Luigi Agostini – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali Tue, 23 Nov 2021 08:06:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.3 https://www.ildiariodellavoro.it/wp-content/uploads/2024/02/fonditore.svg Luigi Agostini – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it 32 32 I fratelli siamesi https://www.ildiariodellavoro.it/i-fratelli-siamesi/ Mon, 22 Nov 2021 15:49:55 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=144702 La conferenza di organizzazione della Cgil può diventare un momento importante di riflessione sul sindacato. Un vero punto nave sul sindacato confederale. L’antitesi storica del sindacato confederale è rappresentato dal sindacato corporativo. Il terreno della contesa tra i due modelli sindacali,  è costituito dalla corporativizzazione del lavoro.  Storicamente il sindacato confederale è stato il punto di confluenza di tre discorsi, due “interni” ed uno “esterno” per così dire al sindacato stesso. I due discorsi interni sono originati da una parte dal peso che la tecnologia ha nella organizzazione del lavoro, dall’altro da come l’organizzazione del lavoro modella la forma-sindacato. L’avvicendarsi del capitalismo prima manchesteriano, poi fordista, oggi della Silicon Valley, richiede una messa a punto continua e sistematica della Idea di confederalità. Il terzo discorso, quello “esterno,” di contesto, rimanda alla configurazione della sinistra, sinistra liberal, socialista, cristiana, più o meno interclassista, più o meno distante dal sindacato confederale, ecc. Sindacato confederale e sinistra politica sono nei momenti migliori gemelli siamesi: simul stabunt, simul cadent.

La forma sindacato confederale è stata il miglior prodotto di sindacato politico. I migliori artefici di tale forma di sindacato sono stati i comunisti ed i socialisti italiani. Lo sconvolgimento politico degli anni novanta – estinzione del PSI e del PCI – pose alla Cgil un interrogativo drammatico: può sopravvivere il sindacato confederale con la scomparsa delle forze che avevano animato e sorretto più di tutti tale idea? A tale interrogativo, dall’interno della Cgil abbiamo avuto – per semplificare, – sostanzialmente tre risposte.

Bruno Trentin propose il Sindacato di Programma, un sindacato/partito dotato persino di un suo programma fondamentale, (unico precedente ma di partito, la SPD tedesca) quasi a riassumere nella forma sindacato anche tematiche classicamente di partito. La proposta di Trentin fu largamente maggioritaria, mise al riparo la Cgil dagli effetti più distruttivi provocati dal collasso della sinistra storica, ma in definitiva aiutò solo a “guadagnare tempo”. Il tema del rapporto biunivoco tra sinistra politica e sindacato confederale tende inevitabilmente a riemergere. Specie oggi.

Sergio Garavini suggerì invece un’altra via, a partire si dalla centralità del sindacato, ma anche dalla sua congenita insufficienza politica: la ricostituzione di un Partito Comunista, la ricostituzione cioè del più conseguente “gemello siamese” del sindacato confederale.

Infine Claudio Sabattini, ma all’interno della costruzione trentiniana, si fa portatore, dalla Fiom, dell’idea del sindacato Indipendente. Un sindacato – a mio giudizio – molto simile ad un “gruppo di pressione” fortemente identitario, duro, ma inevitabilmente “corporativo”.

L’assenza del gemello siamese, portatore di una visione del lavoro come soggetto autonomo e a sua volta costruttore di una società egualitaria, ha pesato in maniera determinante sulla stessa forma sindacato. Lo scivolamento verso pratiche corporative del sindacato trova difese sempre più aggirabili. La via dei Fondi, io la chiamo così, senza mai essere teorizzata e tantomeno formalmente scelta, diventa sempre più praticata. Nel tempo, quello che era stato un accorgimento tattico, – agganciare le qualifica più alte del lavoro -, cioè il fondo previdenziale nazionale integrativo di previdenza, introdotto da Cofferati nel contratto dei chimici, dilaga in tutte le categorie, doppiato dai fondi sanitari. E non solo nel contratto nazionale. I Fondi sono replicati in ogni dove. Fondi aziendali fino al carrello della spesa, o fondi sanitari integrativi, esentasse, estesi anche ai familiari. La via dei Fondi porta necessariamente alla corporativizzazione del lavoro. Tanto più è praticata, specie attraverso il sostegno fiscale, – un fisco poi nei fatti regressivo – tanto più si approfondiscono le disuguaglianze interne al mondo del lavoro, tanto più il processo di corporativizzazione si incancrenisce, tanto più declina l’idea del sindacato confederale e quindi, l’autonomia del lavoro. Al capolinea della via dei Fondi non può che trovarsi l’Aristocrazia Operaia.

Pur cogliendo  certamente diversi aspetti problematici nei propositi di razionalizzazione (non nuovi) dei documenti proposti alla discussione, penso che per rendere veramente importante questo momento di riflessione del corpo attivo della Cgil, vada promosso con urgenza un confronto – alla luce del sindacato confederale assunto come pietra di paragone, – su due temi di fondo: a) la sempre più estesa corporativizzazione del lavoro e come contrastarla; B)  L’enorme tema del Fratello Siamese e della sua configurazione. Il tema cioè della organizzazione della sinistra politica. La Cgil è ancora oggi il deposito più grande, se non l’unico rimasto, di uomini e mezzi della sinistra. Aspettare dall’esterno una cosiddetta offerta politica e non partecipare a costruirla, non ha portato né potrà portare molto lontano. La proposta politica più ambiziosa della Cgil degli ultimi decenni – la proposta della riscrittura di un nuovo Statuto del Lavoro è il massimo della capacità di proposta del sindacato -, è stata ridotta  ad un pezzo di letteratura, per l’ assenza di un Partito del lavoro, cioè di un Interlocutore politico in grado di assumere e tradurre in legge tale proposta.

