Il comparto scuola sta vivendo un momento di grandi trasformazioni: il nuovo piano di reclutamento docenti, il rinnovo del contratto fermo dal 2006, i fondi del Pnrr, il restyling del merito e nel merito. Il sindacato Cisl Scuola continua a battersi in prima linea per una scuola più efficace che merita la giusta importanza, andando “oltre facili parole e promesse quasi sempre non mantenute”. Ce ne parla a segretaria generale della Cisl Scuola, Ivana Barbacci.
Iniziamo dal piano sul reclutamento docenti. Quali sono in numeri e le criticità?
Potremmo dire che passano le stagioni ma la situazione resta sempre la stessa. Infatti, in occasione delle operazioni di assunzione a tempo indeterminato per l’anno scolastico 2022/23, nonostante fossimo in presenza di diverse procedure assunzionali (addirittura 7) si è potuto coprire solo poco più del 50% dei posti disponibili. Sarebbe andata ancora peggio se non si fosse prorogata di un anno la possibilità di assumere, almeno sui posti di sostegno, dalla I fascia GPS (le graduatorie per le supplenze), come da noi richiesto. Da anni il tema del reclutamento è affrontato in modo sbagliato, con un approccio ideologico e sganciato dalla realtà. Si mitizzano i concorsi, che da soli non bastano, come dimostrato dai fatti, a garantire la copertura del fabbisogno. Nel frattempo si fanno lavorare precariamente, ogni anno, più di duecentomila insegnanti – senza i quali le scuole non potrebbero funzionare – ma non si riconosce il valore formativo di quel lavoro. Ingiusto e Illogico, nessun datore di lavoro, per testare la qualità di chi assume, preferirebbe astratte prove selettive rispetto a quanto può rivelare un’esperienza lavorativa. Da anni chiediamo che al lavoro precario, del quale non si dovrebbe mai abusare, sia dato un robusto sostegno formativo accompagnato da prospettive di stabilizzazione: un interesse anche della scuola, che dall’avere lavoro stabile guadagnerebbe sotto molti punti di vista. Una eguale attenzione va posta nei confronti del personale ATA andando, una volta per tutte, a superare il limite imposto alle assunzioni a tempo indeterminato sul solo turn-over (pensionamenti): è necessario procedere ad una stabilizzazione del personale su tutti i posti vacanti e disponibili: ce lo chiede la sempre maggiore complessità delle operazioni tecnico amministrative che ricadono sulle scuole e la necessità di garantire un servizio di sempre maggiore qualità nei confronti dell’utenza.
Si è molto discusso sul termine “merito” applicato alla scuola, e addirittura inserito nel nome del ministero. Qual e’ la posizione del sindacato?
Al merito abbiamo rivolto ancora una volta la nostra attenzione dedicando di recente al tema un convegno e il primo numero della nostra rivista trimestrale, Scuola e Formazione, rinnovata in modalità on line. Sulla scelta di inserire quel termine nella denominazione del Ministero avevo espresso da subito le mie perplessità, poiché troppe volte quella parola è servita a nobilitare modelli incentrati più sulla competitività che sulla cooperazione, orientati più a dividere che a unire. L’esatto contrario di quanto intende la nostra Costituzione quando richiama il merito per affermare il dovere di contrastare e superare squilibri e divari legati alle condizioni socio economiche. Se evocando il merito si vuole sottolineare che lo studio, oltre che un diritto, è anche un dovere, vale la pena ricordare che una delle scuole più accoglienti e meno divisive di sempre, la scuola di Barbiana, era anche quella che richiedeva ai suoi alunni il massimo di impegno e fatica nello studio. La scuola che vogliamo, una scuola che unisce, non è certo meno impegnativa e meno esigente di una scuola “meritocratica”, ed è senz’altro più giusta.
DL 44 su reclutamento e mobilità. La Cisl Scuola si è a lungo battuta a riguardo e ha formulato numerose osservazioni sottolineando soprattutto la necessità di rendere strutturali alcune misure importanti. Ci delinea un quadro complessivo?
Il D.L.44/22 interviene, nuovamente, in tema di reclutamento e mobilità. Per quanto riguarda l’intervento sul reclutamento, si estende anche per il 2023/24, come ho già ricordato, il sistema di assunzioni da I fascia GPS per i docenti specializzati. Noi lavoreremo perché il medesimo sistema sia previsto per i docenti abilitati (oggi ne abbiamo molti, a seguito del superamento dei concorsi, soprattutto per coloro che sono risultati idonei). Questa, per esempio, potrebbe essere una modalità di riconoscimento del merito (si assumono coloro che hanno superato tutte le prove concorsuali). L’assunzione dalle GPS dovrebbe, secondo la mia organizzazione, divenire strutturale, affiancando le ordinarie procedure concorsuali, garantendo la più ampia copertura dei posti disponibili nell’interesse della azione didattica per le studentesse e gli studenti. Il doppio canale di reclutamento rimane per noi il sistema più equilibrato, equo ed efficace per una politica del reclutamento che non si affidi a continue, confuse e sempre diverse soluzioni di emergenza.
