Cambieranno le relazioni industriali, cambierà il rapporto tra sindacato e lavoratori, cambierà anche la struttura delle organizzazioni sindacali per adattarsi ai nuovi compiti. Le conseguenze dell’accordo sulla rappresentanza saranno ampie e diversificate. Deriva anche da questa considerazione il giudizio positivo che Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil, dà di questa intesa che comunque porterà anche più ampie responsabilità sia al sindacato che agli stessi lavoratori. Ma è proprio per questa strada di responsabilizzazione che si può riportare finalmente il lavoro al centro dell’agenda politica.
Susanna Camusso, l’accordo sulla rappresentanza cambia in profondità il sistema di relazioni industriali?
Sicuramente è cominciata un’altra stagione. Per due ragioni. La prima è che si passa da regole endosindacali a regole pattizie. E’ come fu per le Rsu, regole non sottoposte al tasso di unità tra le confederazioni. La seconda ragione è che diventa esplicita la possibilità di coniugare la rappresentanza con elementi di democrazia diretta. Il rapporto tra democrazia e partecipazione, tra democrazia e voto dei lavoratori è sempre stato sottratto al tasso di rappresentanza, questo accordo invece restituisce vitalità alla rappresentanza.
Sembra assurdo che il principio di maggioranza arrivi solo adesso nelle relazioni industriali.
Noi abbiamo vissuto una lunga età in cui il problema non si poneva, perché non c’era divisione sindacale. Nelle diverse occasioni, penso all’accordo del 1993, c’era una minoranza anche consistente, ma il tema era la maggioranza nel voto dei lavoratori, non delle confederazioni. Non era dato che la contrattazione potesse portare una divisione tra Cgil, Cisl e Uil. E non a caso l’unica legge in cui ci si contava era quella per il pubblico impiego, dove esisteva incertezza della rappresentanza di Cgil, Cisl e Uil.
Cambieranno le relazioni industriali?
Certamente. Dopo una lunga stagione di sottrazioni al potere delle relazioni industriali, in cui l’aspetto emblematico era l’eccessiva produzione di leggi, la tentazione dirigistica, adesso le organizzazioni sindacali si riappropriano delle loro materie.
Sindacato e lavoratori saranno più vicini?
E’ uno degli obiettivi dell’accordo, fondato sul fatto che c’è sempre un legame tra la condotta contrattuale e il voto dei lavoratori. Ciò impone che aumenti il grado di partecipazione. Non fa più premio solo la volontà delle organizzazioni. Il ruolo del sindacato è sempre forte, ma è legato alla condivisione da parte dei lavoratori. Quindi il sindacato è obbligato ad alimentare il rapporto partecipativo. In questo l’accordo è un segnale democratico importante, per tutti, non solo per il sindacato. E finisce l’abitudine per cui il sindacato scomodo non era rappresentativo o era diviso, e quindi non contava. Noi adesso ci contiamo, e lo facciamo fare da un terzo, non ci autodichiariamo.
E’ stato importante aver eliminato la quota di un terzo riservato nella composizione delle Rsu?
E’ stato soprattutto un passo obbligato. Se approvi il principio per cui ogni testa vale un voto e su questo calcoli la rappresentatività, poi non puoi più avere una parte degli organismi di rappresentanza nominata dalle confederazioni e non dai lavoratori. E del resto era stata la Confindustria a volere questa norma perché non ci fossero differenze tra chi faceva i contratti nazionali e chi quelli aziendali. Così c’è più coinvolgimento dei lavoratori.
E dà loro maggiori responsabilità.
La partecipazione è sempre un elemento di maggiore responsabilità.
Non c’è il pericolo che si attenui l’azione di filtro che il sindacato ha sempre svolto nei rapporti con i lavoratori?
Penso di no. Si decide assieme e questo obbliga il sindacato ad ascoltare e quindi a conoscere. Comunque nella nostra storia gli accordi respinti dai lavoratori sono stati molto pochi.
Cambierà la struttura organizzativa del sindacato, per svolgere questo maggior lavoro presso i lavoratori?
L’accordo ha un effetto obbligato, richiede un ritorno ai luoghi di lavoro. Il processo di centralizzazione aveva portato l’attenzione lontano dai luoghi di lavoro, adesso bisogna cambiare.
Reggerà l’unità che avete raggiunto con Cisl e Uil?
Dopo tanto tempo di disunione, lo stare assieme richiede tutte le attenzioni che possono servire per un neonato. Ci sono state ferite profonde, che hanno attraversato rapporti personali, dentro le fabbriche. Ci sono stati tanti accordi separati, che pesano. Per questo serve l’attenzione che deve essere riservata sempre a una cosa nuova. Non basta il tempo passato assieme. Si deve imparare a maneggiare questa cosa, ad alimentarla, senza mai forzare, perché i contraccolpi potrebbero essere fatali. Per questo c’è un carico di responsabilità delle organizzazioni. Non si può far finta che il passato non esista, ma nemmeno fermarti alla cura delle ferite. Le regole ci sono, vanno vissute. I sindacati confederali hanno questa responsabilità. Dividerci potrebbe far fallire il tentativo di riportare il lavoro al centro dell’azione politica.
Lei crede nel governo Letta?
Io penso che il linguaggio sia una cosa importante e questo governo usa riferimenti e parole scomparse dal lessico politico. Ma deve essere coerente e questo richiede una cosa soprattutto: una redistribuzione del reddito, è questo il fulcro del cambiamento per arrivare a rimettere al centro le questioni del lavoro. E’ necessario non privilegiare più gli interessi in questi anni privilegiati.
Massimo Mascini