La formazione è decisiva per la ripresa che mostra segnali sempre più confortanti. Eppure in Italia le risorse, già inferiori a quelle investite dai principali competitor, sono sempre meno. Nel 2016 inizierà il prelievo strutturale di 120 milioni di euro annui sui Fondi interprofessionali, previsto dalla legge di stabilità 2014. Il vicepresidente di Fondimpresa, Paolo Carcassi, lancia l’allarme: è un’operazione miope.
Carcassi, qual è il suo giudizio in merito ai cambiamenti introdotti dalla legge di Stabilità 2014 rispetto ai Fondi interprofessionali e alle risorse loro destinate?
Si tratta di uno dei provvedimenti senza dubbio più miopi, per le conseguenze su economia e occupazione. E’ un’azione che tende a mortificare un fenomeno di successo, dato che le adesioni delle aziende sono costantemente aumentate e che proprio grazie ai Fondi, lo dice una fonte autorevole come l’Isfol, in questi anni, nonostante la crisi, sono stati formati sempre più lavoratori, abbassando i costi eppure rendendo la formazione più funzionale al lavoro. In alcuni casi, l’intervento formativo ha riqualificato lavoratori di aziende in crisi. In altre parole, i Fondi rappresentano una delle poche politiche attive realmente funzionanti in questo Paese.
Dove andranno a finire i 120 milioni annui di questi tagli strutturali e come inciderà sul vostro operato?
A differenza dei precedenti tagli, di natura straordinaria e destinati al finanziamento degli ammortizzatori sociali, questi sono genericamente destinati al Bilancio dello Stato. In sostanza, sebbene la legge secondo la quale lo 0,30 per cento del monte salari debba essere destinato alla “formazione” dei lavoratori rimanga invariata, i soldi saranno destinati a un uso diverso. 120 milioni l’anno – per noi di Fondimpresa, che rappresentiamo più del 50% del totale dei fondi, significa 60 milioni l’anno in meno – sono una cifra consistente che, purtroppo, finirà per incidere negativamente sulla formazione dei lavoratori. Proprio ora che invece, con i segnali positivi dell’economia, ce n’è particolarmente bisogno per inserire nelle aziende quelle competenze in più che possono fare la differenza tra una ripresa a pieni giri e una ripresa a marcia ridotta. Tra un recupero considerevole dei posti di lavoro persi e un recupero, per così dire, a traino della congiuntura.
Rispetto alle esperienze degli altri paesi europei, qual è la situazione della formazione continua in Italia?
Se confrontati con quelli degli altri paesi dell’Unione, i dati sulla formazione in Italia non sono certamente tra i migliori, anche se proprio con i Fondi interprofessionali, è sempre l’Isfol a dirlo, si è in parte recuperato il gap: tra 2007 e 2011 gli addetti che hanno partecipato ad attività promosse dal proprio datore di lavoro in Europa sono aumentati dal 22,1% al 27,5% mentre in Italia sono più che raddoppiati, passando dal 9,5% al 20,8%.Purtroppo il gap dipende anche dalla quantità di risorse a disposizione: basti dire che in Francia la percentuale destinata ai Fondi interprofessionali è l’1,60%. Di fatto, con il prelievo che partirà nel 2016 il nostro 0,30, già 5 volte inferiore, si abbasserà al 0,24-25%. Eppure i risultati dei Fondi, e in particolare quelli di Fondimpresa, non solo sono ottimi ma ottenuti a basso costo: il 96% delle risorse del nostro Fondo viene investito in formazione, i costi di gestione arrivano appena al 4%.
Dal suo osservatorio si è fatto un’idea di quali siano le professionalità più ricercate dalle aziende, che non incontrano lavoratori formati in quei settori?