Sulla mobilità, come sul reclutamento, un approccio astrattamente ideologico continua da anni a produrre norme che impongono vincoli e divieti, come se fosse questo il modo per garantire la continuità didattica. La realtà dimostra che la continuità è compromessa alla radice dal numero abnorme di contratti precari. Crediamo che sia il contratto, e non la legge, a dover disciplinare la mobilità. Nel frattempo siamo riusciti, sia nei contratti integrativi sia attraverso interlocuzioni e pressioni a livello politico, ad attenuare e rimuovere qualche vincolo; lo scorso anno consentendo, grazie a un contratto da noi voluto e firmato, di ottenere trasferimento a migliaia di neo assunti. Quest’anno, ottenendo per via legislativa la rimozione dei vincoli che avrebbero riguardato gli assunti nel 2022/23, i quali invece potranno fare domanda di mobilità.
In via generale, e sempre per capire cosa intendo quando parlo di approccio ideologico, vorrei far notare la contraddizione che c’è tra l’imposizione di vincoli alla mobilità, ostacolando il ricongiungimento di docenti (ma anche dirigenti) al proprio nucleo familiare, e le tanto sbandierate politiche di sostegno alla famiglia e alla genitorialità. La continuità va sostenuta e incentivata (e lo può pare benissimo il contratto), è del tutto sbagliato e controproducente imporla in modo vessatorio.
Differenze territoriali. Pare evidente ci sia un disallineamento tra nord e sud nel reclutamento del personale scolastico. Può spiegarci meglio?
Ciò dipende da un insieme di fattori, fra cui anche la differenza che esiste nelle opportunità di lavoro tra le diverse aree territoriali, in alcune delle quali la professione di insegnante si confronta con l’offerta di alternative ben più remunerative di occupazione. C’è poi da considerare l’estrema farraginosità delle procedure di formazione iniziale, che solo per la scuola primaria e dell’infanzia hanno un percorso – Scienze della formazione primaria – che non muta da tempo, mentre per le altre tipologie di insegnamento ci sono continui cambiamenti. C’è infine da dire che se il sistema di reclutamento, come noi insistiamo a dire, non fosse costruito quasi ossessivamente sui concorsi, ma avesse un canale di valorizzazione dell’esperienza di lavoro, anche nelle aree del nord, dove comunque le cattedre ogni anno vengono coperte, i posti vacanti sarebbero molti di meno. Lo ripeto: il precariato non sia visto come una zavorra, ma come una risorsa da valorizzare, governandone intelligentemente le opportunità di stabilizzazione.
Attuazione del PNRR. Qual è la relazione delle scuole con questo corposo intervento?
Si tratta di una operazione straordinaria che, finalmente, vede la scuola al centro di consistenti investimenti dopo anni di deprivazioni, nei quali consistenti risorse sono state spesso tagliate, per esigenze di cassa, dalle manovre di bilancio. Purtroppo, manca sull’utilizzo di quelle risorse un chiaro indirizzo strategico, come mancano azioni di formazione del personale per la predisposizione e la gestione di progetti così importanti e impegnativi. Il rischio è che un fatto in sé positivo, cioè le risorse economiche stanziate e che stanno arrivando a tutte le scuole, si traduca sostanzialmente in un forte aggravio di lavoro e di responsabilità, soprattutto per il personale Dirigente e Direttore amministrativo che si trova a gestire centinaia di migliaia di euro senza un percorso progettuale chiaramente sostenuto e orientato. Si potrebbe finire, in questo modo, per non utilizzare le risorse o di non finalizzarle al meglio.
Contratto istruzione e ricerca. A che punto siamo e quali le richieste del sindacato?
È ormai trascorso un anno da quando il negoziato si è aperto. Le indicazioni contenute nell’atto di indirizzo sono assolutamente ambiziose a fronte di un contratto che, normativamente, è fermo dal lontano 2006. Le risorse sulle quali la contrattazione può contare sono insufficienti a garantire un avvicinamento delle retribuzioni del personale scolastico italiano a quello europeo e nemmeno in grado di consentire un riallineamento delle retribuzioni nei confronti di quello delle altre P.A., Si pensi che per poter garantire al personale scolastico un aumento medio a 3 cifre la CISL Scuola, insieme alle altre Organizzazioni Sindacali, ha preteso una integrazione dell’atto di indirizzo originario in modo da poter utilizzare per tutti, e non solo per quote ristrette di personale, 300 milioni che altrimenti non sarebbero stati disponibili per il tavolo negoziale. È un contratto particolarmente complesso, il nostro, fatto in realtà di quattro contratti diversi, relativi a settori che hanno marcate specificità: Scuola, Università, Ricerca e AFAM. Un nodo difficile da sciogliere è la riscrittura degli ordinamenti professionali ATA, puntando da un lato a una giusta valorizzazione del ruolo del Direttore dei Servizi (DSGA), col dovuto riconoscimento agli assistenti amministrativi che da anni ricoprono quella funzione sui posti privi di titolare. Ci sono poi da riattivare, sempre per l’area ATA, le procedure di mobilità interna tra i diversi profili professionali. Sul versante del personale docente, il Contratto dovrà intervenire, come ho già accennato, sul tema della mobilità, puntando a superare le norme sui vincoli, dovrà intervenire sulla formazione del personale (docente ed ATA), individuando specifici ambiti per riconoscere il diritto alla formazione in servizio, dovrà definire con chiarezza le attività funzionali del personale docente (facendovi rientrare, come appena detto, le attività di formazione). Infine, si dovrà attualizzare il testo del contratto alla luce delle rilevanti innovazioni legislative intervenute dal 2006 in poi (si pensi alle disposizioni in favore della maternità, della genitorialità e dell’assistenza).
