Lavoro, sviluppo, lotta alle diseguaglianze. Per il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, sono queste le basi per un nuovo patto sociale per il paese. Ci sono tutte le condizioni, spiega Bombardieri, per una nuova fase di dialogo sociale. Questo richiede l’impegno di tutti gli attori coinvolti e una maggiore propensione della politica, troppo spesso vittima delle liti e delle divisioni dei partiti, al confronto e alla mediazione. Sicuramente, afferma il leader della Uil, il sindacato ha dimostrato un forte impegno unitario nell’ottenere risultati che hanno evitato lo scoppio di una vera e propria bomba sociale.
Bombardieri, da quando è scoppiata la pandemia si sono moltiplicati gli appelli per la creazione di un nuovo patto sociale. Per la Uil su quali basi di dovrebbe attuare?
Il momento drammatico che stiamo vivendo, sul versante sociale, della salute e del lavoro, richiede soluzioni straordinarie e il coinvolgimento di tutte le parti sociali e della politica. Anche al livello europeo, il dialogo sociale è uno strumento centrale da mettere in campo quando ci sono situazioni di crisi. Riguardo ai temi, crediamo che lo sviluppo, il lavoro e il contrasto alle diseguaglianze siano le direttrici che dobbiamo seguire.
Eppure, nonostante gli appelli, non si riesce a realizzare. Come mai?
C’è una scarsa propensione da parte della politica alla mediazione. Come ho detto, dar vita a un patto sociale, per portare il paese fuori da questa crisi e guardare al futuro, richiede una grande opera di confronto e di sintesi. Ma temo che la politica sia vittima e preda delle divisioni che attraversano i partiti.
Pensa che la situazione possa cambiare con Draghi?
Il confronto con l’Esecutivo di Draghi è iniziato molto bene. Ci siamo incontrati con il premier durante le consultazioni. Appena insediatosi, il ministro del Lavoro Orlando ha convocato le parti sociali, con tavoli tutt’ora aperti su molte questioni urgenti e primarie. E, inoltre, abbiamo firmato l’accordo con il ministro Brunetta per il pubblico impiego. Dunque le premesse sono buone. Come Uil continueremo comunque a vigilare, a valutare nel merito le singole decisioni e a chiedere di essere coinvolti per le questioni cruciali per il paese, come il Recovery Plan.
Come giudica il rapporto con il Conte 2?
L’ex premier Conte ha sempre rivendicato il dialogo costante con il sindacato, anche quando questa narrazione era smentita dalla realtà dei fatti. Dobbiamo dire che c’è stata una prima fase, appena scoppiata la pandemia, nel quale lo scambio con il governo è avvenuto, e i risultati sono stati ottimi. Il protocollo sulla sicurezza, firmato lo scorso aprile, è un unicum in tutta Europa. Uno strumento che ha garantito il diritto alla salute dei lavoratori senza fermare la produzione. Successivamente il confronto si è arenato, e il Conte bis ha preferito scegliere un approccio solipsista piuttosto che di condivisione.
Come nel ’93, naturalmente con le dovute differenze, anche oggi l’Italia si trova a dovere affrontare una crisi senza precedenti. Il dialogo sociale può essere uno strumento per realizzare quel patto sociale di cui tanto si parla, e traghettare il paese fuori dalla pandemia?
Oggi ci sono tutte le condizioni per dare avvio a una nuova fase di dialogo sociale. Le difficoltà che stiamo vivendo rischiano di mettere seriamente a dura prova il valore della coesione sociale. Tutti gli attori coinvolti dovrebbero impegnarsi per preservarla.
Ci sono le premesse nel sindacato perché questo avvenga?
C’è una forte unità di intenti all’interno del fronte sindacale. Assieme a Cgil e Cisl abbiamo ottenuto risultati importantissimi, come il blocco dei licenziamenti e la proroga della Cig per covid, che stanno salvando il paese da una tragedia occupazionale e sociale, senza dimenticare tutto il lavoro per garantire la sicurezza e la salute attraverso i protocolli per il contrasto alla pandemia.
Questo è il preludio per l’unità sindacale?
Bisogna capire che cosa si intende quando si parla di unità sindacale. Se la pensiamo nell’accezione di sindacato unico, come a volte la politica ha fatto, questo è un errore. Questo denota, da parte della politica, o una scarsa conoscenza del mondo sindacale o un vizio alla semplificazione che non fa bene. Quello che posso dire è che già c’è un’unità sostanziale nel sindacato, testimoniata dai risultati raggiunti.
Da parte di Confindustria avete riscontrato qualche apertura su questi aspetti?
Sul tema del dialogo sociale non abbiamo registrato molte aperture da parte di Confindustria. Sicuramente c’è stato un cambio significativo da parte del presidente Bonomi. Siamo passati da una prima fase in cui Confindustria voleva dar vita a un contratto innovativo, senza capire bene a cosa si riferisse, a un atteggiamento molto più costruttivo e partecipativo, dopo il rinnovo di contratti importanti di diversi settori.
Ritiene necessaria una legge sulla rappresentanza?
Non credo che ci sia bisogno di una legga sulla rappresentanza. In diversi settori già ci sono strumenti e modalità attraverso le quali poterne fare una pesatura. In edilizia, con le casse edili, nell’agricoltura e nel pubblico impiego. Semmai il problema potrebbe riguardare l’industria. Sulla scorta del Testo Unico del 2014, è stata fatta, nel settembre del 2019, una convenzione con Confindustria e Inps, per il rilevamento della rappresentanza sul modello del settore pubblico. Dunque, come dicevo, i mezzi già ci sono, si tratta solo di attuarli. Inoltre, il sindacato conosce i suoi numeri ed è pronto a farsi contare. Bisogna vedere se lo sono anche le controparti datoriali.
Quale contributo può venire dalla politica?
La politica può intervenire attraverso una legislazione di supporto per chi applica i contratti che riconoscono e tutelano appieno tutti i diritti dei lavoratori. Vede è una questione prima di tutto culturale incentivare quei contratti che riconoscono i permessi, la tredicesima e così via, penalizzando, ad esempio da un punto di vista fiscale, tutti gli altri. Quello che manca, semmai, è la volontà politica di intraprendere questa strada.
In Senato è stata approvata la direttiva europea sul salario minimo, che cosa ne pensa?
È una direttiva alla quale anche la Uil ha lavorato. In ambito europeo, il salario minimo viene applicato in quei paesi, come quelli dell’est, nei quali la copertura dei contratti collettivi è al di sotto del 60%. In Italia, invece, la copertura raggiunge l’85%. Il nostro compito è lavorare per allargare le tutele del contratto a quei lavoratori che al momento non sono coperti. Il messaggio che deve passare è che il valore da difendere non è il salario minimo ma il contratto, che garantisce i lavoratori in modo completo.
Nonostante il momento difficile, le relazioni industriali e il sindacato hanno manifestato uno stato di salute invidiabile.
In questo anno di pandemia il sindacato ha dimostrato di esserci. Abbiamo perso dei compagni, ma le nostre sedi sono rimaste sempre aperte essere vicino ai cittadini. Non solo lavoratori, ma anche pensionati e giovani si sono rivolti al sindacato, e questo testimonia il nostro impegno e soprattutto i risultati che siamo riusciti a ottenere che, come dicevo, hanno disinnescato una vera e propria bomba sociale.
Tommaso Nutarelli