Il confronto con il precedente storico degli anni 70, – quello dello Statuto Brodolini – è impietoso.

I dirigenti della Cgil , dovrebbero fare come i generali francesi dopo la sconfitta di Sedan: parlarne poco ma pensarci sempre.  Senza un interlocutore politico, – il fratello siamese – la cosiddetta Autonomia del sociale è destinata a consumarsi e a spegnersi in pratiche corporative

Inevitabilmente. Senza una Sinistra del Lavoro, il sindacato è ricacciato implacabilmente e progressivamente indietro al suo ruolo più elementare, direi persino eterno. Paolo Matthiae, riportando alla luce Ebla, la grande città-stato tra il Nilo e l’Eufrate, tra le macerie ha rinvenuto anche le tavolette di creta su cui erano scritte le formule del cottimo. Solo cosi la Conferenza di Organizzazione può essere l’occasione per contrastare la routine, l’eterna entropia dell’organizzazione e diventare un momento creativo e generativo di una nuova stagione politica.

Luigi Agostini

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Una riforma per i diritti comuni del lavoro resiliente https://www.ildiariodellavoro.it/una-riforma-per-i-diritti-comuni-del-lavoro-resiliente/ Thu, 22 Jul 2021 17:01:39 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=140788 Viene da dire innanzitutto che la centralità del tema Lavoro avrebbe dovuto essere colta con ben maggiore attenzione anche e innanzitutto nella traduzione del “Recovery Plan“ europeo nel Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza (PNRR) italiano, e comunque dovrebbe ora essere recuperata nei concreti progetti da costruire e realizzare per la sua efficace attuazione. A, maggior ragione, quella che è stata chiamata nei tanti anni che la attendono “Riforma degli ammortizzatori sociali” doveva e deve ancora essere vista ora come una delle Riforme indispensabili connesse al PNNR, al pari di quelle già codificate, e pure in alcuni casi francamente ben più eccentriche, (come la riforma della giustizia). Se è risultato davvero poco comprensibile voler giungere a determinare la fine della normativa d’emergenza, non solo senza aver deciso, ma di fatto senza aver compiutamente delineato e discusso quelli che debbono essere i punti di fondo di tale Riforma, certo ora, in riferimento alle proposta che di nuovo si annuncia e si attende per le prossime settimane sarebbe e sarà necessario discutere non solo delle tante tecnicalità da introdurre, ma innanzitutto delle questioni nuove e strategiche sulle quali intervenire affinché non si tratti solo di un aggiustamento dell’esistente; ma, come appare necessario, di una nuova legislazione per il tempo nuovo. Ha molto pesato sul confronto su “blocco e sblocco” protrattosi in questi mesi, una considerazione del tema solo in chiave di una uscita dall’emergenza, dunque solo da graduare, per tornare invece più o meno velocemente o lentamente alla precedente normalità mentre occorre vedere le realtà che sono emerse e i ben più lunghi e profondi sommovimenti che si annunciano.

Sarebbe stato e sarebbe necessario quindi, innanzitutto, che il tema “Lavoro” non restasse e non resti confinato in un capitolo separato del PNRR (come invece è declinato nel capitolo della “inclusione sociale”) ma doveva e deve essere posto esplicitamente come un “Asse Strategico” di un più generale Piano Programma di Rilancio, che, a partire dal PNRR ma anche oltre il PNRR, deve essere pensato richiesto e perseguito, come davvero un nuovo Piano di Piena Buona e Sicura Occupazione; come del resto doveva e dovrebbe essere secondo la originale visione delle Politiche europee indicata dal grande Jacques Delors come anche e innanzitutto Politiche di “Coesione Sociale”. Allora la stessa nozione di Politiche Attive del Lavoro doveva e dovrebbe essere assunta e svolta in una dimensione ben più ampia di quella dell’auspicio o indicazione, comunque ancora vaghi, di strutture e strumenti di promozione pur certo importanti (Rinnovamento e sviluppo di Centri per l’impiego, valore della formazione, priorità per giovani e donne etc. etc.). Dovrebbe connettersi strettamente ai grandi obiettivi del nuovo sviluppo, la Transizione Digitale ed Energetico-Ambientale, la Innovazione e Riconversione di grandi Settori e filiere Industriali, (impianti energetici, siderurgia, auto, telecomunicazioni etc.), la qualificazione e l’efficientamento dei Grandi Servizi dell’Amministrazione Pubblica; e così contribuire a delineare davvero i processi di Politica Industriale, e di riorganizzazione negli apparati pubblici che nel PNRR non sono in effetti ancora concretamente delineati e che dovrebbero quindi essere definiti nei percorsi della sua attuazione, che non può certo intendersi e svolgersi solo come una gran batteria di “Bandi” per centinaia di singoli e frammentati progetti e interventi.

