“Automotive Conference”: è questo il titolo che è stato dato alla “riunione straordinaria allargata” del Comitato Automotive di IndustriAll Europe, il sindacato europeo dei lavoratori dell’industria manifatturiera, organizzata a Roma su iniziativa di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, i sindacati italiani dei metalmeccanici.
Al centro della riunione, che è iniziata ieri presso il Centro congressi Frentani e terminerà nella giornata di oggi, i problemi del futuro dell’industria automobilistica europea considerati, in senso ampio, in rapporto alla tematica della transizione ambientale e, in senso più ravvicinato, alla luce della decisione dell’Unione europea di fermare la produzione di motori endotermici entro il 2035.
A monte dell’incontro, stanno diversi fatti. Il primo è che la UE non si è limitata a porre all’industria europea, per le autovetture prodotte nei Paesi dell’Unione, dei limiti di inquinamento non superabili a partire da una certa data. La UE ha anche ritenuto di dover decidere essa stessa attraverso quali soluzioni tecnologiche raggiungere l’obiettivo di abbattere gli effetti inquinanti connessi alla circolazione di tali autovetture. In altri termini, l’Unione non ha accettato la teoria della cosiddetta “neutralità tecnologica”, teoria in base a cui sarebbe stato compito del potere politico fissare limiti e date, lasciando poi ai costruttori il problema di ricercare le soluzioni tecnologiche più acconcie, giocando sia sulle caratteristiche dei motori che su quelle dei carburanti. Al contrario, la UE ha detto no ai motori endotermici in quanto tali, e quindi indipendentemente dai carburanti eventualmente prescelti dai costruttori, e ha detto sì alle auto elettriche.
Il secondo fatto è che la quantità di componenti necessarie per la produzione di un motore elettrico è nettamente inferiore alla quantità di componenti necessarie per la produzione di un motore endotermico. Un fatto, questo, da cui segue che, una volta compiuta la scelta di cui stiamo parlando, saranno necessariamente resi inutili, e quindi cancellati, molti posti di lavoro non tanto e non solo nell’industria dell’auto propriamente detta, ovvero in quegli stabilimenti in cui viene assemblato il prodotto auto nella sua versione finale, quanto nel più ampio settore detto dell’automotive, ovvero nel settore che vede aggiungersi alla fabbricazione di autovetture la produzione della relativa componentistica.
Il terzo fatto è che per la produzione di autovetture a trazione elettrica sono necessarie delle componenti attualmente poco o per nulla prodotte in Europa, quali le batterie elettriche, nonché delle materie prime, quali il litio, necessarie alla produzione di tali batterie, a loro volta scarsamente o per nulla presenti sul nostro continente. Ne segue che i Paesi della UE rischiano di trovarsi a ospitare un’industria più fragile perché più dipendente dalle importazioni di materiali e componenti di importanza decisiva.
Il quarto fatto è che, oltre ai posti di lavoro cancellati e non rimpiazzabili all’interno dell’industria dell’auto, date l’attesa decrescita della quantità di manodopera in essa impiegata, vi sarà comunque la necessità di riconvertire parte della manodopera oggi attiva, facendo acquisire a questi lavoratori competenze professionali diverse da quelle di cui oggi sono in possesso.
Il quinto fatto, è che questi processi non riguarderanno pochi stabilimenti e pochi lavoratori, ma parti rilevanti della capacità produttiva attualmente installata nell’industria europea nonché dei lavoratori ivi operanti. Infatti, secondo il comunicato unitario diffuso ieri alla stampa prima dell’inizio della riunione, “l‘industria dell’automotive rappresenta in Europa 2,6 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero, e nel complesso più di 13 milioni di posti di lavoro. Ciò fa di questo settore uno dei più importanti in Europa e in Italia”. In particolare, nel nostro Paese “sono circa 250mila le lavoratrici e i lavoratori coinvolti, di cui 168mila riguardano la filiera della componentistica”.
Ed ecco quindi “alcune delle proposte che saranno avanzate da IndustriAll Europe, insieme a Fim, Fiom, Uilm, all’Unione Europea e al Governo italiano”.
“Le trasformazioni del settore automotive devono essere accompagnate da interventi di politiche industriali” che, a loro volta, devono portare un contributo finalizzato a vari scopi: “attivare le sinergie di una filiera ramificata, promuovendo dimensioni e cultura di impresa compatibili con le sfide del settore”; “gestire le crisi industriali già aperte”; “prevedere investimenti di sostegno all’offerta per la difesa dell’attuale capacità installata e dell’occupazione” e “per l’attrazione di nuovi investimenti produttivi”, nonché “per il sostegno alla ricerca e sviluppo di prodotti che valorizzino le eccellenze italiane di tecnologia e stile”.
