L’identità territoriale è un concetto mutevole e relativo su cui la letteratura storica, politologica e sociologica ha a lungo discettato. Tra i fattori fondamentali che influiscono sulla sua definizione c’è anche l’economia, che Salvatore Rossi, autore del saggio Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia (Il Mulino, 2023), usa come volano di un’agile e approfondita ricerca identitaria del nostro Paese nel confronto con altre cinque potenze mondiali. Già direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’istituto di vigilanza sulle assicurazioni, attualmente presidente di TIM, Rossi applica l’incontrovertibilità del numero e del dato statistico per dipanare un filo conduttore tra il passato e il presente che, attraverso il metodo comparativo, scontorna il profilo economico italiano in modo da restituire un vero e proprio identikit della nostra Nazione. L’analisi si caratterizza per la sua agilità e scorrevolezza, puntuale nella sua struttura che si definirebbe “narrativa” nonostante la natura saggistica che la contraddistingue, con il ricorso talvolta all’analisi storica – necessaria per capire la natura stessa di un’economia – e una particolare attenzione al metodo adottato, soprattutto per quanto riguarda le fonti dei dati.
Il volume si divide in sei capitoli, di cui i primi due – che saranno la nave scuola dell’intera trattazione – si concentrano sul “confronto a sei” tra l’economia italiana con quelle più grandi dell’Unione Europea – Francia e Germania – e quelle più grandi del mondo – Stati Uniti, Giappone, Cina. Il primo capitolo prende le mosse da un punto di vista descrittivo dell’economia, che viene decostruita attraverso quindici grandezze suddivise a loro volta in cinque sezioni – caratteristiche sociali, risultati complessivi, relazioni economiche con il resto del mondo, esiti complessivi delle politiche macroeconomiche, struttura dell’economia -; nel secondo capitolo, invece, l’autore si concentra sull’analisi comparata delle imprese, «il vero motore dell’economia», secondo gli ordini di numero e dimensione media e distribuzione per settori produttivi e merceologici delle grandi imprese.
Le “cattive notizie” che si traggono per il nostro Paese dal raffronto con le altre economie sono tante e, anche se possono apparire scontate, inserite in una visione d’insieme restituiscono un quadro allarmante: la difficoltà che l’Italia incontra a far lavorare i suoi cittadini, donne in particolare, «che discende sia dalla persistenza nella società di tratti culturali arcaici, sia da difetti organizzativi del sistema produttivo, sia da insufficienze delle politiche pubbliche del lavoro»; la bassa produttività, dipendente da tecnologia e abilità dei manager che in questi anni è addirittura diminuita; il basso tasso di risparmio dell’Italia, che «per una società che invecchia rapidamente […] non è un bel segnale di prudenza»; la fiducia parziale che riservano i mercati finanziari internazionali nei confronti dello stato italiano quando emette titoli di debito; la composizione delle nostre esportazioni, poiché vendiamo all’estero «meno servizi sofisticati di altri paesi» e «fra i beni tangibili, vendiamo relativamente pochi macchinari e dispositivi ad alta tecnologia»; la dimensione delle imprese italiane, la maggior parte delle quali sono piccole e poco competitive. Quest’ultimo punto in particolare risulta spiccatamente critico, dimostrando «il rachitismo del sistema produttivo italiano» – secondo la rivista Forbes «le imprese locomotiva, quelle che consentono al Paese di risalire dal 25° posto al mondo, che ci spetterebbe per popolazione, al 10° posto per PIL, sono in larga misura imprese di media dimensione, fuori dalla classifica di Forbes» – in un contesto globalizzato in cui le imprese, quelle grandi, sono sempre più incoraggiate «a esplorare nuovi mercati, a ricercare risorse più convenienti anche all’altro capo del mondo, a moltiplicare e intensificare le relazioni internazionali». Alla globalizzazione e al tema delle catene di valore è dedicato il terzo capitolo del libro, in cui l’autore mette in discussione l’opinione diffusa che questa sia arrivata ormai a un binario morto. Piuttosto, asserisce Rossi, la globalizzazione sta cambiando e gli ultimi significativi avvenimenti che hanno segnato il primo ventennio del 2000 hanno certo contribuito a questo esito: la crisi finanziaria globale del 2007-2008, la crisi dei debiti sovrani, la pandemia da Covid-19, l’aggressione della Russia all’Ucraina e le conseguenti sanzioni a carico della Russia da parte dei paesi occidentali. Inoltre, si sta ribaltando la logica di paesi sviluppati-paesi in via di sviluppo, per cui coloro che negli anni Novanta si sono visti “aggrediti” dallo sfruttamento da parte dell’occidente oggi si impongono come nuovi colossi del liberismo, imponendo nuove regole e nuovi assetti.
Tutti fattori, questi, che ridisegnano lo scacchiere economico e commerciale e richiedono nuove regole per far sì che ci si possa mettere al riparo da futuri sconvolgimenti (cui si fa riferimento anche nel quarto capitolo quando si parla di guerra con le armi e con i commerci). Il perimetro geografico della globalizzazione, quindi, si avvia paradossalmente a restringersi verso aree geografiche di concentrazione produttiva e di scambio commerciale che siano più di prossimità, «più ristrette anche se più omogenee, politicamente e culturalmente, all’interno delle quali le relazioni economiche multilaterali potranno comunque continuare a svilupparsi e anzi si rafforzeranno». In questo contesto all’Italia si offrono migliori possibilità per imporsi sulla scena come attore più strutturato, sfruttando «la sua indubbia capacità di invenzione e di commercio, ma anche con le sue imprese di modeste dimensioni».
Nonostante questo quadro a fosche tinte, dai risultati emergono anche buone notizie: il nostro Paese, infatti, è, seppure di poco, creditore netto nei confronti del resto del mondo, il che vuol dire che «la somma di tutti i crediti vantati dagli italiani nei confronti dei non italiani, sotto ogni forma (titoli, azioni, partecipazioni, crediti commerciali, prestiti, e così via), è superiore alla somma di tutti i debiti»; il posizionamento dell’Italia per popolazione (25° nel mondo) di qualifica come paese di taglia media; infine, nonostante lo spettro per età si va spostando verso le classi più anziane, la capacità produttiva «espressa dal valore che nella produzione viene aggiunto dal lavoro e dall’intelligenza umana alle materie di base e a tutti i componenti comprati all’estero, è molto superiore a quanto sarebbe coerente con la sua popolazione», per cui il Paese risale al 10° posto nel mondo.
Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia ha il merito di risultare un’utile cartina di tornasole dello stato di salute del nostro Paese, in cui passato e presente, l’Italia e il mondo, vengono messi a confronto in maniera dialettica per trarre risultati che comunque guardano al futuro. Assumendo l’identità economica territoriale come concetto centrale dell’intera trattazione, Rossi ne valorizza la sua essenza più dinamica, esplorando nelle pieghe dei suoi significati per rilevare quanto la nostra attitudine al progresso sia stata valorizzata o meno. Ma in ultimo, parrebbe che il potenziale economico dell’Italia, per essere espresso nel pieno delle sue potenzialità, debba essere necessariamente messo in sinergia con le altre qualità identitarie che hanno reso il nostro Paese grande nel mondo e in questo senso, guardare alla Storia e ai geni che l’hanno forgiato, ci favorirebbe lungo la strada per un nuovo rinascimento orientato al futuro.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Breve racconto dell’Italia nel mondo attraverso i fatti dell’economia
Autore: Salvatore Rossi
Editore: Il Mulino – Collana “contemporanea”
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 168 pp.
ISBN: 978-88-15-38397-6
Prezzo: 15,00€