Quanto alla Riforma, poi, a nostro parere la situazione drammaticamente nuova doveva e dovrebbe suggerire un paradigma effettivamente e radicalmente nuovo, cominciando dal cambiare pure la visione e forse persino la dizione, riduttiva, di “Ammortizzatori Sociali”, che mantiene l’idea – d’altro tempo – di interventi di previdenza e assistenza “ex post” per accompagnare e “attutire” colpi circoscritti di riduzione del lavoro o di lavoro perduto e mancante. Saremo invece nel pieno di una strutturale crisi “sindemica” nella quale cioè l’emergenza sanitaria ha indotto e ormai proiettato ad un futuro non si sa quanto lungo quella che già si stava svelando come “crisi” complessiva, economica e sociale, di offerta e domanda, di produzione e consumi (non ingannino le grida assai sopra le righe sulla ripresa americana di cui invece attenti osservatori sono assai più dubbiosi; o quelle sui “rimbalzi” italiani ed europei che pur nelle visioni più ottimistiche promettono di restituirci in PIL la metà di ciò che abbiamo perso, e in lavoro e reddito dunque un difficilissimo attraversamento del meno al quale siamo regrediti; a tacere delle straordinarie dimensioni del debito globale a cui si è ricorsi e di cui non sono prevedibili le dinamiche prossime e future). E’ in questo quadro e non in una prossima facile “Rinascita” che conviveranno per lungo tempo crisi e rilancio, e si svolgeranno a tutte le scale, mondiale ed europea, le scelte e i processi di Grandi Riconversioni e Riorganizzazioni, (certo pure con ulteriori Rilocalizzazioni di cui le rapide scelte di alcune multinazionali sono già segno). Processi spinti ancor più, dagli ineludibili salti organizzativi resi possibili dalle radicali innovazioni tecnologiche in “Info – Digitalizzazione. (i Big Data), automazione e intelligenza artificiale, che caleranno e in modo ancor più accelerato, per rincorrere competitività e spazi di mercati più ristretti, nella manifattura come nei servizi, nella distribuzione commerciale e nella logistica E’ questo, in tutta chiarezza lo scenario nel quale vuole inserirsi la stessa visione europea di “New Generation”, che per questo sarà dunque non un albero di cuccagna ma un grande e ben difficile banco di prova anche e soprattutto per l’Italia, con le sue storiche arretratezze e fragilità. Nella divisione internazionale di lavoro il ruolo per l’Italia non può che essere ancora e di nuovo innanzitutto quello di una manifattura specializzata, nell’ambito di reti internazionali più lunghe ed è per questo che Draghi, a suo modo lucidamente, mette l’accento sulle necessità di salti di produttività. Ma proprio questo salto sarà allora un processo di medio lungo periodo con esiti non scontati e che può esser portato avanti scaricandolo sul lavoro, o con una veramente nuova organizzazione produttiva. Cruciale sarà dunque nella e per la manifattura italiana il segno e dunque il governo dei processi di ristrutturazione, che richiederanno quindi un Mix inedito anche di interventi pubblici: che dovrebbe necessariamente connettere il lato dell’impresa con il lato del lavoro, dunque incentivi e sostegni finanziari per investimenti anche a nuova organizzazione produttiva e del lavoro.

D’altra parte le misure di lockdown delle attività e della socialità hanno mostrato tutta la fragilità ed incertezza dell’attività economica e del lavoro, soprattutto nelle micro e piccole imprese dei settori cresciuti tanto tumultuosamente quanto spesso precariamente (turismo, commercio logistica intrattenimento servizi alla persona) e divenuti volano di un’occupazione altrettanto fragile precaria e sregolata; situazioni, che, con la fine delle misure d’emergenza, possono essere i principali ambiti, di un’onda certa lunga di riduzione e ulteriore precarizzazione del lavoro, quello più debole e innanzitutto femminile (già mostrano di essere per 2/3 quelli ove si è determinata nei mesi 2020 la prima pesante perdita di posti di lavoro). Qui dunque occorre introdurre strumenti chiari e comuni di salvaguardia, riconsolidamento, regolarizzazione e protezione sociale dell’occupazione.

In tal quadro emerge infine una questione ineludibile che interroga direttamente organizzazioni sindacali e sinistra politica: nelle emergenza si è palesato drammaticamente quanto le condizioni di lavoro e di salvaguardia e tutela per il lavoro siano diversificate e frammentate, sino a poter determinare non solo divisioni ma contrapposizioni. Tra lavoro privato e lavoro pubblico. Lavoro “assicurato” e no. Lavoro garantito e precario, regolare e irregolare, dignitoso e povero. Un lavoro per il quale la rappresentanza sindacale e politica deve quindi ritrovare nelle sue proposte e azioni, perché siano efficaci convincenti e vincenti, ragioni comuni, ragioni percepibili da tutti come giuste e unificanti. Pena altri passi verso una corporativizzazione ed ogni possibile dispersione e involuzione pure politica, nei tanti populismi, del corpo stesso del lavoro.

Nel tempo che è e sarà ancora per non poco di incertezza nella “Sicurezza pubblica”, e nel quale comunque occorre una Reimpostazione e Riorganizzazione delle attività con una nuova Resilienza rispetto a tutte le problematiche e necessità emerse, si tratta quindi di promuovere una Ri-Progettazione non solo delle imprese, ma anche di un Lavoro che certo deve divenire più pronto verso le necessità di rapido cambiamento ad un Lavoro come ormai tanti osservatori hanno affermato, anch’esso più  “Resiliente”; ma, allora, più flessibile perché più Sicuro e meno precario, perché più Tutelato e Formato; Così come ad una Società anch’essa più Resiliente e sicura perché più coesa e inclusiva. Si ripropongono dunque, per un paradigma di rinnovamento legislativo, in tutta la loro concretezza e come Interesse generale il Principio e il Fine Costituzionali di realizzazione di una Cittadinanza e di una Sicurezza Sociale basata anche sul Diritto ad un Lavoro, ad un Reddito e a una Condizione di Vita Dignitosa.

