Il mondo cambia, deve cambiare anche il sindacato. Marco Bentivogli, il segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, non è preoccupato per i nuovi equilibri politici, ma pensa che adesso, proprio per combattere le tentazioni di disintermediazione, il sindacato debba stringere il contatto con i lavoratori. Ma crede anche che il sindacato confederale debba avere maggior rigore verso populismi e razzismi, quanto di più antitetico c’è ai valori del sindacato. E il cambiamento deve arrivare il fretta, altrimenti, afferma, perdiamo il treno.
Bentivogli, come guarda il sindacato ai nuovi equilibri politico che si stanno determinando?
Non è la prima volta che forze politiche tentano operazioni di disintermediazione. Certo, i partiti che sono stati premiati alle elezioni politiche danno indicazioni molto esplicite di una strategia che tende a bypassare le forze sociali.
Voi come reagirete?
Ovviamente cercheremo un’interlocuzione, misureremo le persone, i programmi, le azioni politiche nel merito. E’ evidente che questo sarà per noi un motivo in più per rafforzare il rapporto con le persone che rappresentiamo.
Del resto, da lì viene la vostra forza.
Sì, e lo faremo anche come misura preventiva, perché le azioni di disintermediazione funzionano se diminuisce la forza del sindacato, il suo rapporto quotidiano con i lavoratori. Rafforzando il legame con le persone possiamo quanto meno scoraggiare gli attacchi al sindacato.
Il contatto con i lavoratori però è sempre più difficile.
Perché il lavoro è sempre più frammentato, ma proprio per questo il sindacato deve essere capace di girare pagina rispetto al novecento. Un sindacato legato a vecchie logiche non è in grado di rappresentare i lavoratori. E poi io credo che l’azione di rigenerazione del sindacato debba essere ancora più forte anche perché spesso i lavoratori chiedono al sindacato di riparare ai disastri combinati dall’azione di governo dei partiti che quegli stessi lavoratori hanno premiato.
Vi crea problemi che vostri iscritti votino in massa partiti tradizionalmente non vicini al sindacato?
La domanda politica del lavoratore non corrisponde alla domanda sindacale. Al sindacato il lavoratore chiede di svolgere al meglio il mestiere di rappresentanza. Ai partiti affida gli interessi generali, spesso anche il suo sfogo, la capacità di reazione allo status quo attuale.
Quindi nulla che vi tocchi?
No, io credo che anche noi abbiamo responsabilità che non dobbiamo e non possiamo negare.
Cosa vi rimproverate?
Negli ultimi anni siamo stati un po’ troppo neutrali sulla partita valoriale. Noi siamo organizzazioni autonome, non indifferenti. Abbiamo considerato compatibile con l’appartenenza sindacale, con la militanza sindacale accostamenti al razzismo e culture populiste che sono quanto di più lontane dalla cultura sindacale e dalla ricerca di giustizia sociale che esprime il sindacato.
Che può accadere al sindacato se non si ferma questa deriva?
Il rischio è quello di assistere al sequestro di quella che veniva chiamata coscienza operaia, che può essere solo solidale. Il messaggio sindacale, mettere assieme le persone per risolvere i problemi, è quanto di più antitetico e antagonista ci possa essere alla politica populista.
Lei parla di un profondo rinnovamento del sindacato. Ma gli attuali vertici saranno in grado di effettuare questa riconversione?
Se saranno capaci lo sapremo. Io conto di contribuire a questa logica rinnovatrice. Vale sempre la regola delle tre R: perché la nuova politica dovrà essere radicale, rifondativa e rigenerativa. Radicale perché scelte di manutenzione ordinaria non hanno più alcun senso, rifondativa perché va ricostruito il rapporto con i lavoratori, rigenerativa perché i sindacati devono tornare a essere luoghi aperti a più culture, con identità aperte, non luoghi dove si chiudono gruppi dirigenti che si abbracciano tra di loro cercando il consenso al di fuori delle loro organizzazioni.
L’ultimo accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil non ha espresso contenuti particolarmente rigenerativi.
E’ un accordo che comunque ha messo assieme Confindustria e le tre confederazioni sindacali. Due anni fa nessuno avrebbe scommesso che si sarebbe riusciti a firmare anche solo un titolo.
Secondo lei ha un suo valore?
Rappresenta un passo in avanti, ma la partita vera si giocherà nella fase successiva, quando si dovrà gestire l’accordo, specie quando si dovranno rinnovare i contratti nazionali di lavoro. Le relazioni industriali dovranno essere rivisitate, dovranno saper anticipare il cambiamento, la progettazione sociale.
Quindi la svolta potrebbe venire dalla prossima stagione contrattuale?
Deve venire dai nuovi contratti. Noi metalmeccanici abbiamo firmato un accordo molto innovativo, basti pensare al diritto soggettivo alla formazione o al contratto visto come un grande contenitore di welfare. Ma falliremo il nostri obiettivo se non riusciremo a fare un contratto molto diverso dall’ultimo. Quando tutto cambia attorno a noli è necessario fare cose nuove. O si rischia di fare un contratto buono solo per chi lo sottoscrive e questo segnerebbe il declino delle relazioni industriali. Noi non lo consentiremo.
Possiamo escludere che il declino delle relazioni industriali sia dietro l’angolo?
Non lo possiamo escludere. La partita della rappresentanza è sempre aperta. Conterà cosa sapremo fare, cosa metteremo in campo. Conterà la capacità di abbandonare le abitudini routinarie e scoprire cosa serve davvero oggi. Il mondo del lavoro, le fabbriche stanno cambiando sotto i nostri piedi. O ci muoviamo in fretta o rischiamo di perdere il treno.
Massimo Mascini