“Tra noi e i Cinque Stelle ci sono innegabili punti di condivisione. La riforma del lavoro, o le pensioni, per esempio. Poi, naturalmente, ci sono molte altre cose su cui siamo lontani anni luce”. Michele Azzola, segretario della Cgil di Roma e del Lazio, non si nasconde dietro giri di parole. E quando gli si chiede il motivo di questo nuovo feeling che vede la confederazione rossa andare d’accordo col partito di Grillo, Casaleggio e Di Maio, risponde senza esitazioni:
“Dire che andiamo d’accordo e’ un parolone. Ma un italiano su tre li ha votati, percentuale che tra i nostri iscritti e’ anche più alta. E dunque non possiamo prescindere dal fatto che con loro si deve avere un rapporto. Inoltre, tra noi e i Cinque stelle ci sono punti di condivisione, come sulle pensioni e sul lavoro. Punti che, per assurdo, coincidono anche con alcune parti del programma della Lega. Poi ci sono molte altre cose su cui siamo divergenti. Inoltre, i 5 stelle non hanno una idea del paese, di futuro, ragionano sul giorno per giorno. Mentre l’Italia, per rilanciarsi, ha bisogno di una visione lunga, di vent’anni almeno. Ci vuole un’idea di sviluppo che provi a traguardare quelli che saranno gli effetti dell’automazione, di Industria 4.0. E i Cinque Stelle, su questo terreno, non mi pare abbiano idee.
Lei, come segretario della Cgil romana, ha a che fare ogni giorno con Virginia Raggi, sindaco Cinque Stelle. Un bilancio di quello che sta facendo nella Capitale?
La Raggi, piu’ che altro, sta ‘’non-facendo’’’. Sul Comune dovremo presto, come sindacati, unitariamente con Cisl e Uil, dare una spinta, perché i problemi sono veramente drammatici. Lavori pubblici fermi, e non parlo delle buche, ma dell’edilizia scolastica, partecipate fuori controllo, e via dicendo.
Quello che soprattutto colpisce, e su cui ci si interroga, e’ che una gran parte di italiani, compresi i vostri iscritti, non ha votato per il Partito democratico. Che alla fine non ha governato male. Secondo lei, perché?
Ragazzi che faticano a trovare un lavoro, genitori che se perdono il lavoro precipitano nella miseria, gente che si sente sola e abbandonata da tutti: perché avrebbero dovuto votare un partito che sta più vicino alle imprese che ai lavoratori, o che almeno cosi appare? Perché e’ evidente che Matteo Renzi ha dato del Pd l’immagine di un partito legato all’impresa, che dimenticava gli ultimi. Inoltre, ha la responsabilita’ del Jobs act, ma peggio ancora quella del decreto Poletti, che ha liberalizzato i contratti a termine, letteralmente devastando il mercato del lavoro.
La sconfitta della sinistra e’ insomma colpa di Renzi?
No. Renzi e’ stato solo l’ acceleratore di un processo che era gia’ in corso da anni. Lo stesso Bersani, nel 2013, aveva solo il 25 per cento: non tanto più di quanto ha ottenuto il Pd il 4 marzo. Il problema inizia negli anni Novanta, quando e’ comparsa la globalizzazione e la sinistra ha fatto una scelta di campo precisa, a favore della flessibilità e dell’impresa. In parallelo, ha smesso di occuparsi del sociale, inteso come politiche della casa, della scuola, dei trasporti, per puntare sui diritti civili. Il vecchio Pci si occupava di diritti sociali, non di diritti civili, che erano considerati un di più, e infatti erano riservati alla nicchia dei radicali. Che magari poi vincevano i referendum su divorzio e aborto, ma non hanno mai trasformato queste vittorie in consenso politico. Qualcosa vorrà dire.
Però divorzio, aborto, così come le unioni civili, il testamento biologico, sono decisamente cose di sinistra.
Sono cose fondamentali, e certo sono di sinistra. Resta però che se trascuri il sociale la gente non ti segue. Chi ogni giorno ha il problema di come mettere insieme a fatica il pranzo con la cena, chi e’ disoccupato, precario, non si entusiasma per i diritti dei gay, il fine vita, e nemmeno per lo ius soli.
Su lavoro e sociale, insomma, forniscono risposte migliori i Cinque Stelle? Eppure, non mi pare che vi piaccia il loro reddito di cittadinanza.
Sul reddito di cittadinanza non siamo per nulla d’accordo, infatti, ma anche i Cinque Stelle hanno già corretto il tiro: ora parlano di reddito di continuità, un sostegno in caso di perdita di lavoro. Noi, come sindacato, però, siamo piuttosto per una riduzione d’orario, con la redistribuzione del poco lavoro che c’e’ su una base più ampia. Anche per riallinearci con Francia e Germania, dove si lavora 300 ore l’anno in meno che da noi, pur con un costo del lavoro piu’ alto. Lo sa quanti posti di lavoro si fanno con quelle 300 ore l’anno di differenza? Quattro milioni. Se avessimo quattro milioni di posti di lavoro in più avremmo risolto tanti dei problemi.
