“È inaccettabile vedere slogan e striscioni fascisti vicino alla stazione di Bologna (..). La violenza distrugge ogni buona ragione, quando la fai e quando te la fanno (..). Quindi non guardiamo agli antagonisti, ma a quelli che hanno reagito affacciandosi dalle finestre. Sentiamo cosa pensa la gente di Bologna”.
Come dare torto alle parole del misurato Pier Luigi Bersani apparse oggi su La Stampa. Il sindaco del capoluogo emiliano, Matteo Lepore, tira dritto contro la maggioranza. “Ci avete inviato 300 camice nere invece che degli aiuti per l’alluvione”. Accuse che si uniscono al fatto che nonostante un’iniziale contrarietà a far svolgere il corteo dei sedicenti patrioti espressa dal comitato per l’ordine pubblico, il primo cittadino tira in ballo una chiamata che sarebbe venuta da Roma per far cambiare rotta.
E visto che la tutela dell’ordine pubblico è una delle stelle polari dell’azione del governo, era forse meglio impedire ai patrioti di radunarsi a Bologna piuttosto che fare leggi che mettono in carcere chi protesta per il clima.
Il ministro dei Trasporti Salvini, che di tutto si occupa tranne che dei trasporti, ha chiesto la chiusura dei centri sociali, infestati da “zecche rosse” violente, alzando i toni dello scontro. Si potrebbe pensare a schermaglie da campagna elettorale prima del voto regionale, ma forse il limite della decenza è stato ampiamente superato. Perché far sfilare i neo fascisti di Casapound in una città come Bologna era una provocazione che si poteva chiaramente evitare. La buona politica dovrebbe placare e alleviare le fratture del tessuto sociale invece di alimentarle.
Certo gli epigoni del duce possono trincerarsi dietro l’articolo 21 della Costituzione che afferma il diritto di ogni persona a poter esprimere liberamente il proprio pensiero. Ma questo amore per la nostra Carta non deve essere unidirezionale. Essa va abbracciata tutta, ne va riconosciuto il suo spirito antifascista e magari non ne va invocata una scomposta modifica quando non risponde ai desiderata politici di uno specifico partito.
Per la sinistra e le forze progressiste incentrare la loro comunicazione politica sul pericolo fascismo non ha premiato. Lo si è visto alle elezioni in Italia e anche in quelle recenti americane, dove per Trump è stato riservato appunto l’appellativo di fascista. Il vero pericolo non è il ritorno del fascismo storico. Certo i nostalgici ci sono e forse ci saranno sempre, ma i rischi maggiori vengono da un humus politico e culturale che a parole si dice contro ogni totalitarismo, ma che alimenta atteggiamenti e prassi che erodono progressivamente il perimetro della democrazia.
Complottismo, creazione del nemico, attacco alle minoranze e alla stampa, irritazione per la separazione dei poteri e per ciò che impedisce a un potere di prevaricare sull’altro, culto delle personalità, un ragionamento e una sintassi semplici che portano a una schematizzazione semplicistica e a soluzioni propagandistiche, e quindi irrealizzabili, dei problemi. Quando vediamo questi comportamenti dobbiamo drizzare le antenne.
“L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo”. Così scriveva Umberto Eco. Parole sulle quali riflettere.
Tommaso Nutarelli