Si potrebbe iniziare dall’ovazione a Sergio Mattarella: un tempo interminabile, oltre due minuti con la platea confindustriale tutta in piedi a spellarsi le mani per il presidente della Repubblica, più che mai evidente punto di riferimento in un paese allo sbando. Sarebbe certo ingeneroso confrontare tanto entusiasmo con la freddezza degli applausi -di pura educazione- ricevuti poco dopo dal Ministro dello Sviluppo, al suo primo intervento all’Assemblea annuale, e dal premier, anche lui al debutto davanti a questa platea. Inevitabile, invece, il paragone tra il gelo della platea che ha avvolto oggi Di Maio e Conte e le ovazioni ricevute lo scorso anno, nella stessa occasione, dai loro due omologhi Carlo Calenda e Paolo Gentiloni: all’epoca, ancora per poche ore, rappresentanti del governo sconfitto dai gialloverdi nelle urne del 4 marzo, esponenti di un governo che alle imprese e all’economia aveva prestato molta attenzione, ottenendo notevoli risultati. Non lo stesso si può dire di quello attualmente in carica. E l’applausometro, puntualmente, lo registra.
Per restare al gioco degli applausi, vale anche la pena di sottolineare che nell’intervento di Vincenzo Boccia i passaggi più applauditi hanno riguardato frasi che sottendevano una critica all’esecutivo: su Tav e infrastrutture, frenati dai Cinque Stelle, ma anche sulla gestione degli immigrati e le frontiere chiuse, volute invece da Salvini, sulla necessità di restare in Europa, e, infine, sulla ‘’bulimia’’ nella ricerca di un consenso pesato con i ‘’like’’ sui social, accusa che riguarda forse un po’ tutti, ma certo Salvini di più.
Nella relazione di Boccia, l’ultima da presidente di Confindustria, non emerge però un allarme sullo stato della nostra economia, né una critica esplicita all’operato dei due partner di governo e alle loro bizze. In un passaggio il leader degli industriali si limita ad avvertire che il governo è uno soltanto e come tale verrà giudicato: “Questo gioco che il governo fa anche l’opposizione con noi non fa presa. Le scelte del governo per noi sono le scelte del governo”. Tradotto: sia Cinque Stelle che Lega saranno giudicati anche per gli errori commessi dal partner di governo, non si illudano di salvarsi l’anima e i voti fingendo di giocare due partite diverse.
Sta di fatto che oggi la Lega in platea non c’è (Salvini ha declinato l’invito e gli altri hanno seguito l’esempio) mentre i Cinque Stelle sono presenti al gran completo, e Di Maio siede al posto d’onore sul palco, accanto a Boccia e ai massimi dirigenti confindustriali. Ed è abbastanza evidente che la Confindustria, oggi, si sente più vicina ai grillini, ai quali Boccia manda infatti messaggi nemmeno troppo subliminali: come l’apprezzamento per lo sblocca cantieri e il decreto crescita, definiti (generosamente, e forse troppo) ‘’un primo passo’’, o come la proposta, inedita, di far pagare di più ai ‘’ricchi’’ la sanità e la scuola pubblica, ricavandone le risorse per ridurre le tasse a chi ha di meno. Un principio di ‘’redistribuzione’’ dal sapore grillino. Di Maio ricambia mantenendo il profilo da ‘’responsabile’’ recentemente assunto, e scaricando per l’ennesima volta il partner Salvini: “mai pensato di rinunciare alla disciplina nei conti pubblici -scandisce il ministro dello Sviluppo dalla tribuna -credo si debbano stigmatizzare dichiarazioni sul 140% del Rapporto debito Pil”. Gli imprenditori ascoltano in silenzio, non lo applaudono. Non è facile conquistarli a parole, aspettano fatti.
A voler leggere tra le righe la relazione di Boccia, si può dire che gli imprenditori guardano soprattutto a dopo il voto europeo, alle difficoltà di tenuta della maggioranza di governo, all’autunno che rischia di essere ‘’freddissimo’’ per la nostra economia. Per cui, ecco l’appello a maggioranza e opposizione: collaboriamo tutti insieme, dice Boccia, “costruiamo insieme un programma serrato che faccia radicalmente mutare la percezione sull’immobilità dell’Italia e che ci permetta di affrontare il confronto con i partner europei sul bilancio e sul debito da pari a pari, forti di un progetto credibile e concreto”.
