Raffaella Vitulano
Una delle forme più subdole di lavoro minorile, quello del lavoro domestico, è largamente diffuso in Bangladesh. Nella capitale, Dhaka, le stime di bambini – ma soprattutto bambine – al lavoro oscillano tra i 300.000 e un milione. I più piccoli cominciano a lavorare a 6 o 7 anni. I salari sono irrisori o inesistenti: secondo i casi, variano da tre pasti al giorno a 500 takas (9 dollari) al mese, a volte con la vaga promessa dell’imprenditore di pagare una dote per la bambina quando sarà adolescente o adulta. A questi salari, anche le famiglie a basso reddito nel paese si possono permettere un mini-cameriere domestico. Le bambine più piccole sono sovente occupate da “padroni” meno abbienti, che non percepiscono neppure 5 mila takas al mese: i loro pasti costano infatti meno di quelli di un adolescente di 15 o 16 anni. E’ facile, per una famiglia di Dhaka, procurarsi un domestico nelle campagne poverissime. I contadini spesso vendono direttamente i figli, e spesso ne perdono le tracce. In alcuni casi il minore è completamente alla mercé del “padrone”; le testimonianze di abusi sessuali e maltrattamenti e percosse sono frequenti. Shoishab Bangladesh, una Ong citata dalla Cisl Internazionale (Icftu) ha cominciato a lavorare nel 1991 con i bambini di strada. Shoishab adotta un atteggiamento cauto verso le famiglie che occupano minori: gli operatori suonano alle porte proponendo, con tono cortese, ore di studio gratuito per i minori, spiegando ai “padroni” che è loro interesse dare un’educazione ai loro piccoli domestici. E lentamente, uscendo di casa per le lezioni, a volte i piccoli comprendono la dura realtà loro imposta, ne prendono coscienza. E gli stessi padroni, seppur raramente, diventano più disponibili al dialogo e meno alle percosse. Una volta all’anno Shoishab organizza una festa invitando le famiglie: musicisti, maghi, artisti, comici, tentano di ridare il sorriso ai bambini. Ma loro, cosa ne pensano? Ecco due testimonianze. Khushi: “Adesso ho circa quattordici anni e lavoro per il mio “padrone” da quando ne avevo quattro. I miei genitori mi hanno donato a questa famiglia. Ricevo tre pasti al giorno ma nessun salario. Lavoro dalle sei del mattino alle ventidue o alle ventitrè, sette giorni su sette, anche se sono malata. Mi occupo dei tre figli della famiglia, pulisco la casa, lavo i piatti. Ora ci sono due adulti ad aiutarmi ma quando ho cominciato a lavorare ero sola. Il mio “padrone” è un uomo d’affari. All’inizio mi picchiava spesso, ora no,perché in fondo faccio parte della famiglia, mi dà fiducia. Non ho quasi più ricevuto alcuna notizia dalla mia famiglia d’origine, nè i miei genitori sono mai venuti a trovarmi. Ho ricevuto solo la notizia che mio padre era morto. Mi piacciono i corsi organizzati da Shoishab, ma mi dispiace arrivare sempre in ritardo perchè ho troppo lavoro. Forse un giorno scriverò la storia della mia vita, poichè ho veramente molte cose tristi da raccontare”.
Shamili: “Ho 11 anni, lavoro da un anno in una famiglia. Comincio alle 7 di mattina e lavoro fino alle 15, poi vado ai corsi di Shoishab per due ore e ricomincio a lavorare fino alle 22, tutti i giorni. Devo pulire i pavimenti, aiutare la “padrona” in cucina, prendermi cura dei bambini. Ricevo tre pasti al giorno ma nessun salario; dormo su un materasso in sala da pranzo. Non avevo mai avuto l’occasione di andare a scuola perché i miei genitori non ne comprendevano l’importanza. Vorrei continuare a studiare affinchè nessuno possa più approfittare di me”.