La velocità con cui siamo investiti dall’ondata di progressi tecnologici è tale da permetterci a fatica di prendere lucidamente coscienza dei cambiamenti in atto che investono nel nostre vite. Dinanzi a fenomeni così pervasivi c’è chi accoglie con entusiasmo questo ordine di idee e chi, invece, per reticenza, per ignoranza o per qualunque altro ordine di motivi, li affronta con timore e finanche paura. Un vero e proprio “sfilacciamento” della società, «tra chi vive un presente molto simile al passato e chi vive in un futuro molto simile alla fantascienza». Fatto sta che se, come recita un abusato adagio, “il futuro è già qui”, il vaticinio si aggiorna con “il futuro è già obsoleto” e ci costringe – in un modo o nell’altro – a fare i conti con la nostra collocazione non più nel “qui e ora”, ma nel “qui e domani”, in prospettiva. Perché il trapasso da una dimensione materiale delle nostre esistenze a una dimensione immateriale è una condizione perennemente esperibile e non più eludibile, dove la soglia tra offline e online è ormai dissolta. Tenere traccia di questo percorso da cui non si torna più indietro è l’unico modo per non correre il rischio di essere lasciati tragicamente indietro e saper agire questa evoluzione diventa uno strumento fondamentale per non vivere in balia di eventi calati dall’alto. Questo è solo il presupposto di un lungo lavoro di accettazione e conoscenza del fenomeno della smaterializzazione del mondo che Stefano Quintarelli, nel suo volume Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale (Bollati Boringhieri editore, 2019), affronta con il pragmatismo dell’informatico che poggia le sue basi su una carriera di lunga esperienza nel settore dell’ICT e della comunicazione.
Nel suo lavoro, l’autore mostra passo per passo in che modo le società siano plasmate dalla tecnologia e insiste in particolar modo sull’urgenza che questo sviluppo debba essere guidato «e può e deve tendere a un ideale di benessere sociale più ampio possibile». Per Quintarelli, infatti, è un preciso dovere di intellettuali tecnologi e intellettuali non tecnologi contaminare le proprie conoscenze per divulgare il senso proprio di questo nuovo orizzonte da cui non si sfugge, ma ancor di più «è necessario che la politica si sforzi di capire in profondità i radicali mutamenti imposti dall’evoluzione tecnologica. Solo così è possibile trovare una sintesi, un punto di equilibrio tra la tutela dell’esistente e promozione del futuro». Una rivoluzione che per come ridefinisce gli assetti della società nel suo complesso è paragonabile alla nascita dell’agricoltura, risalente a 11.000 anni fa, e alla rivoluzione industriale dei primi dell’Ottocento: «Un drastico e radicale punto di rottura nella vita di ciascun essere umano». Ma, domanda l’autore, «siamo pronti a gestire le conseguenze di questo immane scossone?»
L’anno zero del cambiamento è collocato nel 2001, con l’avvento di internet «veloce e ubiquo», il momento in cui la spinta al progresso ha ricevuto l’impulso più forte con la contemporanea diffusione delle tecnologie digitali a una popolazione molto vasta; il primo tipping point, lo definisce Quintarelli, «il momento in cui collocare l’inizio della rivoluzione digitale» che avrebbe inglobato tutte le economie in ogni aspetto e ridefinito il concetto stesso di capitalismo. Nel corso del volume, Quintarelli affronta proprio questi aspetti, partendo innanzitutto dalla disamina dei fattori che caratterizzano la dimensione immateriale – che saranno il concetto-bussola per orientarsi lungo tutto il percorso -, e insistendo sul principio di base del nuovo capitalismo tecnologico secondo cui «nell’economia immateriale produrre, riprodurre, archiviare e spedire informazioni non costa nulla». È questo, sostanzialmente, ad aver cambiato le regole del gioco, ad aver ridisegnato gli assetti dell’economia, dei consumi, dei consumatori e della nuova umanità. Successivamente, l’autore passa in rassegna le modalità e gli effetti di questo cambiamento – la pervasività dell’elettronica, la nuova declinazione del rapporto capitale-lavoro, le dinamiche di costi e salari, la pressione sul sistema di informazione e il principio degli algoritmi, l’intelligenza artificiale, la finanza, l’evoluzione della moneta e le criptovalute e gli effetti della pluto-tecnocrazia dei colossi informatici.
