Domattina i 153 membri del Consiglio generale della Fim, il sindacato dei metalmeccanici della Cisl, eleggeranno segretario generale Marco Bentivogli. Un giovane, ha 44 anni, figlio d’arte, suo padre è stato anche lui alla guida della Cisl negli anni ottanta, determinato a cambiare le carte in tavola. Parla di sindacato 2.0 per far capire che serve un rinnovamento totale, che il sindacato deve cambiare strada, deve soprattutto andare incontro a quella che già nel 1998 lui chiamava la generazione invisibile. Invisibile al sindacato: quella dei giovani che le grandi organizzazioni sindacali hanno guardato con troppo poco interesse e troppo poca attenzione. con il risultato che si è creato un fossato tra il sindacato confederale e i giovani. Un fossato che deve essere colmato e anche in fretta perché ne va del futuro del sindacato. E il primo passo deve essere quello di rendere effettiva l’autonomia del sindacato, la sua lontananza dal mondo della politica.
Bentivogli quali sono i suoi obiettivi, cosa vuole fare da segretario generale della Fim?
Io una cosa so. Che al sindacato confederale serve un rinnovamento generale. O ci rinnoviamo o non ci sarà nessun futuro. Ci serve un nuovo modello organizzativo e una rinnovata capacità di stare tra la gente con idee nuove, impegnative. Altrimenti non abbiamo alcuna possibilità di costruire il nuovo. Ci serve uno sforzo creativo per ricostruire gli obiettivi di rappresentanza e di tutela.
Dovete ridiscutere tutto?
Sì, proprio tutto, a partire dai rapporti con il governo e le nostre controparti. La Confindustria giudica negativamente il percorso di avvisi comuni con il sindacato. Il governo nega la concertazione.
Questo è un problema?
Assolutamente no, ma il governo sbaglia quando generalizza l’immagine del sindacato, quando non sa distinguere.
Quindi sindacato e governo prendono le distanze dal sindacato. Questo cosa comporta?
Questo rischia di spingerci verso la realtà di un sindacato solo di protesta, che in quanto tale ci condanna a un’eroica sconfitta, lì dove Landini e Camusso sembrano portarci.
E allora? Che dovete fare?
All’interno del nostro modello organizzativo e della nostra proposta contrattuale dobbiamo riuscire a dare cittadinanza politica, organizzativa e contrattuale agli invisibili.
Chi sono gli invisibili?
Le nuove generazioni, i nuovi lavori, i lavori precari, i lavoratori delle nuove aziende. Tutti spaccati della nostra rappresentanza che stiamo regalando all’antipolitica e all’antagonismo.
Non è facile raggiungerli.
Adesso sono fuori dalle nostra piattaforme aziendali e nazionali, dalla nostra politica di welfare. I costi delle riforme sono sempre a carico di questi soggetti, specialmente dei giovani. Il mio compito è porre fine a questa realtà, dar loro ascolto e parola
I giovani però non si fidano del sindacato.
Solo un giovane lavoratore su dieci in Europa è iscritto al sindacato. E in Italia la situazione non è diversa. Il sindacato italiano è forte, ma è debole sui giovani. Per loro non abbiamo appeal. Per questo dico che bisogna cambiare la ritualità e le forme organizzative. Un compito difficile, ma fondamentale. Il nostro popolo è sordo rispetto a troppa parte del mondo del lavoro. Dobbiamo porci questo problema, e risolverlo.
Con una riorganizzazione profonda delle vostre strategie?
Anche, ma soprattutto la nostra deve essere un’azione forte e profonda, perché non ci interessano le battaglie per la sopravvivenza, non ci interessa vivacchiare, vogliano recuperare un rapporto forte con quelle figure, con quei lavoratori. Io non credo che Renzi ricordi la Tathcher, certo non voglio far fare ai lavoratori italiani la fine dei minatori inglesi. Per questo voglio una nuova politica, attenta ad altri obiettivi.
E’ in questo spirito che avete avviato la riorganizzazione interna?
E’ stata un’operazione importante. Abbiamo ridotto a un terzo le federazioni provinciali e adesso stiamo costruendo il sindacato dell’industria unificando in una sola organizzazione metalmeccanici, chimici, tessili, lavoratori dell’energia. Un sindacato forte di 350mila lavoratori, capace proprio per questo di avere una sola voce per la politica industriale e per le strategie contrattuali. L’obiettivo è quello di spostare il baricentro di tutto il sindacato in basso, verso le Rsu, sui luoghi di lavoro. Questa deve essere la nostra prima linea.
C’è poca unità sindacale nei suoi orizzonti.
Il tema dei rapporti unitari deve essere sempre presente nei nostri orizzonti. E se Fiom e Cgil prendono le loro distanze da atteggiamenti più consoni a regolamenti di conti a sinistra, tutto sarà più semplice. Noi comunque non rinunceremo mai al nostro ruolo, non faremo politica, non ci schiereremo con i partiti. Perché è la nostra base a chiederlo. Per noi l’autonomia è un valore da preservare. In un momento in cui il rapporto di fiducia è messo in discussione, la nostra credibilità trova fondamento proprio nell’autonomia. Schierarsi in occasione delle primarie Pd o essere invischiati nei tentativi di creare qualcosa alla sinistra del Pd, sono tutte cose che rovinano l’immagine del sindacato. Noi ce ne staremo alla larga. Ma la stampa ci dovrebbe aiutare.
In che modo può aiutarvi?
Abbandonando le immagini stereotipate del sindacato, tra l’altro vecchie. Tutti i media dicono che il sindacato è inadeguato e vecchio, ma tutti sono affezionati a pezzi di sindacati sempre meno rappresentativi, sostanzialmente simbolici e alla fine innocui. E’ sintomatico che l’altra settimana con gli operai in piazza a prendere manganellate ci fossimo tutti, ma sono diventati centrali Landini e la Fiom, quando la Fim è il sindacato che all’Ast di Terni ha il maggior numero di tessere e raccoglie più voti di tutti alle elezioni delle Rsu. Ci piacerebbe un mondo dell’informazione meno geloso di spettacolarizzazioni e attento alla creazione di personaggi, più attento alla narrazione della realtà.
Bentivogli come si sente a prendere il posto che fu di Pierre Carniti?
Era un grande sindacato, capace di cogliere le novità che venivano dal paese. Ed erano tante, erano gli anni di Kennedy, di Kruscev, di Giovanni XXIII, era un mondo nuovo che si stava aprendo. Quei sindacalisti ebbero mille difficoltà, ma una fortuna, quella di fare battaglie di dignità, per il riscatto e l’emancipazione. Era come camminare in montagna, è duro, ma alla fine c’è la conquista della vetta. Noi adesso camminiamo nel deserto, è durissimo, anche sapendo che in questo modo possiamo portare le persone fuori dalle difficoltà. Penso che noi dobbiamo recuperare quello spirito di frontiera.
Massimo Mascini