Paolo Capone è stato appena confermato alla guida dell’Ugl dal congresso della sua organizzazione. Si sente forte del consenso che ha riscosso e non media le sue affermazioni alla ricerca di una maggiore diplomazia. Attacca la Cgil e la Uil, che accusa da fare solo opposizione al governo e quindi di difendere meno gli interessi dei lavoratori. Guarda con interesse alla Cisl di Luigi Sbarra, alla quale non lesina le lodi. Una Ugl diversa dal passato, più combattiva, ma pronta anche a fare accordi con la nuova Confindustria.
Capone sta cambiando la politica sindacale?
Si, abbastanza. Vedo una parte del sindacato che guarda verso l’orizzonte, un’altra parte che guarda al mondo del lavoro con lo specchietto retrovisore. Tutto sembra molto cupo, ancorato a un passato che, essendo passato, non è riproponibile, non con le stesse ricette di una volta, con gli stessi approcci. In passato avrei detto che a guardare verso il futuro erano i sindacati autonomi, non ideologizzati, non legati a vecchi miti e riti. Oggi però noto che la Cisl, grande organizzazione sindacale, ha scelto una strada molto interessante. Altre strutture sono rimaste ferme.
Intende, immagino, la Cgil?
La Cgil, e anche la Uil. Ho l’impressione che non si rendano conto che il mondo del lavoro ancora una volta sta cambiando.
Avete visioni diverse?
Alcuni ne hanno di ideologizzate, altri no. Noi no.
Questa differenza pesa sulla capacità di difendere gli interessi dei lavoratori?
A mio avviso sì. Il sindacato non deve fare politica.
Maurizio Landini respinge da sempre l’accusa di fare politica e non politica sindacale.
Il fatto stesso che lasci la possibilità a qualcuno di affermare che lui faccia politica partitica vuol dire che sta sbilanciando la sua attività non sulla difesa degli interessi dei lavoratori ma su un’azione politica.
Ma il sindacato fa sempre attività politica.
Certo, è un corpo intermedio, fa politica, la facciamo tutti. Quello che stona è che la sua azione è chiaramente orientata a un’opposizione al governo. Del resto, la sinistra sta ricomponendo la sua azione e questo lascia spazio a un’organizzazione come la Cgil di fare più politica che attività sindacale.
Voi siete un sindacato di destra. Le adesioni che raccogliete sono legate a questa caratteristica? Vengono da voi perché avete gli stessi sentimenti?
E gli stessi valori, sì. Vengono da noi perché sentono questa identità.
Ma essere un sindacato di destra vi limita l’azione nei confronti di un governo di destra?
No, perché quello che conta è il merito di cui si discute. Sapere di essere dalla stessa parte politica può far piacere, ma se si discute si guarda a cosa propone la parte avversa. Abbiamo applaudito la decisione di ridurre il peso del cuneo fiscale sui salari, ma se dovesse sparire saremmo molto preoccupati.
Avete appena concluso il vostro congresso nazionale, sono emerse difficoltà dei lavoratori a risolvere i loro problemi?
Abbiamo capito che esistono problemi nuovi e che tutto il sindacato deve contribuire a trovare le soluzioni adatte. È un processo naturale, incessante, la perfezione non si raggiunge mai.
L’innovazione più marcata è stata la scelta di dare più spazio alla persona. Prima c’era attenzione al collettivo, alla classe. Vi ritrovate in questo nuovo approccio?
Assolutamente sì. Dietro quella che era la classe ci sono sempre state tante individualità, che vanno rispettate in quanti tali. Oggi i lavoratori esprimono esigenze differenti e noi dobbiamo accoglierle e rispettarle.
Da un’analisi della Fim Cisl è emersa la difficoltà dei delegati che devono assumere questi nuovi bisogni dei lavoratori, specie dei più giovani, ma non possono dimenticare o tralasciare le rivendicazioni di sempre.
Sì, le richieste dei lavoratori sono mutate e il lavoro del sindacalista è diventato più difficile. Perché è necessario saper scegliere tra le diverse rivendicazioni che vengono avanzate. Si impongono delle scelte, non sempre facili. Ma è il nostro lavoro.
Ma i lavoratori si accorgono di queste difficoltà? E il numero delle tessere cresce o cala?
La nostra esperienza è abbastanza positiva. Negli ultimi cinque anni abbiamo registrato una crescita, non travolgente, ma continua.
I lavoratori avvertono l’importanza di avere un sindacato?
Sì, specie in presenza di sindacati attenti a quello che avviene nel mondo del lavoro e in grado di rispondere velocemente.
Sarà un autunno difficile?
Sarà un autunno complesso, e anche difficile. Tutto dipenderà dalle risorse che avremo.
Può ripartire il dialogo tra Confindustria e sindacati?
Qualcosa si sta muovendo. Emanuele Orsini è diverso da Carlo Bonomi, che era un burocrate, non un imprenditore. Io spero che il dialogo riparta. Confindustria potrebbe aprire una partita nella quale potrebbe anche trovare il nostro consenso.
Voi avevate firmato il Patto della fabbrica del 2018?
No, diciamo che non siamo stati coinvolti.
Massimo Mascini