E sulle pensioni cosa mi dice? Avete chiesto a lungo l’abolizione della riforma Fornero, e adesso sia Cinque Stelle che Lega sono pronti ad archiviarla. Ma davvero siete convinti che si possa fare, senza massacrare i conti pubblici?
Non penso che si debba cancellare la Fornero per tornare alla riforma Dini, ovviamente. Ma va corretta profondamente. Intanto, con una distinzione seria dei carichi di lavoro, che non sono tutti uguali; lei ed io possiamo anche pensare di lavorare fino a 67 anni e oltre, ma questo non vale per il muratore, il ceramista, la maestra d’asilo.
Anche su questo però il governo di centro sinistra si e’ mosso, qualcosa ha fatto.
Ma non e’ sufficiente. Peraltro, l’aspetto peggiore della Fornero e’ che toglie speranza ai giovani che non hanno lavori stabili e continuativi, e che potranno andare solo in pensione di vecchiaia. Prima o poi si renderanno conto che malgrado versino contributi, avranno una pensione minima, se non la pensione sociale. Serve quindi una pensione di garanzia, o il rischio e’ che prima o poi smetteranno di pagare i contributi e salterà il sistema previdenziale. I Cinque stelle hanno saputo intercettare molto meglio questi aspetti.
Resta che i grillini hanno vinto sul reddito di cittadinanza, promessa che non saranno in grado di mantenere.
Infatti, temo le reazioni che arriveranno dalla gente delusa. Il fatto e’ che non ci si può permettere di non dare risposte alle esigenze e alle aspettative forti delle persone. Altrimenti si rivolgeranno ad altri. Al dittatore, magari.
Addirittura…
Il brodo culturale in cui Mussolini e’ cresciuto era la povertà crescente, l’emarginazione, la politica litigiosa e inconcludente che non sapeva dare risposte. Non le ricorda qualcosa? Poi certo, la storia non si ripete mai. Ma la distanza tra cittadini e istituzioni oggi e’ molto forte. E’ stata attutita dai Cinque stelle, che hanno promesso un mondo nuovo. Mi chiedo cosa accadrà quando si scoprirà che questo mondo nuovo non sono in grado di offrirlo realmente.
Oggi il nuovo fascismo cosa sarebbe?
Per esempio Casa Pound, che rischia di diventare un forte attrattore di scontento sociale.
Uno strano fenomeno di questi anni vede lo scontento popolare concentrarsi solo sulla politica, trascurando del tutto le imprese. Che pure, nella precarietà, nei bassi salari, nella cancellazione dei diritti, hanno la loro parte di responsabilità. Mi chiedo perché i giovani precari se la prendono solo con i politici, e non col ‘’padrone’’?
E’ evidente che c’e’ una responsabilità enorme delle imprese in questa situazione. Ma e’ anche il risultato di una lunga fase in cui il pensiero dominante
e’ stato che per far star ben il paese si dovevano far star bene innanzi tutto le imprese, che occorreva lasciar libere di agire. Uno slogan che ha fallito. Ed ha creato un problema. Perché, dice lei, oggi tutto si rivolge solo contro la politica: il, diciamo, ‘’padrone cattivo’’, era la controparte naturale decenni fa. Ma il trentenne precario di oggi non sa nulla delle lotte operaie di un tempo, non ne ha mai sentito parlare, e’ cresciuto con una sinistra che favoriva l’idea dell’impresa come centro dello sviluppo. Una mutazione culturale che oggi paghiamo pesantemente. Va ricostruita, con pazienza, una coscienza di classe, una lotta di classe.
Il nuovo quadro politico con al centro il Movimento Cinque stelle favorisce questa ricostruzione?
No. I Cinque Stelle con la loro volontà di rivolgersi a tutti pensano che l’impresa vada tutelata a prescindere. E infatti questo e’ uno dei punti dello scenario futuro che, come sindacalista, mi preoccupa non poco.
Cosa pensa delle trattative in corso per un nuovo governo? Il Pd dovrebbe accettare l’invito di Di Maio ad appoggiare il suo esecutivo?
Vedo i Cinque Stelle parlare di governo del cambiamento, e penso che sono le stesse parole che Bersani rivolgeva loro cinque anni fa. La risposta che ebbe la sappiamo tutti. Oggi il quadro e’ rovesciato. I Cinque stelle chiedono, il Pd respinge.
Dunque come se ne verrà fuori? Con un governo tecnico, o del presidente?
Non saprei, ma temo che se Mattarella facesse un governo secondo le modalità seguite nel 2013, oggi si rischierebbe la rivolta.
Nunzia Penelope