Il futuro è questo, lavorare meno e usare questo tempo liberato per tante altre cose, in primis per la formazione. Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl, la mitica Fim, non ha dubbi. L’obiettivo non è quello di stare tutti a casa il venerdì, ma avere tempo libero per fare quello che più serve. Una trasformazione resa possibile dall’avanzare della tecnologia e dal fatto che la produttività è sempre più collegata ai risultati. Si tratterà allora di contrattare quanto più possibile con le imprese, come del resto si sta già facendo, e soprattutto di fare tante sperimentazioni, tutte diverse tra loro per tracciare una rotta. Importante, tenere alta la produttività. E non è escluso che si possano anche fare scambi tra i premi di produzione e tempo di lavoro. Da utilizzare anche per la formazione, che non si fa più solo in aula o in reparto, ma davanti a un computer, appunto, nel tempo liberato.
Benaglia, quella della settimana di quattro giorni è la strada giusta per conciliare maggiore produttività delle aziende e maggiore benessere dei lavoratori?
Non so se questa sia la strada giusta da percorrere, so che questo è il tempo per progettare un nuovo equilibrio tra le persone e il lavoro, con un occhio alla produttività e alla crescita. Di strade ce ne saranno tante, non esiste una formula matematica unica e giusta. Ma soprattutto non siamo di fronte a uno slogan del 900, meno orario a parità di salario. Dobbiamo partire dal fatto che oggi tante persone, anche tra i metalmeccanici, lavorano per risultati. Non solo gli autonomi, e che c’è sempre più attenzione al coinvolgimento delle persone. E se l’attenzione è certamente concentrata sul salario, per far fronte all’inflazione, cresce anche l’interesse ad avere un lavoro più sostenibile, a partire dalla gestione degli orari.
Le imprese lo sanno?
Certo che lo sanno. E per accaparrarsi i talenti, che sono sempre più scarsi sul mercato del lavoro schiacciato dalla demografia, sono pronte a una contrattazione di flessibilità che porti maggiore produttività e maggior benessere dei lavoratori.
Orari più flessibili, non necessariamente i quattro giorni?
Non penso che il venerdì tutti restino a casa o vadano al mare. Per me flessibilità degli orari vuol dire liberare del tempo che può poi essere impiegato in attività oggi fondamentali nel rapporto tra vita e lavoro. Penso alla conciliazione tra lavoro e cura delle persone, che siano figli o anche genitori, e penso alla formazione, perché i bisogni di aggiornamento professionale si stanno moltiplicando.
Ma parliamo di grandi numeri o questa trasformazione interesserebbe solo una cerchia assai ridotta di lavoratori?
Certo non tutti i lavoratori rientrano in questa condizione. Chi lavora a una catena di montaggio, come chi ha dei turni in un ospedale, ha dei vincoli di orario molto forti. Ma anche il lavoro manifatturiero sta liberando sempre più flessibilità. Ci sono montatori che controllano macchine che sono distanti mille chilometri. Questa è una realtà molto vasta oggi nelle fabbriche. Non parliamo quindi di un’élite privilegiata di lavoratori. Il tema della riduzione dell’orario e della liberazione di tempo è una cosa che tocca tutte le persone.
Ma come ci si può arrivare?
Bisogna rendere questa operazione sostenibile e per ottenere questo risultato a mio avviso non serve una legge o un contratto nazionale di lavoro, servono dieci, cento, se possibile mille accordi aziendali, diversi tra loro, che traccino una strada adatta e facciano capire che in questa direzione possono essere spese delle risorse.
Forse le imprese sono interessate, ma Confindustria non sembra entusiasta.
Le imprese sono molto interessate a cercare il benessere dei lavoratori e se per ottenere questo risultato la chiave sono orari sempre più concertati questa è una cosa che si può fare. Confindustria mette in guardia perché il paese deve continuare a crescere, perché la produttività è decisiva, ma la realtà è che oggi tantissimi lavoratori non raggiungono le 40 ore, dove c’è tanta contrattazione gli orari si sono progressivamente ridotti. Adesso si tratta di tracciare una strada per i prossimi anni, altrimenti imprese e lavoratori faranno da soli.
È questo il compito del sindacato?
Noi dobbiamo accompagnare questa trasformazione con un’intelligente contrattazione di supporto e con le sperimentazioni. Nessuno ha la bacchetta magica. Ma il futuro è questo.
State già trattando con le aziende su questo tema?
Noi stiamo portando avanti un’intensa contrattazione con le aziende, che non è finita con la pandemia e adesso si sta rilanciando. Stiamo cercando di creare il clima adatto per poter immaginare un cambiamento del genere. Dobbiamo sperimentare, non ci sarà un contratto calato dall’alto, dovremo sperimentare in alcuni reparti e in alcuni ambienti produttivi, poi si vedrà. Ma cerchiamo di guardare anche ad altre soluzioni.
Quali soluzioni?
Una diversa fruizione dei premi di risultato, che in alcune aziende metalmeccaniche sono molto alti, arrivano ai 2mila euro l’anno. Abbiamo già provato sulla base delle disposizioni della legge di bilancio del 2016, a realizzare scambi tra premio di risultato e welfare. C’è chi vuole i soldi, ma anche chi vuole altre cose, l’asilo nido pagato, per esempio. Lo stesso possiamo fare con il tempo di lavoro, aprendo così spazi di libertà per le aziende e per i lavoratori.
Sempre prestando attenzione all’andamento della produttività?
Questa è la prova del nove. Ma oggi la produttività è sempre più collegata con i risultati e non sui pezzi prodotti l’ora. Se con una tecnologia più avanzata produci di più puoi liberare del tempo, che puoi usare come credi, spalmarla sulla giornata, la settimana, l’anno.
Ed è possibile usare questo tempo liberato per la formazione?
È la nostra formula, perché riqualificarsi è sempre più importante. E del resto non ci si forma solo in aula o in reparto durante l’orario di lavoro. Ci si forma sempre più online e questo si può fare da casa nel tempo che è stato liberato. Una flessibilità che va bene all’azienda e va bene al lavoratore.
Massimo Mascini