensioni?
Noi di Federmanager abbiamo a cuore e conosciamo bene i problemi del paese, e crediamo sia inutile continuare a insistere su “soluzioni tampone” che non portano a reali benefici; i problemi sono di carattere strutturale e necessitano di interventi ben più grandi. Un problema reale di questo paese, ad esempio, è che il sistema di welfare è sostenuto dai soliti contribuenti. Per questo ritengo sia inopportuno operare un confronto tra “pensionati veri” e quanti ricevono un importo pensionistico maggiore rispetto ai contributi versati, ossia pensioni che non sono realmente tali, ma finanziate comunque dall’Inps. Queste sono le cose che l’opinione pubblica dovrebbe sapere e di cui si parla poco o per nulla.
In chiusura, un commento sul via libera definitivo al decreto Ilva?
Si è perso molto tempo sull’Ilva, con conseguenze che, è evidente, si sono ripercosse soprattutto sui volumi di produzione. Il nostro allert lo abbiamo lanciato in tempi non sospetti, quando, in seguito all’entrata in scena nel panorama siderurgico mondiale del colosso cinese, ci siamo augurati che la chiusura dell’Ilva non fosse vista come parte della soluzione al problema del surplus di offerta. Pensiamo, però, che la situazione si possa ancora recuperare. È chiaro che il governo voglia fare la sua parte, ma dovrebbe farla promuovendo un progetto che sia realmente innovativo: un progetto non solo per rilanciare l’Ilva, ma per farla tornare ad occupare il posto che le era proprio: quello dell’eccellenza. Una soluzione innovativa come potrebbe essere quella di un piano industriale che guardi in senso più ampio al settore siderurgico, e con nuove linee produttive che tengano conto anche di ciò che fanno le altre aziende del settore. Per questo chiediamo al governo di agire in maniera innovativa, in modo creare una prospettiva di futuro reale per l’Ilva e per il mercato dell’acciaio.
Fabiana Palombo