Occorre dunque una Riforma davvero Universalista per unire il Lavoro con Diritti Comuni. Così pure, se di una Riunificazione politica del lavoro e Diritti Comuni vogliamo seriamente parlare, non si può ignorare anche la necessità immediata o di immediata prospettiva, comunque ineludibile, di connettere la riforma degli ammortizzatori alla riforma altrettanto necessaria di altre normative contigue, componendo un nuovo quadro complessivo di legislazione per il lavoro e la protezione sociale. Qui di seguito dunque abbiamo ritenuto utile provare a ripercorrere un’Agenda di tale Riforma, integrandola con le soluzioni che ci sembrano indispensabili, e, francamente, non per disegnare una Riforma Ideale ma astratta, ma invece la Riforma concretamente necessaria. D’altra parte va detto e notato che la Riforma deve essere necessariamente e comunque una ampia riforma del Job Act, poiché gli attuali  “Ammortizzatori” (Cassa Integrazione Ordinaria Cassa Integrazione Straordinaria, e Indennità di Disoccupazione), sono stati da ultimo disciplinati proprio nei relativi Decreti attuativi; e dunque la Riforma dovrebbe l’opportunità di essere appunto, complessivamente, un Nuovo Job Act, veramente adeguato al New Deal che pure, come dicono tante generose definizioni, il tempo del PNRR dovrebbe realizzare.

E’ possibile ed auspicabile dunque uno slancio che guardi ad una nuova Normativa, per nuovi strumenti di salvaguardia e promozione del “Lavoro Sicuro e Resiliente”. Una nuova legislazione per il lavoro, non di assistenza al non lavoro. Allora e in primis va davvero ripreso onorato e incarnato lo Spirito trasfuso nella “Raccomandazione” a ricorrere a soluzioni alternative a riduzioni di organico, con licenziamenti collettivi. Tali del resto sono già le Casse Integrazioni che restano tuttavia facoltative, a discrezione delle decisioni d’impresa . E ben abbiamo visto in tutti questi anni che si sono dovute affrontare centinaia e centinaia di dure vertenze e lotte nei quali i sindacati hanno dovuto conquistare caso per caso la trasformazione dei licenziamenti comminati, in Casse Integrazioni, spesso comunque a zero ore e in molti casi seguite da messa in mobilità, (con i lavoratori fuori dall’azienda e poi sostanzialmente soli a ricercare un precario nuovo destino). Ed a queste soluzioni approda quasi sempre la sempre più defatigante attività ai tanti “tavoli di crisi” aperti presso i Ministeri e le stesse Regioni, con la paradossale condizione del Ministro e dei suoi funzionari costretti a poter solo raccomandare quando non implorare questa “scelta Responsabile all’impresa”, nonostante sia del tutto pagata con i soldi pubblici. Invece se proprio l’emergenza ci ha mostrato che è fondato il principio di “preclusione dell’avvio di procedure di licenziamento collettivo ai datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale”, che è stato argomentato da autorevoli giuslavoristi, sul piano della logica giuridica, come già in effetti fondante, in quanto “principio di prevenzione” (dei licenziamenti), dell’attuale intervento pubblico con le “Casse Integrazioni”, ora si può ben sostenere che la Riforma deve consolidare tale principio. Dunque la Riforma potrebbe e dovrebbe innanzitutto formulare nuovi Istituti, definibili ad esempio “Contributi di integrazione salariale per la salvaguardia dell’occupazione” che aggiornino rimotivino e reimpostino gli attuali attempati Istituti delle “Casse integrazioni” e si pongano esplicitamente come alternativi in prima istanza alle riduzioni di organico con licenziamenti collettivi. Da un lato un Istituto (per il quale INPS eroghi direttamente attraverso le imprese semplificando così anche le erogazioni ed eliminando i pericoli di ritardi) di compensazione alle riduzione di salari e stipendi per temporanee riduzioni di orario definite con accordi sindacali derivanti da riduzioni parziali di attività per motivi oggettivi di mercato o di ristrutturazione e riorganizzazione. E, d’altro lato un Istituto che sostenga, ove inevitabili e necessari, percorsi di riconversione professionale o di ricollocazione, dei lavoratori effettivamente organizzati in collaborazione tra impresa ed Enti pubblici preposti, e che dunque assicuri ancora per un tempo congruo sia il salario/stipendio sia l’impegno formativo se davvero non si vuole più lasciare il lavoratore nella solitudine della disoccupazione e nell’affanno della ricerca solo individuale o tra le carte di mille Enti, di altre effettive opportunità. . Si tratta non di chimere ma di prendere a riferimento il modello del “Kurz Arbeit” tedesco, il “lavoro breve”, cioè con orario ridotto, con salari e stipendi compensati dall’intervento pubblico, esplicitamente posto in alternativa alle riduzioni d’organico consolidato proprio durante il lockdown e adottato anche in Danimarca ed Inghilterra, cosi come il modello sempre tedesco di sospensione dal lavoro per riconversione professionale sul quale è stato pensato l’altro Fondo europeo Sure, che quindi l’Italia non dovrebbe utilizzare solo per sostenere le attuali casse integrazioni. D’altra parte ci sembra che solo per questa via si può rendere prioritaria e generalizzare la soluzione dei Contratti di solidarietà, sostenuta giustamente da Cgil Cisl Uil, già presente nella nostra normativa italiana, e positivamente sperimentata, ma che lasciata solo all’esito di contrattazione sindacale, è rimasta, e resterebbe, se pure irrobustita con qualche incentivo in più, circoscritta ai casi delle migliori possibilità e di maggior forza. E per questa via potrà essere argomentata anche la riforma della legge 223/93, pur essa da tempo attesa, che disciplina ancora i licenziamenti collettivi, affermando ora che il datore di lavoro deve OBBLIGATORIAMENTE esperire l’uso di tali istituti alternativi o – si aggiunga pure – “dimostrarne l’inattuabilità”. Ma riprendendo allora pure la possibilità (che il Job Act ha eliminato) di determinare efficacemente una valutazione anche in sede giudiziale dei procedimenti di licenziamento collettivi ai sensi della trasparenza e correttezza dell’esame sindacale in riferimento alle motivazioni addotte o alla verifica di soluzioni alternative, con reintegra se risultanti illegittimi..

