Se ci guardassimo allo specchio con attenzione troveremmo una notevole disomogeneità tra come ci immaginiamo e la nostra vera figura. Siamo un paese molto strano e complicato, dove le contraddizioni si presentano nelle vesti e nei colori più vari. Forse è inutile dircelo. Le cose non sempre si cambiano unicamente con le parole, ma a volte fa bene ricordare i paradossi del tutto nostrani.
Il governo ha mandato in pensione il reddito di cittadinanza per sostituirlo con l’assegno di inclusione. E la stretta maggiore riguarderà la categoria degli occupabili. La nuova misura si chiamerà “supporto per la formazione e il lavoro”. Entrerà in vigore il prossimo 1° settembre, con un assegno mensile di 350 euro erogato dall’Inps, per un massimo di 12 mei. I navigator non esistono più, e molti di questi continuano a operare nei cpi dopo aver superato i concorsi banditi dalle regioni. Nelle intenzioni dell’esecutivo c’è dunque la volontà di superare le lungaggini e le inefficienze della misura di stampo 5 Stelle. E chi è occupabile non deve poltrire troppo sul divano. Peccato che al momento, al di là di aver ribattezzato gli strumenti per contrastare povertà e precarietà, non si intraveda una reale rafforzamento delle politiche attive e dei centri per l’impiego. Ma andiamo avanti. Con una proposta di legge la maggioranza vuole alzare a 30 anni il limite di età per poter entrare nelle forze armate. Cosa c’entrano, dunque, le forze armate e i centri per l’impiego? Nella relazione che accompagna la proposta di legge c’è scritto che tutto questo “ha come obiettivo anche quello di dare una risposta a chi ha perso il lavoro e non riesce a trovarne un altro”. Così per il governo Meloni le forze armate diventano un grande ammortizzatore sociale. Ora vedere come un ripiego occupazionale i carabinieri, l’esercito o i vigili del fuoco non solo è svilente per il ruolo svolto da questi corpi. Ma il rischio è di avere anche futuri carabinieri o vigili del fuoco poco motivati e pronti per il compito, non di poco conto, che sono chiamati a svolgere.
Altra questione, di tutt’altra natura, balzata agli onori della cronaca è la lamentela dei sindaci di Firenze e Venezia sul fatto che gli interventi sugli stadi delle rispettive città non potranno rientrare tra le spese sostenute con il Pnrr. Sempre sul fronte Pnrr, entro il prossimo 30 giugno l’Italia deve portare a termine altri 27 target. Il buon esito assicurerebbe 4,6 miliardi per quasi 2.200 tra asili nido e scuole per l’infanzia, per un totale di poco più di 260mila nuovi posti in 2mila comuni. Il nostro paese è in ritardo. L’opzione sul tavolo è quella di chiedere una proroga fino a fine settembre. Pensare, invece, a una soluzione al ribasso sarebbe un autogol troppo vistoso per un governo che dice di avere a cuore i destini demografici della nazione. Eppure, girando per strada, l’eco sul fatto che con i soldi dell’Europa non si potranno riammodernare gli stadi è molto più forte del possibile rischio di non avere nidi e materne per un paese cha ha un disperato bisogno di figlie e figli.
Tommaso Nutarelli