Per Quintarelli, quanto successo finora è solo l’inizio, perché «dall’avanzata della dimensione immateriale dovremmo aspettarci conseguenze ancora più estreme» di cui, tuttavia, invita a non avere paura. Oltre agli interessanti paragrafi dedicati alle pressioni delle innovazioni tecnologiche sul lavoro, sulle contaminazioni dell’attività lavorativa tradizionalmente intesa con le potenzialità della robotica e dell’intelligenza artificiale che hanno sì effetti preoccupanti sulla redistribuzione del reddito e sulla perdita dei posti di lavoro, ma che occorre contemporaneamente avvertire come un impulso alla creazione di nuove professionalità – «Secondo un recente rapporto del World Economic Forum, l’automazione sarà responsabile nei prossimi quattro anni di una riduzione di 75milioni di posti di lavoro e della creazione di 133 milioni di nuovi posti (ovvero il 77% in più di quelli persi)», attraverso la valorizzazione di alcune attività – , nel volume risulta di particolare interesse l’accento forte posto sulla responsabilità della gestione di questi effetti che è assegnata alla politica: tutto dipenderà «in larga misura dalle scelte che verranno fatte dagli addetti ai lavori, da cittadini e consumatori della politica […] L’innovazione non chiede il permesso e generalmente invoca una eccezionalità rispetto alle regole preesistenti: si insinua nella tradizione e cerca di forzarla per creare nuovi mercati o conquistare marginalità prima controllate da altri». Nella dimensione immateriale «ampiamente deregolamentata, estremamente veloce, caratterizzata da ritorni crescenti, che tende a monopoli o oligopoli globali, in pochi anni si sono create (e si stanno creando) posizioni di dominanza nell’intermediazione di servizi della dimensione materiale. Il tutto, senza le garanzie e i vincoli previsti per analoghi intermediari tradizionali». In questo senso, «la sfida della politica del XXI secolo è questa: leggere i segnali delle mutazioni dell’oggi e riuscire a individuare rapidamente i punti di equilibrio tra la tensione all’innovazione e l’accettabilità degli impatti sociali». Ed è per questo che per affrontare la Rivoluzione digitale abbiamo bisogno di un pacchetto di provvedimenti che, in sostanza, sono simili a quelli della Rivoluzione industriale: «nuove forme di fiscalità, innovazioni nel welfare, nei diritti dei lavoratori e dei prestatori professionali, controlli pubblici di garanzia per i consumatori e – in modo fondamentale – aumento della concorrenza, regole procompetitive, contendibilità degli utenti, interoperabilità dei servizi».
Con Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale Quintarelli confeziona un manuale di istruzioni indirizzato ai più scettici per sfatare le incomprensioni su questo fenomeno, ma anche ai più “avanguardisti”, per stemperare gli entusiasmi e gli Osanna al progresso. Una lettura utile, quindi, trasversale ai campi di interesse, con il limite tuttavia di risultare troppo centrata sul dualismo materiale-immateriale tale da sbilanciare il focus sugli aspetti più – per l’appunto – tecnici a sfavore della dimensione più “umanistica” dell’evento, che pure si pone come caposaldo della trattazione.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Capitalismo immateriale. Le tecnologie digitali e il nuovo conflitto sociale
Autore: Stefano Quintarelli
Editore: Bollati Boringhieri
Anno di pubblicazione: 2019
Pagine: 198 pp.
ISBN: 978-88-339-3208-8
Prezzo: 16,00€