Naturalmente, poi questi nuovi istituti debbono divenire eguali e comuni per tutti i lavoratori sanando il vuoto assoluto, restato inaffrontato dallo stesso Job Act nell’ applicazione di CIGO e CIGS in tantissimi settori e il vuoto relativo in altri, per i quali si sono solo stabilizzati gli interventi differenti frammentati e comunque insufficienti dei “Fondi Bilaterali di solidarietà”. Vuoti, sui quali il Governo Conte ha dovuto intervenire tempestivamente nell’emergenza, ma riempiendoli con strumenti necessariamente temporanei come il ripristino della “Cassa Integrazione in Deroga “già inventata” da Governo e Regioni nella grande crisi del 2009, e divenuta la “Cassa Covid”; e infine dovendo improvvisare interventi per le tante situazioni restanti comunque non coperte (dai ristori ai lavoratori parasubordinati a partita IVA, a quelli stagionali o a tempo determinato, dello spettacolo, dello sport, al reddito d’emergenza).
La Nuova Legge dovrà essere quindi compiutamente Universalista assicurando estendendo a tutti i settori gli Istituti per la salvaguardia dell’occupazione sopra indicati, e pure assorbendo sia pure progressivamente ma inevitabilmente se si vuole avere uno strumento eguale anche i tanti “Fondi bilaterali” creati e cogestiti da Associazioni imprenditoriali e Organizzazioni sindacali, per erogare succedanei ridotti di cassa integrazione.

Infine certo con la Riforma si dovrebbe far diventare Istituto generale, sia pure articolato, l’attuale Indennità di Disoccupazione, (la Naspi anch’essa disciplinata dal Job Act,) convertendola in un’Indennità Universale, e quindi allargandola in forme congrue alle interruzioni del lavoro parasubordinato o al lavoro autonomo, entro certo ambiti di reddito, cosi come del lavoro a tempo determinato e agli inoccupati in cerca di lavoro, proprio per contrastare il fenomeno invece in questi mesi cresciuto dell’abbandono e dell’inabissamento Appare opportuno quindi riconnettere ad essa lo stesso Reddito di Cittadinanza e così accompagnare allo stesso modo a tutti i percettori di questa Indennità, compresi i percettori dell’ex RdC, opportunità e obblighi anche condizionali di formazione, ben più efficaci anche per il controllo di qualsivoglia altra attività ispettiva. Non si può invece far arretrare ora, il Reddito di cittadinanza, a causa degli insuccessi per l’ avviamento al lavoro, a Sussidio di povertà, finendo per rinunciare all’intervento in tutto il variegato mondo del lavoro povero iper precario e semi o del tutto irregolare che invece il reddito di di cittadinanza ha colto, e che dovrebbe essere rafforzato e qualificato per promuoverne l’emersione la regolarizzazione e la possibile qualificazione.
Infine anche da questa necessità di una Riforma riunificante di tutti gli strumenti di salvaguardia dell’occupazione, e di protezione sociale dalla disoccupazione, appare la opportunità di una conclusiva sanzione legislativa che dia corpo, finalmente, al Principio Costituzionale del diritto “all'”esistenza dignitosa” dell’Art.36, nella nozione di un Minimo Vitale concretizzato in una soglia di reddito che dunque sia innanzitutto un riferimento unificato delle diverse previdenze sociali, e della stessa soglia dell’incapienza fiscale, oggi ancora incomprensibilmente diversificate.

Non sembrano invece feconde e sostenibili altre vie, che dimentichino il diritto al lavoro in nome del miraggio di un imprecisato e generale “diritto al reddito”. Sarebbe un grave errore far precipitare le forme e le condizioni di vita derivanti da lavoro precario, lavoro povero, lavoro semi irregolare, sempre più crescenti nella considerazione di un’assistenza pur certo dovuta per la sua parte, alle “Nuove Povertà. Le forme di povertà, per la più parte divenute anche sofferenza sociale ed emarginazione, hanno bisogno certo di un ancor più largo e robusto Sostegno e permanente, dunque di un altro rinnovato intervento legislativo. Ma che allora non può essere una “Carta Inps” per i vari redditi “di emergenza” fin qui pur meritoriamente improvvisati, ma lo sviluppo di un intervento complessivo, di sostegno al reddito accompagnato da Cura e Assistenza per la Protezione e il Reinserimento sociale; che quindi deve incardinarsi e svilupparsi, gestito anche per la parte economica, sull’intervento dei Servizi Sociali dei Comuni, che possono essere a contatto diretto e continuato con le persone, e che così in tanti casi, assieme alle tante Reti di solidarietà sussidiarie, hanno mostrato già tante buone prove.

