Il diario del lavoro ha intervistato la segretaria generale della Uila, Enrica Mammucari, sul tema del caporalato. Dopo la recente morte del bracciante Satnam Singh a Latina, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è detta “esterrefatta” “per il modo atroce ma ancor di più per l’atteggiamento schifoso del suo datore di lavoro” e ha promesso una serie di misure, accolte con favore dalla segretaria. Mammucari ha ricordato come da decenni il sindacato stia chiedendo alla politica misure concrete per combattere, insieme alle parti sociali, il caporalato. Una fra tutte, i permessi di soggiorno da sfruttamento lavorativo, vera chimera per i lavoratori sfruttati: invece di ricevere aiuto e permessi dallo Stato, spiega la segretaria, vengono espulsi dall’Italia in quanto clandestini. Proprio a Latina, precisa Mammucari, dove il fenomeno del caporalato è sotto gli occhi di tutti, si è arrivati a concedere nel 2023 ben zero permessi di soggiorno da sfruttamento lavorativo. Il mistero di una legge non applicata.
Mammucari, la morte del bracciante Satnam Singh a Latina ha riacceso le luci su scala nazionale su una dinamica sempre più diffusa, come quella del caporalato e dello sfruttamento del lavoro agricolo. Anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni si è espressa recentemente sul tema: come giudica le proposte del governo per arginare il fenomeno?
Ho dato alle parole della presidente Meloni un riscontro positivo, augurandomi che non si tratti della solita politica degli annunci che sentiamo fare da un decennio. Sono una sindacalista e porto avanti le istanze di chi rappresento, quindi aldilà del colore politico se le nostre richieste, fatte in tanti anni per combattere il caporalato, vengono accolte dalla politica, ben venga. Aspettiamo, però, di verificare cosa farà il governo in tema di gestione dei flussi e rilascio dei permessi di soggiorno. L’attuale sistema produce solo vittime dello sfruttamento.
Che cosa avete chiesto?
Da un lato di rendere più efficace la parte ispettiva non solo incrementando il numero di ispettori e formandoli specificamente sulle norme agricole, ma soprattutto coordinando tutti gli enti coinvolti (Inps, Inail, Ispettorato del lavoro e Agea), grazie anche all’incrocio di banche dati per orientare meglio i controlli mediante una valutazione a monte degli indici di congruità. L’altro aspetto riguarda la parte propositiva della legge 199 del 2016, che si gioca sulla valorizzazione della Rete del Lavoro agricolo di qualità con il concorso delle rappresentanze sindacali e datoriali, altro tema ricordato dalla premier. C’è bisogno di un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e di un potenziamento degli enti bilaterali territoriali (Ebat), costituiti oltre 70 anni fa, che possono avere un ruolo strategico.
Quale è precisamente il ruolo che dovrebbero svolgere degli enti bilaterali territoriali?
Si dovrebbe affidare agli Ebat la possibilità di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. È l’unico modo per farlo in modo trasparente perché gli Ebat sono costituiti da sindacato e associazioni agricole e detengono l’anagrafica di tutte le aziende iscritte e di tutti i lavoratori. Inoltre, possono gestire il tema dei trasporti e degli alloggi, sottraendo così i lavoratori agricoli dal ricatto dei caporali.
Parliamo di permessi di soggiorno, un nodo che consente di regolarizzare il lavoro sommerso; qual è la situazione a oggi?
Abbiamo ripresentato alla politica le nostre proposte che riguardano soprattutto la regolarizzazione di tutti coloro che sono entrati nel nostro Paese con un permesso di soggiorno per flussi stagionali. Allo scadere del nono mese, che è il tempo massimo concesso di permanenza, i lavoratori agricoli dovrebbero per legge tornare al proprio Paese. Solo successivamente possono rientrare in Italia dopo qualche mese con un nuovo permesso e così via.
Un po’ dispendioso come sistema di pendolarismo extra-continentale, soprattutto per le tasche di un agricoltore immigrato.
Esatto, il lavoratore non è economicamente in grado di sostenere tutte queste spese di viaggio per tornare al suo Paese di origine, in alcuni casi distante come ad esempio l’India nel caso di Latina. Anche perché, spesso sono caduti nella rete dei caporali ancor prima di entrare nel nostro Paese. Questa è la verità.
