Eugenio Scalfari incontrò Enrico Berlinguer alla fine del 1979, anno nel quale il Pci aveva subito una considerevole flessione elettorale, e rimase colpito dalla sua “solitudine politica”. Ha ricordato il giornalista: “Vedi – mi disse – abbiamo perso nei quartieri operai e popolari delle grandi città, non in quelli borghesi. Sono gli operai che ci hanno punito. Dobbiamo capire perché e dobbiamo recuperare quei voti. Ogni altro ragionamento viene dopo. Non hanno capito il nostro discorso sull’austerità. Noi abbiamo dato ma in cambio non abbiamo ricevuto niente”.
Una frase esemplificativa dei tormenti che squassavano l’animo del segretario comunista, ossessionato non tanto dai cattivi risultati del partito in quanto tale ma dalla presunta incomprensione con quella classe proletaria dei cui interessi voleva farsi carico in maniera quasi mistica. Se non si capisce questo, è impossibile trovare il filo conduttore tra scelte apparentemente contraddittorie che vanno dal compromesso storico allo scontro sulla scala mobile, passando per i cancelli della Fiat. In ciò stava la generosa diversità, morale e ideologica, che, tra errori e ripensamenti, lo ha accompagnato fino al sacrificio estremo, quel 7 giugno del 1984, mentre, pur colpito da un ictus cerebrale, si sforzava di continuare a parlare, in piazza, a Padova, esortando alla lotta.
Proprio le memorie di Scalfari sono riportate con evidenza da Giorgio Benvenuto nella stimolante prefazione al ponderoso ma avvincente libro, oltre quattrocento pagine, scritto da Antonio Maglie e Marco Zeppieri, “Una storia di eresie e scomuniche”. Il sottotitolo spiega in maniera esaustiva di cosa si tratti: “Sindacati e sinistra dall’autunno caldo alla questione della scala mobile. Il complesso rapporto fra Cgil, Cisl e Uil ed il Pci di Enrico Berlinguer. L’impegno comune contro il terrorismo”. Il volume (scaricabile gratuitamente dal sito fondazionebrunobuozzi.eu) è intessuto di testimonianze, citazioni, analisi. Un lavoro certosino, condotto con appassionata acribia, che ricostruisce in modo esemplare uno dei periodi più travagliati e intensi del nostro recente passato.
Si tratta di un’opera complessa, con tanti protagonisti, comprimari e semplici comparse. Un pezzo di storia del sindacato, non certo una biografia di Berlinguer. Ma alla fine risulta lui il personaggio principale, il fuso attorno al quale si annoda il lungo filo del saggio.
Un incrocio perfetto, rilevano gli autori. Berlinguer diventa segretario del Pci nel 1972 e tre mesi più tardi, al termine di un lungo travaglio, nasce la Federazione Unitaria Cgil, Cisl e Uil. Muore dodici anni dopo, nel pieno di una divisione sindacale che aveva toni simili alle scissioni del 1948.
Eppure, Maglie e Zeppieri non lo mettono sul banco degli imputati. Ne rilevano, ovviamente, gli errori, in specie, dal loro punto di vista, nel rapporto con i socialisti, lo tacciano di aver mantenuto una vecchia concezione del sindacato come cinghia di trasmissione ed evidenziano le mortificazioni inflitte a Luciano Lama, costretto a firmare per un referendum che non voleva. Ma ne rimarcano l’assoluta buona fede, il nitore etico, il coraggio dello strappo definitivo con l’Unione Sovietica, la ricerca di una terza via, l’inflessibilità nella lotta contro i brigatisti. E gli rendono un commosso e partecipato onore delle armi.
La rievocazione dell’ultimo comizio fa venire i brividi: “Quella sera, a piazza dei Frutti davanti alla colonna romanica che è uno dei simboli di Padova, la storia si è fermata, insieme alla vita di un uomo. Le parole faticavano a farsi suono, si impigliavano come i pesci in una rete. «Accesso al lavoro, alle professioni, alle carriere…» Si tolse gli occhiali mostrando un volto segnato dalla sofferenza; bevve un po’ d’acqua. E continuò: «Invito…». Ancora una pausa, la folla che urlava il suo nome capendo che qualcosa non andava. Gli chiesero di fermarsi: «Basta, basta». Antonio Tatò provò a portarlo via. Ma lui continuò: «Impegnatevi tutti in questi pochi giorni che ci separano dal voto, con lo slancio e la passione che sempre i comunisti hanno dimostrato nei momenti cruciali della vita politica…» Un’altra interminabile, drammatica pausa. «Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini”.
Non poteva che morire così, sempre più disperato, annotò Scalfari, “arringando la sua gente e regalando al partito, in uno sforzo estremo, un paio di punti in percentuale”. Ma Benvenuto, che pure ai tempi della rottura sul decreto di San Valentino stava dall’altra parte della barricata, si dice “convinto che se non fosse scomparso così tragicamente, forse sarebbe stato possibile trovare una soluzione”.
Una domanda che riecheggia intrigante nel libro: “Avrebbe trovato il bandolo di una matassa così intricata che ancora oggi il Paese paga il prezzo di quel garbuglio? “.
Marco Cianca