“Nessun topo al mondo costruirebbe una trappola…per topi” ebbe a dire Albert Einstein riferendosi al rischio nucleare. Frase che però si adatta anche alla cosiddetta autonomia differenziata varata dalla maggioranza di governo e che rischia di intrappolare il futuro del nostro Paese nelle sue diseguaglianze, molto probabilmente peggiorandole e rendendole ancora più intricate e irrisolvibili.
I maggiori rischi da cui ci si dovrebbe difendere sono, infatti, in Italia come nel resto del mondo, quelli della disgregazione di valori ed equilibri sociali, senza che ad essa si opponga un’idea chiara di Paese, per quanto ci riguarda, di cooperazione, al riparo dalla lotta senza esclusioni per l’egemonia, nel mondo.
Eppure, il disegno di autonomia differenziata che prende le mosse con il governo Meloni mostra proprio un difetto di fondo: non delinea nessuna fisionomia di un Paese che ha invece bisogno di riforme profonde e guidate da una strategia complessiva. I capitoli di questa “rigenerazione” del Paese sono noti e vanno dal sistema sanitario, alla politica industriale, dalla scuola e formazione alla transizione energetica. Così come occorrerebbe una visione d’assieme per fronteggiare le emergenze di un Paese che invecchia, di un Sud che appare sempre più asservito all’assistenzialismo, di una fuga all’estero delle risorse giovanili.
Sembra invece di rivivere un film già visto: quello della aziendalizzazione del Paese che fu uno dei cavalli di battaglia del berlusconismo degli anni ’90, miseramente fallito al pari di altri due fenomeni che hanno peggiorato la nostra società: il liberismo e il nuovismo.
Perché al dunque l’autonomia differenziata potrebbe rivelarsi l’ennesimo cavallo di Troia per favorire potentati finanziari in grado di “privatizzare” senza controllo buona parte della realtà economica e sociale, anche in virtù di una visibile debolezza sia della politica che della struttura istituzionale del Paese.
Di certo sono prevedibili, così come è congegnata, squilibri accentuati dalla perdita di direzione politica centrale, invece presente nella nostra Costituzione come punto di riferimento per garantire alla collettività l’eguaglianza delle opportunità.
L’accelerazione di questa scelta da parte della maggioranza, inoltre, è molto negativa anche da una diversa visuale: ridurre la precarietà a causa competizione interna anteponendola però ad un piano di riforme reali. Si ripete in questo caso l’errore del titolo quinto compiuto per assecondare le richieste leghiste in funzione anti-Berlusconi e che ha prodotto guasti notevoli come si è verificato nella recente pandemia per quanto riguarda la sanità.
L’Italia ha bisogno di un progetto di società capace di arrestare il declino e di non aumentare le diseguaglianze. Questo deve essere il punto di partenza non una redistribuzione delle risorse che finirebbe per destrutturare ancor di più il nostro impianto istituzionale e la convivenza sociale.
Pensiamo solo al tema della conoscenza e, quindi, della scuola. In una fase di continua evoluzione della società digitale vi è la necessità di elevare tutti gli standard di conoscenza per garantire partecipazione, politiche del lavoro e relazioni industriali che non creino fenomeni nuovi di esclusione e sfruttamento.
E se ci riferiamo alla sanità non possiamo non notare che dopo la pandemia la situazione del nostro sistema sanitario non pare sia di molto mutata, con la evidente assenza di assetti che possano reggere nel tempo a future prove, senza abdicare a favore della presenza privata e senza conservare gli attuali squilibri.
Se si vuole migliorare la qualità della vita del Paese insomma occorre parlare d’altro e non rifarsi a logiche egoistiche, bensì alla riscoperta di quell’umanismo riformista che tende ad accorciare le distanze e non a cristallizzarle come probabilmente avverrebbe con la autonomia differenziata.
Ma c’è un’altra osservazione che si può fare rispetto alla ricerca dei livelli minimi dei servizi da assicurare, superando il criterio della spesa storica: è assurdo andare in cerca di soluzioni senza affrontare prima il tema fondamentale della equità fiscale. Le distorsioni attuali del nostro sistema fiscale rischiano di finire tali e quali anche nella cosiddetta autonomia differenziata, perpetuando uno scenario di ingiustizie fiscali che inevitabilmente finirebbe per divenire ancor più inattaccabile. E la differenza fra i servizi erogati nelle diverse aree del Paese si risolverebbe nel migliore dei casi con aggravi sui redditi delle famiglie ma senza eventuali vantaggi nello stato della scuola, dei trasporti, della sanità. Creando invece una scala di valore nei servizi pubblici che certamente andrebbe a scapito delle popolazioni delle regioni meridionali, allontanandole ancor di più dal resto dell’Italia e dell’Europa.
Colpisce infine che un Governo di destra finisca per adottare politiche che ne limitano ancor di più i poteri di indirizzo e il ruolo di promozione di sviluppo che non potranno non passare da momenti di centralizzazione: ad esempio se si vuole, alla luce di quanto accade, riorganizzare il Pnrr e le tappe della transizione energetica. Una diversa ripartizione dei poteri potrebbe infatti celare altri propositi meno rassicuranti: attribuendo al potere centrale crescenti compiti di controllo della convivenza civile, agevolati dal fatto che la politica è poco credibile agli occhi della gente e che le passate occupazioni del potere con buone dosi di trasformismo la hanno resa sempre più lontana dalle aspettative dei giovani e del mondo del lavoro.
È quindi importante mantenere vivi i valori di un reale umanesimo di stampo riformatore che è al tempo stesso memoria e ricerca di proposte utili per il futuro, ma anche capaci di aprire gli occhi su quali sono le conseguenze effettive di certe decisioni come è quella della autonomia differenziata. In questo senso un ruolo importante rivestono le forze sociali che non a caso oppongono alle opzioni di ingegneria istituzionale la concretezza delle risposte da dare alla situazione economica e sociale. Situazione che impone una riflessione non eludibile: la necessità di coesione sociale e di ritrovare un percorso di riforme condiviso. Una prospettiva che nulla ha a che fare con la scelta di autonomia differenziata che rischia di provocare invece involuzione sociale ed economica, ovvero diventare una ulteriore …raccolta differenziata di errori e problemi insoluti nella nostra società.
Paolo Pirani
Consigliere Cnel