Insomma, molto c’è da fare, ma si deve qui e ora misurarsi non con aggiustamenti, ma con il disegno e la prova di una grande Riforma, innovativa e radicale che certo è necessaria e ineludibile oggi, che si è chiamati a far ricrescere il Paese con le risorse non solo di investimenti, ma di un lavoro sicuro e qualificato. Appare evidente che dentro e nel tempo che proseguirà ancora, drammaticamente incerto, della “sindemia” sanitaria ed economica, un Grande Processo di Rilancio con la Resilienza per essere tale e per essere veramente sostenuto non può essere cieco e anarchico. Sacrosanta dunque è l’idea di affermare un Governo reale e condiviso di tale Processo innanzitutto tra Governo e Parti Sociali, che del resto è missione ineludibile della sinistra progressista e delle organizzazioni sindacali dentro e verso questo governo ancora dell’emergenza e della transizione. Tale missione richiede ora non solo appello alla concertazione e attenzione alla gestione di quanto sembra già disegnato, ma un impegno straordinario di visione e lotta per scelte e pratiche veramente nuove di politica industriale e di politica del Lavoro. Se davvero niente può restare come prima, se non ora, quando?

Luigi Agostini
Duccio Campagnoli

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Il Mal di Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it/il-mal-di-lavoro/ Mon, 24 May 2021 09:20:16 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=138525 I numeri dei morti e feriti sul lavoro sono eloquenti, e nella loro essenzialità indicano sia la dura persistenza delle morti sul lavoro, che l’inefficacia delle politiche di protezione.

La pena per le vittime rischia di essere superata dal fastidio prodotto dalle dichiarazioni, sempre identiche, che invocano nuove leggi e nuovi ispettori a fronte della ripetitività delle tragedie del lavoro.

Il quadro generale purtroppo è segnato non solo dalle morti sul lavoro ma anche dagli incidenti invalidanti e dalle malattie professionali di vecchio e di nuovo tipo. L’alienazione guadagna terreno.

Il complesso di tale situazione affonda le sue radici nella voragine che si è aperta tra l’evoluzione accelerata della Struttura produttiva, la conseguente metamorfosi del lavoro, e l’inadeguatezza delle tradizionali protezioni sociali.

 Sono oltre il 90 per 100 le imprese con meno di 15 dipendenti; la macchia di lavoro nero e grigio spesso copre intere aree e regioni; le migrazioni colorano ancor più problematicamente l’insieme del quadro.

Pensare oggi Salute e Sicurezza del lavoro, significa riordinare, all’insegna della Prevenzione, l’intera Struttura di protezione del lavoro.

 Le grandi trasformazioni in corso, va preso atto, rendono sempre più scarsa la incisività del tradizionale sistema protettivo, almeno su tre aspetti dirimenti.

  1. Un aspetto culturale. Oggi troppo spesso la prevenzione viene confusa, anche sull’onda della giusta e sacrosanta reazione sociale, con la sanzione e con la repressione.

 La volontà punitiva riempie il vuoto della incapacità preventiva.

La gran parte della attività dei cosiddetti Enti Previdenziali è in realtà una azione di “risarcimento”: non a caso si chiama ”rendita” il risarcimento dopo l’infortunio. La rendita infortunistica.

L’azione ispettiva e repressiva ha certamente una componente di prevenzione, ma non la esaurisce.

L’azione preventiva deve essere organizzata insieme ed accanto alla politica repressiva, sia perché il processo produttivo anticipa sempre l’adeguamento normativo, sia perché l’attività preventiva richiede un sapere specialistico ,capace di interpretare e anticipare il rischio, rischio intrinseco ad ogni processo lavorativo.

E’ necessario pensare la Prevenzione nella sua organicità, secondo la sequenza, come indica la legge 626: ricerca-informazione-formazione-consulenza-assistenza.

Tale attività può essere realizzata solo attraverso  la costituzione di un Corpo di Preventori di grande competenza e di livelli organizzati di gestione e controllo sociale.

  1. B) Un aspetto istituzionale: Oggi le risorse sono scarse e per di più disseminate in tante strutture: le responsabilità sono distribuite tra molti soggetti (Regioni, Ispels, Inail, Vigili del Fuoco, Ispettorati del Lavoro, Imss, Patronati); l’attività di ricerca vive una vita separata, ruoli e funzioni sono frequentemente sovrapposti e rinviano a coordinamenti che consumano più risorse di quelle che producono.

Concentrare tutte le risorse  e unificare le responsabilità, diventa questione dirimente.

Già oggi, con la Potenza di Calcolo che le nuove tecnologie informatiche mettono a disposizione, il Sistema Informatico Inail è perfettamente in grado di definire una Mappa nazionale del rischio, per settori, per territori, per tipologie infortunistiche, per malattie professionali. Come già oggi, mettendo insieme la Potenza di calcolo del sistema informatico INPS\Inail si può avere a disposizione in tempi immediati la Mappa sociale (lavoro, reddito, Status) di ogni cittadino del Paese.

  1. Un aspetto organizzativo. Finora l’Assicurazione è stata la grande tecnologia che ha permesso il governo del rischio, di governarne cioè il costo, e quindi la sua indennizzabilità.

 Fino ad oggi, le grandi Tecnologie Pubbliche (INPS, INAIL) sono state le “stecche del Corsetto” che hanno sorretto i due capitoli fondamentali del Welfare lavoristico: pensione e rendita da infortunio o morte.

