Poeti sociali. Capaci di sognare e di creare speranza. Così il Papa si rivolge ai giovani che in tutto il mondo animano i movimenti popolari di impronta cattolica. Un discorso tanto forte quanto ignorato dai media. “E’ ora di frenare la locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso”. Bisogna rompere il tacito patto “tra l’egoismo dei forti e il conformismo dei deboli”. “Dalla pandemia non usciremo mai uguali. Ne usciremo o migliori o peggiori, non come prima”. “Ritornare agli schemi precedenti sarebbe davvero suicida e, se mi consentite di forzare un po’ le parole, ecocida e genocida”.
Ecco l’esortazione ad agire sapendo che “le morti annuali per fame possono superare quelle del Covid”. “Non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull’esclusione e la diseguaglianza, sullo scarto o sull’indifferenza. No!”. Il Pontefice invita a fronteggiare “i discorsi populisti d’intolleranza, di xenofobia, di aporofobia, che è l’odio per i poveri”. Obiettivi epocali che, a suo dire, passano attraverso scelte concrete. E tra queste indica il reddito minimo universale (Rmu) e la riduzione della giornata lavorativa: “Ritengo che siano misure necessarie, anche se ovviamente non sufficienti. Non risolvono i problemi di fondo ma sono possibili e segnerebbero un positivo cambiamento di direzione”.
“Un salario minimo – spiega- affinché ogni persona possa accedere ai beni più elementari della vita. È giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità. Non dimentichiamo che le grandi fortune di oggi sono frutto del lavoro, della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnica di migliaia di uomini e donne nel corso di generazioni”.
“La riduzione della giornata lavorativa – prosegue – è un’altra possibilità. E occorre analizzarla seriamente. Nel XIX secolo gli operai lavoravano dodici, quattordici, sedici ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di otto ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora, insisto, lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza”.
Parole che avrebbero trovato, viene da dire, l’immediato ed entusiasta consenso di Pierre Carniti. Già, è come se Francesco si facesse sindacalista. Tanto che un orfano di Ratzinger come Antonio Socci lo accusa di fare “il mestiere della Cgil” invece che il pastore di anime.
È davvero singolare, Francesco. Unico. E così resterà nella storia. Parlando del recente intervento chirurgico ha accusato: “Sono ancora vivo nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati. Preparavano già il conclave”. Un’affermazione clamorosa che rimarca quanto siano forti i contrasti interni. Gli scandali, dalla malversazione alla pedofilia, fanno tremare le fondamenta stesse della Santa Sede. Di fatto, sembra che si sia entrati in un clima di successione. L’apertura, domenica scorsa, 17 ottobre, del sinodo dei vescovi in tutte le diocesi del mondo servirà a capire dove sta andando la Chiesa.
Lui, dal soglio di Pietro, condanna l’aborto e l’eutanasia, nel pieno solco della tradizione cattolica, con così tanta enfasi da apparire un ultraconservatore. Ma poi parte lancia in resta contro le disuguaglianze sociali ed economiche mettendoci un carico di passione degno di un Che Guevara disarmato. Tanto da far vacillare il dogma della proprietà privata, a partire da quella dei brevetti sui vaccini.
Proprio il Diario del Lavoro ha raccontato e analizzato, anche con la presentazione del bel libro di Giacomo Costa e Paolo Foglizzo, la sua rivoluzionaria dottrina sociale. Ora Bergoglio fa proposte concrete, pensando ad una sorta di contratto universale che garantisca i più deboli e bandisca lo sfruttamento. Ed entra a pieno titolo, ampliandolo e nobilitandolo, nel dibattito nostrano sulla questione salariale.
Anche i sindacalisti dovrebbero essere poeti sociali.
Marco Cianca