Faccio l’avvocato del diavolo: allora perché i lavoratori non richiedono un rinnovo del permesso prima del suo scadere?
Perché per legge non si può rinnovare il permesso di soggiorno per attività stagionale. Lo prevede la Bossi-Fini del 2002.
Il datore di lavoro però potrebbe convertire il permesso di soggiorno da stagionale a tempo determinato prima che scada.
Certo, ma sempre per la Bossi-Fini, con il decreto Flussi, sa che cosa succede? Che si è messo un tetto massimo alle conversioni del permesso: per quest’anno se ne possono fare per legge 6.300, non un permesso in più. A fronte di 8.000 lavoratori stagionali aventi diritto.
È come se compiuti 18 anni si impedisse a un giovane di ottenere la scheda elettorale perché è stato superato un tetto massimo annuo di maggiorenni consentiti.
Esattamente.
Quindi i lavoratori rimangono in Italia.
Si, continuano a lavorare in agricoltura ma da irregolari. Noi dobbiamo, oltre a condannare l’azienda che sfrutta e lucra sulla loro situazione, contrastare ogni forma di caporalato, anche quelle travestite nelle vesti giuridiche delle cooperative senza terra, mettendo i lavoratori nelle condizioni di trovare un lavoro regolare. Consentire ai lavoratori di tornare ad essere liberi. Questa è la nostra proposta: attraverso il rilascio di un permesso di soggiorno temporaneo permettiamo al lavoratore la ricerca di nuova occupazione. Magari per 6 mesi, 8 mesi, un anno, insomma il tempo necessario per cercare un lavoro regolare, in modo da fargli legalmente ottenere un vero contratto di lavoro, impossibile da pretendere da chi è irregolare. Poi c’è da affrontare il capitolo della normativa sui permessi della protezione speciale.
Intende il permesso di soggiorno per sfruttamento lavorativo.
Si, è una normativa prevista dal TUI, il testo unico sull’immigrazione all’articolo 22. Ad esempio, per la compagna di Satnam è stato rilasciato uno di questi permessi di protezione speciale a seguito della sua atroce morte. Ci chiediamo: perché questi permessi non vengono attivati ogni volta che avviene una ispezione che riscontra l’esistenza di una situazione di sfruttamento?
Facciamo un esempio pratico: un ispettore di lavoro scopre che in un campo di pomodori vengono sfruttati tanti lavoratori irregolari (così come viene intesa la parola “sfruttati” dall’art. 603 bis del Codice penale). In pratica pagati poco, orari infiniti, senza ferie né riposo, malattia, sicurezza, spesso sotto un sole cocente. Insomma, un incubo. Cosa dovrebbe verificarsi subito dopo la vista di questo paesaggio secondo la legge e cosa invece accade nella realtà?
Parto dalla realtà. Immediatamente gli ispettori rilevano che i lavoratori agricoli sono sprovvisti di un permesso di soggiorno regolare. Ricordo che in Italia questo è considerato, dal 2009, reato di clandestinità da contestare all’autorità giudiziaria e che per il lavoratore comporta un’espulsione dal nostro Paese.
Dal punto di vista legislativo, eppure, la normativa sull’immigrazione consentirebbe una possibilità diversa, cioè ottenere un permesso per grave sfruttamento lavorativo. Questa dinamica l’abbiamo messa in luce da anni e non è possibile tollerare una situazione di ricatto dei lavoratori di questo genere.
Ricatto?
Si perché questi lavoratori, per paura dell’espulsione, non denunciano il proprio aguzzino.
Ma perché non viene rilasciato questo permesso di soggiorno per sfruttamento lavorativo?
È un mistero. Vogliamo capirne le motivazioni e stiamo battendo il ferro su questo punto. Sappiamo che il permesso lo rilascia la questura. Abbiamo chiesto chiarimenti anche qualche giorno fa al tavolo al Viceprefetto a Latina, per conoscere l’esatta procedura per emettere questo benedetto permesso speciale. Come è possibile che in tutto il 2023 a Latina non ci sia stato neanche un solo permesso di soggiorno rilasciato per grave sfruttamento lavorativo? Anche nel resto d’Italia la situazione è imbarazzante: sempre nel 2023 sono stati rilasciati solo 117 permessi.
