Questa settimana sono andato nel bel cinema di Narni intitolato a Mario Monicelli a vedere il film di Andrea Segre “Berlinguer – La grande ambizione”. Lo storico segretario del Pci viene descritto molto bene, soprattutto nella fase di allontanamento del Pci dall’Unione sovietica di Leonid Breznev e in quella di avvicinamento alla Dc di Aldo Moro. Il film termina con l’uccisione dello statista democristiano per mano delle Br e nulla dice su altri fatti importanti che pure videro protagonista il leader comunista, la battaglia per la scala mobile e l’apparizione di Berlinguer ai cancelli della Fiat nel corso della vertenza del 1980. Ma proprio questa carenza mi ha fatto tornare in mente i momenti difficili che il paese visse in queste due occasioni.
Allora lavoravo a Il Sole 24 ore e mi occupavo dei temi del lavoro e, naturalmente, in quelle settimane ero totalmente occupato a seguire la vertenza Fiat. Non ero a Torino in quel 26 settembre ma seppi nei particolari cosa accadde quella mattina. Molti dissero, e hanno continuato a dirlo, che Berlinguer nei fatti spronò in quell’occasione i lavoratori della Fiat a occupare lo stabilimento di Mirafiori. In realtà non andò assolutamente così.
Ma occorre partire dalla vertenza difficile che si stava consumando. La Fiat, in grandi difficoltà dopo un decennio complesso, attraversato da grandi vertenze operaie partite dall’autunno caldo del 1969, aveva deciso di licenziare 15mila persone, considerate in sovrappiù. Il sindacato naturalmente si oppose e si avviò un negoziato che si rivelò subito molto difficile, soprattutto per un sindacato che veniva da un decennio nel quale vinceva tutte le battaglie, a volte senza doverle nemmeno combattere. La vertenza non procedeva e fu così che si arrivò al blocco dei cancelli di Mirafiori, il grande stabilimento Fiat a Torino. Non entrava e non usciva più nessuno. Il fermo durò per 35 giorni, lunghi e pesanti per chi li visse sulla propria pelle.
In questa situazione, politicamente molto tesa, tante personalità si recarono ai cancelli di Mirafiori per portare la loro solidarietà ai lavoratori in lotta. Tra questi, naturalmente, anche il segretario del Pci. Partito che, il film lo ricorda più volte, si considerava ed era nei fatti, il partito dei lavoratori. Come era abitudine, tenne un discorso. Nulla di fondamentale, non disse cose particolarmente forti. Ma a un certo punto un delegato della Fim Cisl gli pose una domanda. Questo delegato, Domenico Liberato Norcia, non era uno dei tanti sindacalisti dello stabilimento torinese. Era stato un protagonista dell’autunno caldo, tanto è vero che pubblicò qualche anno dopo un piccolo libro, intitolato “Io garantito”, scritto con la collaborazione di un segretario nazionale Fim, Fausto Tortora, nel quale espose le ragioni e le motivazioni che avevano spinto lui e i suoi compagni a dar vita all’autunno caldo.
Norcia in quella mattinata del 26 settembre subito dopo il discorso del leader comuinista si rivolse a Berlinguer e gli chiese. “Segretario, ma se noi occupiamo la Fiat, il Pci sarà con noi”? Berlinguer, che pure era avvezzo ai momenti delicati, si trovò forse in difficoltà, proprio perché non voleva passare per un barricadiero. Esitò, poi fu esplicito. “Se voi lavoratori occupate la Mirafiori, il Pci non vi lascerà soli”. E scoppiò così una grande polemica, con tutti i benpensanti che lo accusarono di aver spinto i lavoratori alla rivolta, di alimentare lo scontro sociale in un momento già molto teso. La polemica fu durissima, ma il segretario del Pci era stato molto accorto nel dosare le parole, come del resto faceva sempre e in occasioni ben più difficili e complesse. La responsabilità della decisione, disse in pratica, è vostra, dei lavoratori, siete voi che dovete decidere cosa fare. Il partito dei lavoratori non potrà lasciarvi soli.
Non ci fu verso, quella era la vulgata che andava per la maggiore e nulla avrebbe potuto cambiare quella versione “ufficiale”. Non era quella la verità, ma la ragione politica fu più forte. Mi sarebbe piaciuto se il film di Segre avesse raccontato questa piccola verità.
Massimo Mascini