Durante gli stati generali della natalità il ministro Valditara ha parlato di un calo del numero degli studenti – e quindi dei docenti – se l’emorragia di natalità non viene fermata. Qual è la sua opinione?
Le proiezioni sul prevedibile calo del numero di alunni non sono una novità. La novità, invece, deve essere rappresentata dalla volontà politica di andare oltre alla meccanica ricaduta sugli organici del personale, proiettando, invece, la scuola nella direzione di una rafforzata capacità di svolgere il suo compito, sempre più impegnativo, specie nelle aree di maggior disagio e di più acuta emergenza educativa. Riducendo l’affollamento delle classi, per esempio, ampliando il tempo scuola e favorendo la personalizzazione della didattica. Sono questi gli strumenti sui quali si misurano, oggi e in prospettiva, la volontà e la capacità di una politica che voglia essere lungimirante.
Cosa serve per una scuola più efficace?
Dopo il quadro che abbiamo delineato, penso, che sarebbe sufficiente riconoscere, concretamente, alla scuola la sua giusta importanza andando oltre facili parole e promesse quasi sempre non mantenute. Le risorse destinate alla scuola devono essere considerate non un semplice costo, ma a tutti gli effetti un investimento. Guardiamo gli esiti, pubblicati in questi giorni, dell’indagine PIRLS 2021 (che valuta le competenze nella lettura degli studenti della IV classe della scuola primaria). In quadro di luci ed ombre, quei dati evidenziano, ancora una volta, come la scuola rappresenti il fattore fondamentale su cui agire per compensare le disuguaglianze territoriali: da qui la necessità di un forte investimento che sostenga anche la formazione dei docenti e ne incentivi la presenza nelle aree in cui il ruolo svolto dalla scuola si rivela più necessario e dove si richiedono in modo particolare efficacia e qualità della didattica. È in questo modo che si può lavorare in direzione di quella che la Cisl Scuola ha definito “una scuola che unisce”, quella che è al centro del nostro impegno quotidiano e per la quale non serve coltivare suggestioni autonomiste, mentre ne va ribadito e rafforzato il carattere unitario e nazionale.
Un commento sulle parole del ministro Valditara che agli Stadi generali dell’orientamento di Confindustria ha affermato che “il sistema scolastico attuale non è in grado di fornire le qualifiche richieste dal mercato del lavoro” ed occorre quindi “riformare la scuola” aprendola al mondo delle imprese.
Credo che il problema vero, in presenza di mutamenti continui e sempre più rapidi del sistema produttivo, sia di fornire a chi studia gli strumenti per seguirne le dinamiche attraverso una capacità di aggiornamento costante delle proprie competenze. È ormai finita da tempo l’epoca di figure professionali rigidamente formate, che trovavano corrispondenza con le tipologie produttive del territorio. Una subalternità al mondo della produzione che sarebbe oggi quasi impensabile, improponibile e addirittura controproducente, dato che la flessibilità è uno dei requisiti più richiesti sul mercato del lavoro. Detto questo, aprire la scuola al mondo delle imprese (aggiungerei e viceversa) è sicuramente una direzione da seguire, peraltro da tempo intrapresa, per esempio con l’alternanza scuola lavoro, oggi PCTO, sulla quale si fa spesso molta demagogia, anche strumentalizzando episodi tragici sui quali si sono anche costruite campagne che non brillano per onestà intellettuale. Quanto al fatto che occorra “riformare la scuola”, mi limito a dire che da più di vent’anni questa sembra essere l’ossessione di ogni governo e di ogni maggioranza. Non sempre con la necessaria lucidità di visione. La scuola non ha bisogno di riforme che sono spesso di facciata; avrebbe tanto bisogno di essere messa nelle condizioni per operare bene, a partire dal vedere riconosciuto in modo dignitoso e adeguato la professionalità di chi ci lavora.
Elettra Raffaela Melucci