Le notizie del Wisconsin ci confermano che la contrattazione è in un momento di difficoltà.
Gianni Baratta, segretario confederale della Cisl, la contrattazione ha un costo?
Sì, sia che si faccia nel pubblico che nel privato ha comunque un costo. Ma è il confronto negoziale tra le due parti, che magari hanno obiettivi diversi, che attraverso il negoziato si devono fondere, a migliorare le condizioni delle imprese, in termini di costi, ma anche quelle dei lavoratori, in termini di impiego. Può fare di più la contrattazione integrativa, che migliora la performance del lavoro permettendo di raggiungere una retribuzione maggiore. Questo perché la contrattazione di secondo livello può liberare più risorse.
Il conflitto è un dato positivo?
È una risorsa che va utilizzata con molta attenzione. Al centro studi della Cisl si dice che è l’‘estrema ratio’ di una scelta che ha una posizione intermedia. Quando vengono a mancare le soluzioni e il confronto negoziale o dialettico ha esaurito qualsiasi soluzione, se il risultato non è soddisfacente, per il sindacato rimane l’ultima arma da utilizzare. Noi comunque lo usiamo con grande parsimonia. In questo momento difficile che sta attraversando il paese, preferiamo lavorare sul merito più che scendere in piazza. Non vogliamo inflazionare la protesta ma valorizzare la proposta.
Quale peso aggiuntivo ha l’unità sindacale sulla contrattazione?
Una piattaforma e una trattativa condivise rendono più forte la proposta. In questo momento c’è una distanza oggettiva tra Cisl e Uil da una parte e Cgil dall’altra. Le differenze parlano da sole, dai 13 scioperi generali degli ultimi anni, agli accordi non firmati. Il nostro progetto di riforma è la risposta alle loro proteste che rischiano di essere sterili. Noi diamo risposte concrete, dall’accordo separato sul modello contrattuale, all’intesa sul salario accessorio nel pubblico impiego, alla proposta di riforma del fisco. Sarà il tempo ad avere il compito di giudicare.
E sulla rappresentanza cosa pensa la Cisl?
Il discorso è cambiato. Prima della forte divisione dovuta all’accordo separato avevamo condiviso nel 2008 un documento sulla rappresentanza che si ispirava al modello misto nel pubblico impiego e univa i lavoratori iscritti con i voti espressi per le Rsu. Questo modello integrava la democrazia rappresentativa propria della Cisl con quella di mandato, che caratterizza la Cgil.
E poi cosa è successo?
La proposta è stata abbandonata dalla dirigenza Camusso, che ha presentato una nuova ipotesi che stravolge quella piattaforma per cercare di venire incontro anche a quella minoranza della Cgil che non firma i contratti, la Fiom. Questo ha creato più distanza, prima o poi ci dovrà essere un ripensamento, altrimenti si rischia di trovare un accordo solo con chi ci sta oppure affrontare altri temi. Elementi di mediazione forte nel pubblico impiego ancora esistono.
La politica del governo non tende a irrigidire la contrattazione nel pubblico impiego?
Nell’ultimo biennio nel settore ci sono state due leggi (la 29 e la 165) che hanno spinto il settore verso la privatizzazione. La legge Brunetta (la 150) ha fatto un passo indietro, bloccando la privatizzazione e spostando il problema sull’efficienza, su un sistema premiante che fosse meritocratico, sulla formazione. La legge in realtà ha prodotto ben poco. La finanziaria ha bloccato il rinnovo dei contratti, ma in realtà è molto difficile spingere sulla meritocrazia se poi non si dà valore alla contrattazione. In Europa oltre al blocco della contrattazione nazionale si sono effettuati tagli sui salari per ridurre i costi. Noi invece abbiamo introdotto elementi di novità, non siamo rimasti ad assistere indifferenti, ma abbiamo rilanciato con la firma dell’accordo sul salario accessorio nel pubblico impiego.
Francesca Romana Nesci