La grande trasformazione del lavoro in corso, alimentata da e interna  al processo di mondializzazione (cosa è la mondializzazione, se non una politica  del lavoro alla scala del mondo?) per i suoi costi umani, per la nostra idea di civiltà, ed per i suoi costi economici (alcuni economisti americani valutano che il Mal di Lavoro valga due punti di Pil della Economia Usa), porta sempre più a spostare l’accento dalle politiche di risarcimento alle politiche di prevenzione e riabilitazione (questa ultima quasi completamente trascurata nella riflessione).

Per affrontare tale compito, le leggi non sono la questione principale, ma principale diventa la Riorganizzazione delle Tecnostrutture, e, la loro unitarietà di missione.

Germania docet.

L’insicurezza sociale è all’origine del patto che fonda una Società di individui.

Se il mondo dell’individuo\lavoratore è sempre più incerto, per il lavoro, diventato mobile, solo una grande Agenzia Nazionale, articolata per territori, governata dalle Parti Sociali-modello Cassa e Scuola Edile-può garantire una rete adeguata  di sicurezza.

Il mondo postfordista è un mondo molto simile al mondo prefordista.

La questione è strategica.

Tale Agenzia, non  solo si rifarebbe ad una grande esperienza sociale del movimento dei lavoratori, quello edile, ma verrebbe a collocarsi oggi in uno dei punti più delicati della condizione del lavoro, quello appunto del rapporto tra lavoro, salute e sicurezza.

Una Agenzia nazionale dunque, innovata anche nel suo sistema di Governo. Il Banco di prova più alla portata della Democrazia sociale della Economia.

Sarebbe di rilevanza eccezionale un Governo della Agenzia, espresso con voto, dall’insieme delle Parti Sociali, a scadenza regolare, soggetto a verifica, sulla sua capacità di gestire  il nesso più nevralgico: quello di Lavoro-Sicurezza-Salute

Il nodo della Doppia Natura (Consiglio di Vigilanza e Consiglio di Amministrazione –oggi persino ridotto al semplice presidente) del Governo degli Enti Previdenziali, va tagliato, ma nella direzione, per dirla con Robert Castel, della Proprietà Sociale.

La Proprietà del Lavoro.

Luigi Agostini

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I Comunisti della CGIL https://www.ildiariodellavoro.it/i-comunisti-della-cgil/ Thu, 22 Apr 2021 13:44:43 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=137423 Centralità e Insufficienza. Centralità sociale del sindacato, Insufficienza politica del sindacato. Tale coppia concettuale può raffigurare meglio di ogni altra, la Contraddizione, che i comunisti della Cgil erano chiamati ad affrontare. Più di ogni altra forza. Un imperativo categorico, derivante in primo luogo dalla loro cultura politica. Il nemico, il pericolo da evitare, per dirla con Lenin, era il sindacato tradeunionista, il classismo corporativo. Nessuno più del sindacato è chiamato quotidianamente ad affrontare lo sfruttamento e l’alienazione del lavoro salariato o della assenza di lavoro, nessuno meglio del sindacato può sapere che tale contraddizione è destinata a perpetuarsi all’infinito, se dal sindacato il discorso non passa alla politica, cioè alla organizzazione complessiva della polis.

Al partito. Dal corporativo alla politica però non si passa, quindi allora nessuna concessione al pansindacalismo, che si nutre della stessa natura anfibia dell’azione sindacale e che tra l’altro non può che congelare la situazione in uno sterile contrattualismo.

La necessaria e inevitabile matrice corporativa della lotta sindacale e quindi del sindacato , – l’atto sindacale nasce sempre empiricamente come atto di protezione – andava riconcettualizzato e trasformato come atto che discende dalla autonomia del lavoro, del lavoro come soggetto che si erge  di fronte al soggetto capitale. Lavoro come soggetto autonomo, e non  semplicemente forza-lavoro.

La risposta trovata è stata una particolare forma-sindacato, il sindacato confederale, i cui elementi erano tutti o quasi tutti presenti nella Storia italiana, ma che in particolare i comunisti utilizzarono e continuamente rielaborarono per dare loro una forma compiuta.

Il Sindacato politico. Forma sindacato unica in tutto l’Occidente.

Tra partito e sindacato, corrispondenza biunivoca. Tra sinistra politica e sindacato confederale, gemelli siamesi.

Simul stabunt, Simul cadent. Cosi può essere descritta la originalità dei comunisti della Cgil, Il concetto guida, il filo rosso, l’Idea unificante, colta almeno nei momenti di massima creatività.

L’Ergersi del Lavoro di fronte al capitale, primo comandamento, è figlio di una  grande strategia politica: della politica come egemonia che viene ben prima del potere, secondo la traiettoria tracciata dalla rivoluzione francese. A differenza della traiettoria  della rivoluzione russa. Significa una via che trova l’ ancoraggio fondamentale nella costituzione repubblicana, si alimenta della democrazia progressiva. Si articola nelle riforme di struttura, per approdare nel pieno della maturità al tema dei temi :il modello di sviluppo.

Nei termini del pensiero strategico, le grandi coordinate sono condensate nella figura della guerra di posizione, guerra secondo cui i fronti principali diventano il fronte culturale ed il fronte sociale, la conquista delle casematte sociali e culturali: da cui la rilevanza e la “autonomia di movimento” dei Comunisti del sindacato. Ma per l’appunto  del sindacato confederale.

