Bentivogli, come giudica l’esclusione dei sindacati dall’incontro a Palazzo Chigi sulla vertenza della ThyssenKrupp?
Sicuramente l’aver escluso dall’incontro di oggi chi l’incontro l’ha voluto, cioè il sindacato, non porterà nessun giovamento. Anzi, sarebbe stata un’opportunità feconda quella di poter ascoltare i rappresentanti dei lavoratori in vista della prossima riunione del cda del ThyssenKrupp, che finora è stato partecipativo soltanto con i sindacati tedeschi, ma sordo alle istanze di lavoratori e sindacati di altre nazionalità.
Quali sono, ad oggi, i punti fermi di questa vertenza e quali le questioni ancora da trattare?
Quello di Terni è uno stabilimento fra i più tecnologicamente avanzati e competitivi, soprattutto in quanto alla lavorazione della lega inossidabile, che può rappresentare un assist importante per l’Italia. Ma, da quando l’antitrust europea ha preso l’assurda decisione di far riacquisire il sito alla ThyssenKrupp, l’impianto corre il rischio di essere messo in vendita sotto forma di uno “spezzatino industriale” che porterà a dividere e spacchettare la parte produttiva dai centri servizi. E il sindacato vuole cercare proprio di preservare l’integrità del sito.
La vostra esclusione è frutto della caduta della concertazione?
A noi interessa poco dove discutere i problemi. Ci interessa soprattutto il confronto, il reciproco ascolto e risolvere le vertenze, oggi fin troppo centralizzate. Il problema di fondo, che contestiamo, è che a Terni, così come anche a Piombino o a Taranto, ci sono istituzioni locali che vogliono giocare a fare i sindacati, invece di agire per un superamento dei nodi nella competitività territoriale. La ritualità della concertazione, per questo, andrebbe preclusa alle istituzioni locali in cerca di “passerelle” finalizzate solo alle campagne elettorali e a nascondere le proprie inadempienze. Mentre ognuno, credo, dovrebbe imparare a giocare bene il proprio ruolo.
Ma, secondo lei, la concertazione ha un futuro?
Non è stato certo Renzi a celebrare il funerale della concertazione, ma tutti gli ultimi governi. Beh, in realtà, qualche corresponsabilità viene anche dal fronte sindacale. Noi, come Fim e Cisl, non abbiamo mai sentito il bisogno spasmodico del tavolo e non ci è mai interessato nemmeno il diritto di veto. L’unica cosa che riteniamo importante è il confronto portato avanti in tempi utili per approdare a decisioni efficaci. Come si dice in fabbrica, quando su una macchina il venerdì ci mette le mani un ingegnere appena uscito dall’università, senza confrontarsi con l’operaio che ci lavora, puntualmente il lunedì successivo c’è il fermo macchina per malfunzionamento. Così funziona anche in un paese moderno in cui, senza interlocuzione con la rappresentanza sociale, si finisce a fare le mediazioni con i forconi e con gli ultrà. E, visti i connotati populisti acquisiti anche dalla politica, ritengo che sarebbero poco utili mediazioni avanzate tra populisti di diversa estrazione.
Dato che, presumibilmente, la contrattazione acquisirà un ruolo sempre più predominante, pensa che il tema dell’organizzazione del lavoro sarà uno dei suoi temi portanti?
A mio avviso la contrattazione senza una base partecipativa rischia di far fare passi indietro. La partecipazione dei lavoratori è fondamentale in quanto da essa dipende non solo la sostenibilità sociale, ma anche finanziaria dell’impresa, dato che è stato dimostrato che un sindacato coeso porta il gruppo manageriale a battersi per conseguire migliori performance produttive e finanziarie. In questo senso ritengo che la “vecchia idea” di adottare una formazione congiunta tra i settori manageriale e sindacale, sia valida tutt’oggi. La partecipazione organizzativa è senza dubbio la strada migliore per tenere insieme gli interessi condivisi tra impresa e lavoratori e per migliorare organizzazione e produttività del lavoro. Certo, è evidente che per far passare questa idea occorrerebbe una rivoluzione culturale, tanto negli ambienti sindacali così come imprenditoriali. Ma l’idea c’è, quindi perché non provarci?
Fabiana Palombo