Infine, “si rendono necessari ammortizzatori sociali” volti ad “accompagnare le transizioni in atto”, mentre “occorre aumentare i salari per dare risposte immediate al forte disagio economico che le lavoratrici e i lavoratori stanno affrontando a causa del caro energia e dell’inflazione”.
Come si è accennato, prima dell’inizio della riunione sindacale la stampa ha avuto la possibilità di incontrare i leaders delle organizzazioni partecipanti alla riunione stessa.
Luc Triangle, il sindacalista belga che ricopre attualmente l’incarico di Segretario generale di IndustriAll Europe, ha esordito affermando che oggi, nei Paesi dell’Unione, “l’industria automobilistica sta attraversando una trasformazione senza precedenti. La perdita di posti di lavoro su larga scala, l’aumento della pressione sui lavoratori rimasti e i danni sociali saranno inevitabili se l’elettrificazione e l’automazione del settore continueranno a essere lasciate alle sole forze del mercato”.
Triangle ha quindi detto che ciò di cui c’è bisogno è, innanzitutto, “una strategia industriale europea per mantenere e creare buoni posti di lavoro, decarbonizzando al contempo il settore”, e poi degli “investimenti” finalizzati a “trasformare gli impianti esistenti” e a “sviluppare le catene di fornitura necessarie per produrre i veicoli di cui abbiamo bisogno in Europa e nel mondo per affrontare l’urgenza climatica”. Infine, Triangle ha affermato che “per garantire una transizione equa e mantenere i lavoratori a bordo” nel corso di “questa rivoluzione industriale”, sono necessarie delle “strategie negoziate che anticipino i cambiamenti in corso”. Infatti, “attualmente la politica della UE è troppo debole su questi aspetti cruciali per garantire che il Green Deal sia socialmente giusto”. Mentre “senza giustizia sociale, c’è il rischio che lo stesso Green Deal fallisca” sia “per noi” che “per il pianeta”. Per Triangle, è quindi necessario agire “con urgenza”. “I politici della UE – ha concluso il dirigente sindacale – hanno concordato il principio, ma ora abbiamo bisogno di vedere proposte concrete.”
Da parte sua, Roberto Benaglia, Segretario generale della Fim-Cisl, ha sottolineato l’importanza di “tenere a Roma una due giorni di seminario europeo sulla transizione energetica ed ecologica dell’automotive e sulle conseguenze” di tali processi “sul lavoro”. “Quella di oggi e domani – ha aggiunto – è un’occasione di confronto” che “ci permetterà di socializzare le migliori pratiche e di condividere le strategie relative all’automotive sul piano europeo, essendo tutta l’Europa produttiva e lavorativa coinvolta nella stessa direzione. Ma sarà anche un’occasione nella quale, come sindacato dei metalmeccanici, unitariamente, rilanceremo anche al nuovo Governo l’idea di dare al tavolo automotive più profondità, più strumenti, più politiche.” Tutto ciò, ha concluso Benaglia, “in modo sia da permettere una forte riconversione del settore, sia soprattutto, usando lo slogan europeo secondo cui “nessuna transizione si fa senza di noi”, da consentire la migliore tutela occupazionale degli oltre 70 mila lavoratori diretti che rischiano di perdere il posto di lavoro”.
Per Michele De Palma, Segretario generale della Fiom-Cgil, “con questa due giorni diamo avvio ad un percorso di confronto e condivisione di proposte, in tema di transizione ecologica nell’automotive, con l’obiettivo di unire i lavoratori europei del settore in un’iniziativa comune”.
Secondo De Palma, “le grandi trasformazioni in corso nel settore necessitano di scelte strategiche, a livello nazionale ed europeo. L’Italia oggi è il Paese che paga più di altri la transizione perché in questi anni non ci sono state politiche industriali. E’ ora di cambiare. Servono investimenti in ricerca e sviluppo, nuove tecnologie, software e infrastrutture, per una transizione socialmente e ambientalmente sostenibile”.
“Chiediamo all’Unione Europea e al Governo italiano – ha detto ancora De Palma – risorse specifiche per il raggiungimento degli obiettivi ambientali, insieme a garanzie sull’occupazione e sul diritto alla mobilità per le persone, impegnando le imprese a investire su innovazione e creazione di nuovi posti di lavoro.” In particolare, ha concluso il Segretario generale della Fiom, “il Governo italiano incontri i sindacati e le imprese e costituisca una task force interministeriale per sostenere e rilanciare l’industria della mobilità e dell’automotive“.
Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm, ha sottolineato che il settore automotive “è da sempre centrale per la nostra economia” e ha poi osservato che è quindi tanto più grave che, in questo settore, “con la transizione ecologica, siano a rischio, in totale, 120mila posti di lavoro”.
Palombella ha quindi affermato che, per ciò che riguarda il tema della transizione ecologica e digitale, “crediamo che sia giunto il momento per una strategia di azione comune. Servono accordi sovranazionali ambiziosi e vincolanti, che fissino precisi obiettivi e target intermedi, le risorse per raggiungerli, gli incentivi e le sanzioni per chi non li rispetta. Tutto questo deve servire ad arginare concorrenze sleali tra gli Stati che hanno scadenze più lontane nel tempo” per ciò che riguarda “la produzione e commercializzazione di auto endotermiche”.
Palombella ha poi ricordato che “la quantità di CO2 prodotta nel mondo è di 37 miliardi di tonnellate, di cui l’8% viene prodotto dai 27 Paesi dell’Unione europea, l’1% dall’Italia e il 50% del totale da Cina, Usa e India. La Cina ha stabilito che raggiungerà la neutralità climatica entro il 2060 e l’India entro il 2070”.
Va poi osservato che dai dirigenti sindacali sin qui citati sono venute parole di critica più o meno esplicita e più o meno dura nei confronti di recenti affermazioni di Thierry Breton, l’uomo politico francese che, nella Commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen, ha la responsabilità del Mercato interno e dei Servizi. In particolare, Palombella ha detto che “nei giorni scorsi, il Commissario europeo Thierry Breton ha criticato il provvedimento per lo stop alla vendita di auto a combustione dal 2035”, e cioè un provvedimento che, peraltro, è stato “promosso dalla stessa Commissione Ue” di cui Breton fa parte. Ebbene, tali dichiarazioni, ha sottolineato Palombella, “ci lasciano senza parole”. E ancora: “Non è più il tempo della confusione, è il tempo dell’azione per assicurare ai lavoratori dell’industria automobilistica europea un futuro stabile e duraturo”.
De Palma aveva già detto che “le Istituzioni nazionali ed europee devono dare certezze e far cessare dichiarazioni che generano instabilità in un contesto già reso complesso dalla guerra, dalle difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, dal costo dell’energia e dalla contrazione del mercato”, mentre Benaglia aveva osservato che “le dichiarazioni del commissario europeo Thierry Breton sulla necessità di un fondo specifico europeo di sostegno industriale e occupazionale al settore, devono tradursi in fatti concreti”.
Par di capire, insomma, che ciò che più temono i sindacati sia un clima di incertezza, alimentato anche da dichiarazioni di responsabili politici che, in ultima analisi, possano avere l’effetto, anche se non voluto, di ritardare l’assunzione, da parte dei vari Governi europei, delle specifiche misure di politica industriale, di sostegno occupazionale, di integrazione salariale e di riconversione professionale che, agli occhi dei sindacalisti, sono ormai urgentissime.
A quanto si comprende, insomma, i sindacati non sono più interessati ad alimentare la polemica sulla cosiddetta neutralità tecnologica e, quindi, a portare avanti, ad esempio, il discorso sulla possibilità che la ricerca tecnologica porti alla messa a punto di biocarburanti alternativi a benzina e diesel. Dal momento che le autorità politiche hanno assunto le decisioni che hanno assunto, ovvero quelle relative allo stop alla produzione di motori endotermici entro il 2035, ciò che interessa ai sindacati è che le medesime autorità politiche europee, e più ancora quelle dei singoli Stati nazionali, si muovano in fretta, e senza distrazioni, per predisporre e attuare tutte quelle misure che possano apparire necessarie per evitare i guai sopra descritti.
Un’ultima considerazione. Come si ricorderà, nel febbraio scorso Fim, Fiom e Uilm avevano dato vita, assieme a Federmeccanica, a un inconsueto appello comune al Governo Draghi per avviare una discussione proprio sul settore automotive. Appello cui, peraltro, il Governo stesso, al momento della sua crisi, non aveva ancora dato nessuna risposta. Adesso gli stessi tre sindacati hanno alzato il tiro, spostando in parte la loro azione sul fronte europeo, grazie alla sponda loro offerta da IndustriAll. Ma non si deve credere che questa mossa sia una fuga in avanti. Infatti, nel corso della conferenza stampa di ieri è stato ribadito che i sindacati italiani chiedono al nuovo Governo di assumere un’iniziativa che metta insieme i vari Ministeri interessati al tema della transizione ecologica nel settore automotive, creando a palazzo Chigi un punto di raccordo che possa svolgere la funzione di opportuno interlocutore.
@Fernando_Liuzzi