‘’Un atto di generosità’, lo definisce il presidente degli industriali, che guardi al futuro delle giovani generazioni e che coinvolga tutti, parti sociali e politica, maggioranza e opposizioni. Parole, le sue, che richiamano alla mente analoghi appelli del 2011, anno orribile della crisi conclusosi con il governo tecnico di Mario Monti, all’epoca molto caldeggiato dalla Confindustria targata Marcegaglia. Monti salvò l’Italia, ma schiacciò col peso dei suoi provvedimenti i partiti che all’epoca lo sostennero, Pd e Forza Italia in primo luogo, aprendo la strada al boom elettorale dei Cinque Stelle del 2013 e, a seguire, a quello della Lega.
Stavolta la Confindustria sembrerebbe puntare su qualcosa di simile: un governo, forse ancora una volta tecnico (all’Assemblea si è notata la presenza di Carlo Cottarelli) col sostegno di tutte le forze politiche, che vari la difficilissima manovra d’autunno, valutata da Confindustria in 32 miliardi solo per rimettere in sesto i conti pubblici. La Lega accetterebbe una soluzione simile? O si sfilerebbe, lasciando spazio solo a un’alleanza tra Pd e Cinque Stelle, magari con l’apporto di Forza Italia? È a questo che guarda la Confindustria? Boccia ovviamente non lo esplicita, ma nella sua relazione (che un ex Cgil ed ex segretario Pd, poi passato con gli scissionisti, come Guglielmo Epifani definisce ‘’quanto più di sinistra si sia sentito negli ultimi anni’’) tratteggia un programma per uscire dal pantano dello spread e della bassa crescita.
Dieci punti, che vanno dalla riduzione del costo del lavoro, “puntando sui contratti a tempo indeterminato”, a un “un piano shock” per grandi infrastrutture e piccole opere, a diecimila assunzioni “di giovani qualificati’’ nella PA, a maggiori risorse alla Giustizia per ridurne i tempi, al ruolo alla Cdp per pagare i debiti della PA verso le imprese. E ancora, Boccia chiede una “spending review di legislatura” non destinata solo a operare tagli e a reperire risorse, ma a migliorare la qualità della spesa; propone una maggiore compartecipazione alla spesa pubblica “per le classi più abbienti”, cominciando da sanità, scuola e trasporto pubblico locale, per finanziare una generale riduzione del carico fiscale; chiede di rendere strutturale il credito di imposta per il sud, e di eliminare il dumping contrattuale grazie a una legge sulla rappresentanza: “individuare con certezza quale sia il contratto collettivo da prendere a riferimento per la retribuzione giusta”. Risolvendo, così, anche il nodo del salario minimo legale. Infine, e non poteva mancare, chiede di creare meccanismi “ancora più efficaci” di contrasto all’evasione fiscale, incentivando l’uso della moneta elettronica.
Un ‘’decalogo’’, in pratica, che le forze politiche dovrebbero sottoscrivere e realizzare nei prossimi quattro anni di legislatura, portandoci magicamente verso la ripresa e il risanamento dei conti pubblici. Ma si torna al punto chiave: quali forze politiche? Quale maggioranza? Quella “giallo verde”, che nemmeno si rivolge più la parola, o quella ‘’giallo rossa’’, vale a dire Pd-Cinque Stelle, per ora tutta ipotetica ma che nei corridoi del post assemblea molti davano stamattina come unica possibile soluzione all’impasse post europee? Probabilmente alla Confindustria non dispiacerebbe. Dispiacerebbe moltissimo, invece, se dopo le europee si tornasse al voto: “vorrebbe dire un’altra campagna elettorale e solo questo basterebbe al Paese per ricominciare a fare un’altra politica del presente. Speriamo si abbia invece una visione di medio temine”, ha spiegato Boccia ad Assemblea ormai conclusa. Intanto, attorno a lui si affollavano colleghi imprenditori con lo smartphone sguainato, in attesa del loro turno per farsi un selfie col Presidente. Che Salvini, ormai, ha dettato una moda, e tutti ne sono contagiati, perfino i più compassati confindustriali.
Nunzia Penelope