Parafrasando quanto detto dal Presidente Draghi sul debito pubblico, distinguendolo tra “debito buono e debito cattivo” potremmo anche parlare di “concertazione buona e concertazione cattiva”. Provo a spiegarmi meglio.
Con la vittoria del centro-destra la candidata premier, Giorgia Meloni, si è affrettata a riconoscere, all’assemblea della Coldiretti, l’importanza dei corpi intermedi.
A ruota, Landini, segretario generale della Cgil, che in tempi recenti aveva rifiutato al Governo Draghi ogni possibile interlocuzione concertativa, si è affrettato a salutare questa apertura come la fine dell’era di “un uomo solo al comando” e l’avvio di un nuovo patto sociale che, ovviamente, dovrebbe partire dalla tutela dei lavoratori per quanto riguarda una serie di questioni quali: l’età pensionabile, il salario minimo, la lotta al precariato etc. (tutti nobili propositi).
A cosa si deve questa “insolita” sintonia?
Io penso che il cambiamento consista nel quadro di riferimento entro il quale collocare la concertazione tra le parti sociali, non già la concertazione fine a sé stessa.
Con il Governo Draghi, questo quadro di riferimento era caratterizzato dalle “riforme di sistema” per rendere più efficiente, moderno e competitivo il “Sistema Italia”. Queste riforme dovevano, anche su indicazione dell’Unione Europea, sbloccare tutte quelle incrostazioni che rendevano inefficace: il sistema giudiziario, la pubblica amministrazione e in generale innalzare il grado di concorrenza interna al sistema (Ita, taxi, balneari etc.). Si può dire che il ruolo delle Parti sociali in questa “concertazione buona” avrebbe dovuto essere quello di difendere gli interessi dei più deboli, senza però perdere la rotta tracciata, perché questa avrebbe consentito al Paese di crescere e quindi, anche di tutelare meglio gli stessi interessi da loro rappresentati.
Sarà cosi anche con il prossimo Governo? Sarebbe sbagliato fare un processo alle intenzioni, tuttavia vorrei segnalare un pericolo all’orizzonte: “la concertazione cattiva” ossia la ricerca di punti di equilibrio a tutela delle posizioni corporative consolidate, ai danni dell’efficienza e della crescita economica. Insomma, in fondo nella stagnazione non si sta tanto male se i particolari interessi continuano ad essere tutelati: taxi, Ita, stabilimenti balneari, ma non solo anche decreti contro le delocalizzazioni, strette sulle forme di ingresso al lavoro; già si sente odore di “superamento” dell’apprendistato e di ogni altro contratto a forma mista, in nome di un simulacro contrattuale costituito dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sia chiaro “dalla culla alla tomba”.
Insomma una concertazione che assomiglia troppo al patto delle corporazioni che in fondo vedeva convergere una certa “destra sociale” e una certa “sinistra popolare” in nome della sacrosanta difesa dei valori nazionali e degli interessi nazionali.
Magari è solo un mio recondito timore ma, come è noto, fu Nicolò Bombacci, ex comunista, poi convinto fascista, a stendere il “Manifesto di Verona” nel ’43 che doveva definire le caratteristiche corporative della Repubblica Sociale e sappiamo come andò a finire. Vero è che come diceva qualcuno la storia si ripete o in farsa o in tragedia… speriamo nella prima.
Luigi Marelli