Più donne al lavoro, meno giovani in fuga dall’Italia e, per contro, più immigrati in entrata. È semplice la ricetta indicata dal governatore della Banca d’Italia per affrontare la crisi demografica che incombe sul nostro paese. Nelle sue prime Considerazioni finali Fabio Panetta la dice piatta: “da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 persone all’anno. Questa contrazione si tradurrebbe in un calo del Pil del 13 per cento, del 9 per cento in termini pro capite”. Sono, quelli citati, i numeri recenti dell’Istat ma proprio la Banca d’Italia, in realtà, è stata tra i primi, e da parecchi anni, a lanciare l’allarme sul rischio demografico: quando ancora nessuno ne parlava, quando ancora sembrava fantascienza, distopia. Ma i ricercatori di Via Nazionale avevano già visto chiaramente il futuro di un paese che invecchia sempre più velocemente, dove non c’è ricambio generazionale e dove dunque, inevitabilmente, il numero delle persone in età lavorativa è destinato a ridursi anno dopo anno. Panetta cita infatti Jacques Delors e il suo Libro bianco, che trent’anni fa già rifletteva sul futuro dell’economia comunitaria, sottolineando: “allora il tema era la prospettiva dell’invecchiamento della popolazione, oggi è l’organizzazione di una società già invecchiata, che stenta ad adattarsi ai cambiamenti in atto”.
La ricetta che emerge dalla relazione del governatore è più o meno la stessa indicata già in molte occasioni, sia dai paper di ricerca sia dai suoi predecessori: e, stando a tutti gli studiosi della demografia e dei suoi effetti, è anche l’unica possibile. Se in Italia non si fanno abbastanza figli, impoverendo come effetto collaterale il mercato del lavoro (già molto impoverito: lo dimostrano gli ultimi dati Istat, dove aumenta quasi solo l’occupazione dei “vecchi”) è illusorio pensare di risolvere il problema inducendo le donne a riprodursi maggiormente. Occorre piuttosto sfruttare i “giacimenti” di forza lavoro ancora inutilizzati: come le donne, appunto. E poi fare in modo he i giovani non siano spinti fuori dai confini, creando le condizioni per migliorare le loro aspettative di vita e di lavoro. Ma, nell’immediato, vale anche attingere dove mano d’opera giovane ce n’è in abbondanza, in Africa, o in Asia, aumentando il numero di immigrati ai quali sia consentito arrivare in Italia legalmente per lavorare nelle nostre aziende. Come del resto proprio le aziende chiedono costantemente.
Dunque, da un lato il governatore suggerisce “misure volte a promuovere una diversa organizzazione del lavoro tra quello in presenza e quello a distanza”: per esempio, consolidando lo smart working, una misura che consente un più facile accesso al lavoro da quello che Panetta ha definito “il secondo percettore di reddito in una famiglia”, vale a dire le donne. Sempre un’ottica di maggiore immissione sul mercato del lavoro della componente femminile occorre poi anche “una revisione del sistema di detrazioni e trasferimenti che riduca i disincentivi al lavoro” delle donne, e infine “l’adozione di politiche per stimolare l’assunzione di persone da tempo fuori dal mercato del lavoro”.
Le donne, dunque. Dice Panetta: “nonostante la crescita dell’ultimo decennio, la partecipazione al mercato del lavoro, pari al 66,7 per cento, rimane di 8 punti percentuali inferiore alla media dell’area dell’euro”, ma se “il divario non è ampio per gli uomini”, sale “a 13 punti percentuali sia per i giovani tra 20 e 34 anni sia per le donne”. Il tasso di occupazione femminile, infatti, “è ancora al 52,5 per cento”. Un dato che richiama in causa, ancora una volta, la demografia: “in Italia è difficile conciliare impegno lavorativo e carichi familiari. L’abbandono del mercato del lavoro dopo la nascita del primo figlio è tra le principali motivazioni della bassa partecipazione ed è positivo che il Pnrr – sottolinea il governatore – dedichi risorse rilevanti ai servizi per l’infanzi”. Risorse e servizi che, per la verità, al momento scarseggiano, come dimostra il recente taglio deciso dal governo allo stanziamento per gli asili nido. Chissà se il richiamo di Bankitalia potrà invertire la tendenza.
E poi i giovani: Panetta ricorda che “molti hanno cercato migliori prospettive di lavoro all’estero, 525.000 giovani italiani sono emigrati tra il 2008 e il 2022; solo un terzo di essi è tornato in Italia. Hanno lasciato il Paese soprattutto i laureati, attratti da opportunità retributive e di carriera decisamente più favorevoli”. Questo esodo “indebolisce la dotazione di capitale umano del nostro paese, tradizionalmente afflitto da bassi livelli di istruzione”. Un problema gravissimo, soprattutto considerando che il capitale umano, scandisce il governatore, è proprio l’elemento chiave per superare l’altra grande sfida, quella della innovazione tecnologica e dell’intelligenza artificiale, che coinvolgerà due lavoratori su tre: “il capitale umano ha un ruolo decisivo. Il ritardo rispetto a molti paesi avanzati nelle competenze lavorative di giovani e adulti si riflette in una occupazione sbilanciata verso le professioni meno qualificate. Competenze e conoscenze sono il cardine non solo del progresso economico ma anche di quello civile”. E l’Italia parte svantaggiata, data “la minore disponibilità, rispetto al resto dell’area euro, di lavoratori con livelli di competenze adeguati”.
Infine gli immigrati: per Panetta, “è possibile che un sostegno all’occupazione derivi da un flusso di immigrati regolari superiore a quello ipotizzato dall’Istat. Occorrerà gestirlo, in coordinamento con gli altri paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali e rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri”. Ma è comunque chiaro, avverte, “che anche con maggiore occupazione e maggiori flussi migratori l’apporto del lavoro alla crescita dell’economia non potrà che essere modesto. Solo la produttività potrà assicurare sviluppo, lavoro e redditi più elevati”. La nostra economia, infatti, “è quella con la minore crescita del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo”, ma “non siamo condannati alla stagnazione”: il governatore infatti è assai ottimista, invita a “guardare al futuro con fiducia”, perché nulla è irrimediabile e “se l’economia italiana saprà, da un lato, affrontare le conseguenze del calo e dell’invecchiamento della popolazione e, dall’altro lato, imprimere una decisa accelerazione alla produttività, potrà conseguire ritmi di sviluppo sostenuti”. Insomma, ce la possiamo fare.
Nunzia Penelope