Il dibattito sul diritto alla disconnessione è più che mai attuale, da un lato, in previsione del ritorno alla situazione normale post-pandemia (per quanto sia possibile allo stato delle ultime vicende) e, dall’altro lato, in ragione del bisogno – universamente sentito – di arrivare ad una qualche forma di regolamentazione.
La legge 81/2017, art. 19, comma 1, dispone, testualmente che “L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Come ben noto, la sede istituzionale della regolamentazione del diritto alla disconnessione è nell’accordo individuale, attualmente eliminato dalla legislazione pandemica, in attesa del ritorno ad una situazione normale, quantomeno sotto il profilo dell’emergenza sanitaria.
Quello che può desumersi dalla stringata disposizione sopra richiamata è che l’accordo individuale deve essere la sede privilegiata – in un sistema a regime – per individuare/delimitare 1) i tempi di riposo del lavoratore, 2) le misure tecniche e/o organizzative necessarie per l’attuazione concreta della disconnessione.
La disconnessione, dunque, sembra essere un punto di approdo da attivare solo a seguito dell’accordo individuale, anche se non sembra raggiungere appieno (per la tecnica normativa adottata) la natura di un diritto soggettivo. In effetti, atteso il contesto legislativo letterale della disposizione, potrebbe addirittura essere messa in dubbio (considerato lo sfuggente contesto sintattico) la natura di un vero e proprio diritto soggettivo, in carenza di una precisa presa di posizione normativa in tal senso. Invero, un accordo individuale che non delimiti ed individui i termini e le modalità di disconnessione non potrebbe essere colpito da una sanzione di invalidità, dovendosi tuttalpiù considerare la previsione di legge come disciplinante un elemento “naturale” dell’accordo, come molti altri del resto.
Si parla, a proposito della questione in parola, di auspicati interventi normativi e contrattuali (collettivi), i primi per specificare al meglio i principi e i diritti, i secondi per determinare le modalità concrete di attuazione e delimitazione.
Il diritto alla disconnessione è specificamente disciplinato dalle proposte di legge C. 2417, C. 2667, C. 2908, secondo le quali, quando la prestazione lavorativa è svolta all’interno dei locali aziendali, il diritto alla disconnessione può essere esercitato durante la pausa, mentre quando la prestazione lavorativa è svolta fuori dai locali aziendali, le modalità per rendere compatibile l’esercizio del diritto alla disconnessione con l’obbligo di diligenza spettante al lavoratore sono definite mediante accordo scritto, con il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali.
Le pdl C. 2667 e C. 2908 configurano il diritto alla disconnessione come quello che si concretizza nel diritto di estraniarsi dallo spazio digitale e di interrompere la connessione alla rete internet. L’AC 2667 lo qualifica esplicitamente come diritto soggettivo.
Il percorso non è forse dei più virtuosi, ma offre qualche punto di approdo, quantomeno sulla qualificazione di un diritto soggettivo alla disconnessione, disciplinato sia in modalità specifica, sia in modalità rigida (staccare la spina).
Ritengo che la sede più idonea sia quella duplice di un intervento chiarificatore a livello legislativo e di una conseguente disciplina contrattuale collettiva che, in un’ottica di delegificazione sul punto, determini le modalità concrete (azienda per azienda, territorio per territorio, settore per settore, o, addirittura in veste di accordo interconfederale, come auspicato da Marco Biasi, in un suo intervento sulla rivista Lavoro Diritti Europa LDE, n. 4/2021).
Pasquale Dui