Chi avesse qualche dubbio sul ruolo che il sindacato ha svolto nel nostro Paese in difesa della democrazia, anche in anni difficili, dedichi un po’ di tempo all’ascolto dell’intervento di Bruno Trentin a Bologna (ancora segretario generale Fiom), nel marzo del 1977, una settimana dopo l’uccisione di Francesco Lorusso da parte di un carabiniere. Si era in piena rivolta studentesca contro la scuola di classe e una società che non riconosceva alcun ruolo ai giovani, un anno prima dell’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta da parte delle “Brigate Rosse”, due anni prima della strage di marca fascista alla Stazione di Bologna. Anni difficili e in bilico tra una democrazia che si rafforza impedendo il terrorismo di destra e di sinistra e una strategia della tensione che alimenta i disordini per ridurre le libertà democratiche nel Paese.
Il sindacato si pone come forza attiva in campo, per costruire nuove alleanze e dar vita a battaglie più larghe e condivise per ottenere nuove tutele per i lavoratori e i giovani, a partire da una scuola meno selettiva e maggiore occupazione.
Trentin parte dall’ammettere un ritardo del sindacato e forse un errore a non capire che dietro i movimenti giovanili di quegli anni non c’è solo il desiderio di un nuovo protagonismo culturale (“gli indiani metropolitani” e altri gruppi), ma il disagio sociale di una scolarizzazione che non garantisce un’occupazione di qualità, una cittadinanza piena e una seria prospettiva di vita.
In questi passaggi ripetuti più volte (mentre si sentono in sottofondo urla, cori e slogan) Trentin vuole affermare la volontà del sindacato di aprirsi, di non essere una organizzazione che guarda solo ai propri iscritti e nemmeno solo ai lavoratori ma che si apre al confronto con i giovani e alla libera discussione con le loro associazioni (anche le più spontanee, lascia intendere). Con l’intento di rinnovare il sindacato in questa apertura e in questo confronto.
Pone poi alcuni punti fermi: sulle forme di lotta e sugli obiettivi da conseguire. In un passaggio dice che il sindacato non metterà mai sullo stesso piano l’uccisione di un giovane (l’uso delle armi da parte delle “forze dell’ordine”) con i sampietrini che infrangono le vetrine dei negozi ma che le forme di lotta per essere efficaci debbono rispettare le regole della democrazia (conquistata anche con le armi): non una semplice protesta ma una lotta di massa (studenti e operai, occupati e disoccupati). Contro i decreti del Governo che vogliono abolire la scala mobile, peggiorando le condizioni retributive e di vita degli operai, e cancellare la contrattazione articolata nei luoghi di lavoro.
Più volte Trentin insiste su un argomento ancora di enorme attualità. Il movimento di massa e le lotte che organizza non possono fermarsi davanti a tavoli di confronto improduttivo col governo, promesse, proposte di legge che non si trasformano mai in fatti. No, si lotta per avere in cambio politiche economiche che rilancino gli investimenti, creino più occupazione e migliorino le condizioni di lavoro nelle fabbriche a partire dalla situazione non più tollerabile del Mezzogiorno, le cui burocrazie si contendono la titolarità delle risorse invece che investirle. E in cui i vertici delle Partecipazioni Statali curano più il loro potere personale che non lo sviluppo delle imprese e dell’occupazione.
E poi un richiamo molto valido ancora oggi, per l’agire efficace del sindacato e della politica. Questa lotta di massa non può essere fatta solo a colpi di manifestazioni e di scioperi nazionali. Deve essere viva anche nei territori e in grado di esercitare un potere di controllo sulle politiche reali che il governo attua, chiamando in campo (“come si è fatto in Emilia Romagna”) anche i Comuni, le Province, le Regioni ad attuare i provvedimenti presi e misurarne l’efficienza. Noi diremmo oggi una concertazione diffusa “multilivello”.
Nel discorso di Trentin c’è ovviamente molto di più di questo breve riassunto: sia per il ricco e puntuale contenuto che per la forma oratoria e la passione con cui il segretario generale della Fiom accompagna il suo intervento in quei momenti duri: un discorso da “sindacalista combattente”, si dovrebbe dire.
Grazie davvero a Giuliano Cazzola che ha trovato questa vecchia (ma attualissima) registrazione e che ha consentito a tutti noi di ascoltarla consegnandola al Diario del Lavoro.
Gaetano Sateriale