Ha rinunciato alla prescrizione che sarebbe scattata a fine maggio e ha depositato una nuova richiesta di patteggiamento, con condizioni per lui più gravose della proposta bocciata a febbraio scorso dal gup Maria Vicidomini. La mossa processuale di Adriano Riva potrebbe rivelarsi decisiva per il destino dell’Ilva di Taranto. Riva è imputato a Milano insieme ai nipoti Fabio e Nicola Riva per il crac dell’acciaieria tarantina e tra pochi giorni, il 12 maggio prossimo, è attesa la decisione della Corte del Jersey sullo “sblocco” dei 1,3 miliardi di euro che gli vennero sequestrati nel 2013 e che ora sono destinati al risanamento ambientale dello stabilimento di Taranto, così come previsto dal cosiddetto decreto “Salva Ilva”.
Adriano Riva, fratello del patron dell’Ilva Emilio deceduto del 2014, è accusato di bancarotta, truffa ai danni dello stato e trasferimento fittizio dei beni. Secondo i pm milanesi Mauro Clerici e Stefano Civardi, avrebbe distratto circa 1,3 miliardi di euro dalle casse dell’Ilva e dalle riserve societarie della capogruppo Riva Fire per trasferirli in alcuni trust nell’isola di Jersey, paradiso fiscale nel canale della Manica. Reato che si sarebbe prescritto a fine mese. Ma la decisione di rinunciare alla prescrizione e di tentare nuovamente il patteggiamento della pena davanti al gup Chiara Valori, apre la strada al rientro in Italia del denaro attualmente congelato in un conto Ubs a Zurigo.
Soldi che, se riusciranno a tornare in Italia come da ormai alcuni anni sta cercando di ottenere la procura di Milano, saranno messi a disposizione dei commissari straordinari di Ilva: l’intero importo sarà infatti convertito in obbligazioni da lanciare sul mercato e il ricavato sarà utilizzato per la realizzazione dell’Autorizzazione Integrata Ambientale nello stabilimento siderurgico di Taranto. Sempre che, ovviamente, il Tribunale del Jersey non si opponga allo sblocco della somma. In attesa della decisione dei giudici dell’isola della Manica, il procedimento milanese è stato aggiornato al 17 maggio.