Il primo Papa gesuita nella storia della Chiesa, il primo Papa con il nome di Francesco. Basta mettere insieme queste due cose per capire la portata rivoluzionaria del suo pontificato. La lucidità con cui ha indirizzato la sua Chiesa su terreni di grande innovazione, la scelta di stare sempre dalla parte degli ultimi. La capacità diplomatica di dialogare con tutti gli Stati e tutte le religioni, senza nascondere la diversità di vedute e di opinioni.
Non è necessario essere esperti di religione cristiana per cogliere la portata universale delle sue encicliche. A partire, a me pare, dalla “Laudato si’” del 2015, che riprende la poesia di San Francesco e la traduce in una politica moderna che lega in maniera inscindibile il benessere degli uomini e la tutela del nostro pianeta: la lotta contro le diseguaglianze sociali con la difesa della biodiversità, delle foreste, dell’ambiente, per un nuovo modello di sviluppo. E tutto questo sei mesi prima che venisse approvata dall’ONU l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.
Le encicliche di Papa Francesco non sono solo richiami ai principi del cristianesimo, sono indirizzi per le politiche da adottare per trasformare quei principi in fatti. E tracce di comportamenti che lui quotidianamente praticava, come l’attenzione ai migranti e ai detenuti, contro la trascuratezza dei governi. Basti ricordare che il suo primo viaggio da Pontefice in carica è stato a Lampedusa e che ha voluto visitare Regina Coeli sei giorni fa.
Su quegli indirizzi e quelle tracce ha lavorato e lavora un diffuso mondo associativo cattolico che interviene a compensare i crescenti vuoti delle politiche pubbliche, a partire dal Welfare.
Pur rispettando le regole generali della Chiesa, Papa Francesco ha aperto a una maggiore partecipazione delle donne e (seppure con qualche contraddizione) ha riconosciuto piena dignità alle diverse sessualità: “Chi sono io per giudicare?”
Anche in materia di lavoro Papa Francesco era di grande precisione e attualità.
Ho avuto la fortuna di pubblicare un’antologia del suo pensiero e dei suoi scritti dal titolo “Il lavoro è dignità” (Ediesse, 2018, a cura di Giacomo Costa e Paolo Foglizzo) in cui si trova una conoscenza dettagliata del lavoro attuale e delle sue diverse forme nelle varie aree del mondo e la necessità di valorizzare il lavoro per evitare la sua marginalizzazione: per cancellare il “lavoro usa e getta” e tornare a considerare il lavoro come via di emancipazione e di piena cittadinanza.
Anche sulle morti bianche la denuncia di Papa Francesco è stata costante e puntuale. Per questo motivo il sindacato degli edili della Cgil (la Fillea) gli ha proposto nel 2022 una tessera honoris causa che lui ha immediatamente accettato.
Mi piace ricordare che ho avuto la fortuna di incontrarlo di persona, assieme alla redazione della rivista dei gesuiti “Aggiornamenti sociali”, e che sono rimasto colpito dalla simpatia delle sue battute, dal buon senso dei suoi consigli e dal sorriso che mi ha rivolto quando gli hanno detto che ero della Cgil.
Ma i bei ricordi non sono nulla rispetto alle continue, coerenti, precise prese di posizione di Papa Francesco in questi ultimi anni, mesi, giorni di grande confusione mondiale e di crescente rischio che le relazioni internazionali tra gli Stati si trasformino in guerre commerciali e in guerre cruente con stragi di civili e di bambini. Su tutti gli scenari di guerra Francesco, “il Papa del Sud del mondo”, non ha mai smesso di richiamare la necessità del disarmo, della pace, della convivenza, della protezione dei più deboli.
Cadono le braccia a pensarci: dopo 2000 anni l’umanità ancora persegue il motto latino “si vis pacem para bellum”. Papa Francesco no: era esplicitamente contro il riarmo perché non esistono armi che non vengano prima o poi usate e tra la vera convivenza pacifica e le presunte tregue armate c’è una enorme distanza. Per non dire delle finte tregue e delle “ritorsioni preventive” che vengono quotidianamente adottate anche da Paesi che si dicono democratici, contro gli eserciti e soprattutto contro la popolazione civile.
In questo mondo che sembra impazzito Papa Francesco si è battuto fino all’ultimo dimostrando di essere, oltre che padre della Chiesa, un capo di Stato vero, ragionevole e coerente con i suoi principi di pace e convivenza: forse l’unico rimasto.
Papa Francesco ha tracciato una strada da percorrere anche all’interno della Chiesa cattolica, pur tra le critiche e gli antagonismi ancora esistenti di chi lo considerava troppo aperto e permissivo.
Anni fa, un amico che lavora in Vaticano ha voluto esprimergli direttamente la propria solidarietà di fronte ad alcune obiezioni interne alla gerarchia ecclesiastica. Papa Francesco ha sorriso e gli ha risposto: “Non ti preoccupare troppo, la Chiesa cattolica è una monarchia assoluta”.
Speriamo che qualcuno raccolga presto la sua piena eredità.
Gaetano Sateriale