Per rispondere a questa domanda c’è da dire che il tasso di cambiamento del sistema produttivo odierno è altissimo: la vita media di un prodotto si è ridotta, mediamente, da 15 a 3 anni, e lo stesso sistema produttivo si è abbondantemente diversificato. Di questo passo, quindi, gli occupati, da un lato, dovranno restare a lavoro più a lungo, per le nuove regole pensionistiche, mentre, dall’altro, le loro competenze rischiano di diventare rapidamente obsolete. L’azione dei Fondi interprofessionali ha aiutato le aziende a comprendere meglio i propri fabbisogni formativi e quindi a aggiornare le competenze dei lavoratori quasi di pari passo con l‘evoluzione dei prodotti e dei processi. Le aziende medio-grandi, in particolare, hanno nel Conto Formazione uno strumento che le responsabilizza, consentendo di presentare direttamente progetti sulla formazione dei propri dipendenti utilizzando le proprie risorse accantonate dello 0,30, mentre le Pmi hanno bisogno di progetti formativi costruiti con l’apporto di professionalità esterne e, tramite gli Avvisi del Conto di Sistema, sono riuscite ad aumentare la formazione. Tanti lavoratori di questa dimensione di impresa non avrebbero, senza i Fondi interprofessionali, l’opportunità di aggiornarsi e riqualificarsi.
In questo senso si può leggere la vostra ultima iniziativa sulla competitività?
Proprio così. Pensando allo scarto tra lavoratori che rischiano di non essere più utili e i tanti imprenditori che non trovano le competenze di cui hanno bisogno, Fondimpresa ha promosso un bando per lo stanziamento di 72 milioni di euro alle imprese che decidono di attivarsi nella formazione relativa a settori come l’innovazione organizzativa, la digitalizzazione dei processi aziendali, il commercio elettronico e l’internazionalizzazione, individuati come i fattori che daranno maggiore impulso allo sviluppo e, quindi, alla creazione di nuovi posti di lavoro.
Quale futuro prevede per la formazione nel nostro paese?
Penso che la sfida dei Fondi si giocherà sempre più sui criteri di qualità e trasparenza, da sempre punti caratterizzanti dell’attività di Fondimpresa, che di recente si è dotata di un sistema di qualificazione degli enti di formazione anche più stringente e selettivo rispetto a quello regionale. I Fondi hanno rischiato, con i decreti attuativi del Jobs Act, di vedere ridotte le proprie autonomie gestionali, che sono state salvaguardate grazie alla iniziativa congiunta di tutte le Parti sociali, mentre uno dei fattori di successo è proprio l’autonomia di gestione e la vicinanza all’economia reale. C’è bisogno di stabilità sul piano delle risorse e su quello dei ruoli. E’ indispensabile, in questo senso, rielaborare la regolamentazione che sovraintende ai Fondi per assicurare rapidità, flessibilità ed efficacia, sempre in un quadro di trasparenza nella gestione. Rispettando questi criteri credo che i Fondi possano fare moltissimo, anche parallelamente all’operato pubblico
Un esempio?
Rispetto a quanto già abbiamo fatto, posso citare le iniziative di Fondimpresa che ha scelto, negli scorsi anni, di destinare finanziamenti alla riqualificazione di lavoratori di imprese in difficoltà: dopo percorsi formativi mirati, decine di migliaia di lavoratori cassintegrati sono rientrati in azienda con mansioni riqualificate. Guardando al futuro, ci piacerebbe poter intervenire in modo analogo per i giovani o per altre classi di lavoratori in difficoltà. Con 50 milioni di euro abbiamo formato e orientato al lavoro, in virtù di una delega del Ministero sull’uso delle risorse (che a stretta regola sono destinate solo ai lavoratori attivi) migliaia di lavoratori in mobilità che, per il 55%, oggi hanno una nuova occupazione, nella metà dei casi a tempo indeterminato. Immaginiamo cosa avremmo potuto fare con i 60 milioni, che invece ci verranno tolti a partire dal 2016, ad esempio, per inserire i giovani al lavoro.
Fabiana Palombo