Una disparità incomprensibile, tra pubblico e privato, nei tempi di erogazione e nel riconoscere ai lavoratori il diritto di usufruire, in tempistiche ragionevoli, di quelle risorse che hanno accumulato nel corso della loro carriera lavorativa. Sono questi i motivi che hanno spinto l’Unsa, il sindacato del pubblico impiego della Confsal, a mettere in campo un’offensiva giudiziaria contro il decreto “Salva Italia” del Governo Monti, che ha introdotto diversità significative nell’erogazione del Tfr per il settore pubblico e privato. Massimo Battaglia, segretario generale dell’Unsa, fa il punto della situazione al Diario del lavoro.
“Un qualsiasi lavoratore pubblico – spiega Battaglia – percepisce la propria liquidazione dopo 36 mesi. Un cambiamento sopraggiunto dopo il Governo guidato da Monti. È dunque venuta meno la possibilità per i dipendenti pubblici di poter usufruire in tempi brevi del proprio Tfr. Un nostro dipendente, andato in pensione, si è costituito parte civile con il nostro patrocinio, e tramite di lui abbiamo chiesto al Tribunale di Roma di eccepire l’incostituzionalità della norma che disciplina il Tfr del pubblico impiego”.
“Il 12 aprile – continua Battaglia – ci sarà la seconda udienza, dopo la prima di fine novembre, e la nostra speranza è che il giudice accolga le nostre istanze e invii gli atti alla Corte Costituzionale”.
“C’è stata – prosegue il leader sindacale – una equiparazione tra pubblico e privato. Tuttavia i dipendenti pubblici stanno ricevendo il peggio del privato, continuando a offrire il proprio meglio. Questa disparità non può essere più tollerata, e speriamo che il giudice riconosca l’incostituzionalità di questo trattamento, che interessa una platea ampissima di lavoratori. Bisogna sottolineare – spiega Battaglia – come già in due occasioni la Corte Costituzionale si era espressa a favore dell’incostituzionalità della norma, tuttavia chi aveva presentato il ricorso aveva commesso un vizio formale. Come in tutte le cause il torto bisogna averlo subito, mentre chi si era mosso contro questo provvedimento non era ancora pensionato. Ecco perché abbiamo atteso che questo nostro dipendente ottenesse il trattamento di quiescenza”.
Un’azione che, come Battaglia precisa, il suo sindacato sta portando avanti in maniera autonoma: “La Cisl sta raccogliendo delle firme, ma si tratta di un’azione che non porta a nulla. E una sostanziale immobilità la stiamo riscontrando anche nella altre sigle Infatti per smontare questa norma serve o un intervento legislativo che la abroghi o un pronunciamento della Corte Costituzionale. Si tratta di un tema che non può essere intaccato con la prassi della contrattazione”.
“La nostra volontà -conclude Battaglia- è quella di portare avanti questa battaglia, per ridare dignità a un settore che ha sopportato in questi anni molte ingiustizie”.