Come da lei precisato, alla vedova di Satnam è stato subito fornito questo permesso; quindi, quando si vuole si riesce e in fretta….
Fermo restando che era giusto e che noi lo abbiamo fortemente sostenuto, ci chiediamo come sia possibile che alla vedova di Satnam sia stato rilasciato un permesso di protezione umanitaria in 24 ore, mentre nulla accade per tutti gli altri lavoratori che denunciano o che potrebbero denunciare.
Quindi volete che i permessi per grave sfruttamento lavorativo siano comunque riconosciuti ogni volta che c’è un lavoratore che denuncia oppure ogni volta che una ispezione riscontra una irregolarità in termini di reato di caporalato piuttosto che sfruttamento.
Si, e questa dinamica che ha descritto è già stata normata. Infatti la legge già esiste per procedere in questo modo: esistono due tipi di permesso, l’art. 18 (protezione speciale) e l’art.22 comma 12 quater (particolare sfruttamento lavorativo) del TUI. Potremmo anche discutere di come creare ulteriori norme, ma non è necessario. Rendiamoci conto che in Italia si sta sempre più ingrossando un esercito di schiavi e non si fa niente per modificare questo status quo. Come è possibile, indipendentemente dalla normativa, che sono stati rilasciati solo 117 permessi ex art.18 e 163 permessi ex art.22 in totale in Italia, a fronte di migliaia di immigrati in condizioni gravi di sfruttamento? Per la legge dei grandi numeri non è immaginabile.
Tutte le persone che sono entrate in Italia a lavorare nei nostri campi, regolari o meno che siano, e che sono sfruttati in questo esatto momento, meritano o no un permesso di soggiorno?
Certamente sì.
Anche secondo noi e auspico sia una volontà di tutti, istituzioni in primis. Inutile fare belle dichiarazioni sul dovere di denunciare il proprio aguzzino se poi gli stessi lavoratori sono consapevoli che appena aprono bocca ricevono un bel foglio di espulsione.
Sappiamo che il permesso di soggiorno previsto dall’articolo 22 può essere rilasciato dal questore solo su proposta del procuratore della Repubblica. E lei conferma che i permessi rilasciati a Latina sono stati zero nel 2023, a fronte di centinaia di casi di sfruttamento. Possibile mai che non ci sia stato un solo procuratore che abbia chiesto almeno una volta soltanto ad un questore il rilascio del permesso?
Esatto.
E caso mai un prefetto abbia fatto questa richiesta per il permesso di soggiorno per sfruttamento, è mai possibile che in tutta Latina non ci sia stato un solo questore che l’abbia accettata?
Infatti. Concordo appieno. Non è pensabile che dai dati dello scorso anno proprio su Latina, emerga che non sia stato erogato un solo permesso. Zero assoluto, il vuoto cosmico.
Nel caso dell’art. 18, invece, cito testualmente: “il permesso di soggiorno può essere rilasciato dal questore anche su proposta dei servizi sociali degli enti locali, o dalle associazioni, enti e altri organismi iscritti nella seconda sezione del registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati”. Quindi è mai possibile che anche tutti questi enti, associazioni e organismi siano stati tutti in silenzio?
Da quello che ci dicono nessuno va a denunciare i casi di lavoratori sfruttati. Ma come è possibile? L’altro ieri in piazza c’erano persone addirittura con i cartelli in mano dove si leggeva “io sono come Satnam, entrato regolare in Italia e oggi non ho il permesso di soggiorno”. Che cosa altro devono fare queste povere persone che in questo momento rischiano una denuncia per reato di clandestinità? Gente che lavora e che si spacca la schiena, piedi e mani dalla mattina alla sera. E adesso come ciliegina sulla torta, per loro è sorto un altro problema enorme.
Quale?
Tutte le aziende hanno paura e nessuno li sta chiamando per lavorare. Per concludere, noi siamo convinti che l’Italia abbia bisogno di una immigrazione regolare, che non alimenti la criminalità organizzata. Serve un permesso di soggiorno per avere un contratto di lavoro. Ricordiamoci che dovremmo essere una Repubblica fondata sul lavoro: quello regolare.
Emanuele Ghiani