Una Strategia politica in cui Il fronte istituzionale-luogo privilegiato del partito- viene pensato come intrecciato strettamente con altri due fronti decisivi. Sociale e culturale.

Il Sindacato come ala marciante nel Sociale. I Comunisti del sindacato come la cavalleria negli eserciti di Annibale.

All’interno di queste coordinate strategiche Il protagonismo dei Comunisti della Cgil sul fronte sociale si afferma indiscusso ,dagli scioperi del 43 a tutto il dopoguerra. Fino allo scioglimento del pci, di cui si celebra in quest’anno il centenario.

Tale protagonismo peserà in modo determinante all’interno del  grande scontro sociale degli anni settanta, il più grande e lungo scontro sociale della storia della repubblica, e porterà il partito di E. Berlinguer a diventare il primo partito del paese.

Il Concetto guida diventa la autonomia del lavoro.

Il luogo della sfida per eccellenza sarà la fabbrica, perché come dice S. Garavini, è la fabbrica stessa il principale meccanismo di Integrazione del lavoro.

Il grande test fu la job evaluation.

La battaglia vinta contro la Job evaluation, che poi porterà alla affermazione della strategia dell’Inquadramento unico, rappresenta il principale successo nella costruzione dell’autonomia del lavoro. Inquadramento unico e prima parte dei contratti.

Il limite ma interno di tale strategia stava in un punto, colto particolarmente da Claudio Napoleoni: guardate che, avvertiva Napoleoni, il capitalismo non si esaurisce oggi nella produzione come ai tempi di Ford; Il capitalismo è fatto oltrechè di produzione, sempre più di consumo; mentre voi continuate ad inseguire il capitalismo nella produzione, il capitalismo vi sta aggirando alle spalle attraverso il consumo ,Il suo modello di consumo.

Oggi, dice Napoleoni, il terreno  conquistato nella produzione, viene più che riassorbito dal capitalismo (neo), nel terreno del consumo.

Riordinate il fronte, raccomanda Napoleoni, ma attorno ad una idea aggiornata del modello di sviluppo, modello in cui il consumo-i consumi di cittadinanza- acquistino sempre più un peso determinante.

Tale raccomandazione muoveva faticosamente i primi passi: partito e sindacato erano fondamentalmente deficitari. Teoricamente e quindi politicamente.

L’89 ha bruciato il tempo necessario per una grande riconversione e riorganizzazione strategica  e organizzativa.

Oggi molta acqua è passata sotto i ponti.  La storia si è però incaricata di colmare tanti limiti e curare e vendicare tante ferite.

Oggi, specie dopo la grande crisi del 2007,- la esplosione della Leemhan Brothers-, il discorso sul consumo ha acquistato la stessa valenza politica del discorso sulla produzione. Specie al tempo dell’avvento del capitalismo delle piattaforme. E delle diseguaglianze vertiginose.

Le stesse ultime encicliche di Papa Bergoglio testimoniano della maturazione del discorso complessivo di un nuovo modello di sviluppo e della sua stringente necessità.

Necessità acuita dall’irrompere della attuale sindemia.

Molti semi della storia interrotta dei comunisti della Cgil continuano oggi a essere ancor più fecondi e vitali di ieri, a partire dal concetto portante della autonomia del lavoro, e dalla idea-forza del sindacato confederale ;vivi e fecondi, specie per soggetti e forze che lavorano ad una reimpostazione del discorso socialista nel nuovo scenario del capitalismo della sorveglianza.

La Storia Continua.

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Lo sblocco dei licenziamenti è alle porte, serve una “diga” per salvarsi dall’effetto Vajont https://www.ildiariodellavoro.it/lo-sblocco-dei-licenziamenti-e-alle-porte-serve-una-diga-per-salvarsi-dalleffetto-vajont/ Thu, 04 Mar 2021 13:59:05 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=135495 Save the Date: 31 Marzo 2021. Il 31 di marzo scade il blocco dei licenziamenti. Tutti gli indicatori, nazionali ed europei, indicano una perdurante e ulteriore caduta di attività.

Una ondata di licenziamenti si prospetta alle porte, e, sommandosi alla disoccupazione attuale, configura nella sostanza, quella che si chiama  una disoccupazione di massa. D’altra parte è difficile pensare che si possa continuare con una specie di Imponibile di manodopera, come insegna la storia degli anni Cinquanta. Tutto lascia prevedere quindi un effetto “Vajont”, per ricorrere ad una immagine indelebile.

La nostra protezione sociale reggerà l’urto di questa nuova ondata, della disoccupazione di massa? La sindemia oltre che premere sulle strutture sanitarie (siamo appena dietro all’America di Trump per il numero dei morti), morde e morderà,  per un periodo non prevedibile, sulle strutture economiche del paese. Anche con il vaccino, come ripetono i più esperti.

La strategia dei ristori, adottata senza una regola definita e con provvedimenti occasionali, sta provocando insieme malessere sociale e macroscopiche ingiustizie: termometro, il balzo nella crescita dei conti correnti di molti italiani. Lo sblocco dei licenziamenti, significherà quindi un salto nella escalation della crisi. Il movimento operaio e sindacale nella sua ricca storia, di fronte alla stagionalità del lavoro, alla incertezza, alle crisi settoriali o anche generali, ha costruito, su basi assicurative, tanti istituti, strumenti di contenimento, di gestione e di governo di questi fenomeni.

La cassa edile e la scuola edile sono esempi emblematici.

Una sindemia, come quella attuale, travalica però tutti questi fenomeni. Per il suo carico di dolore e per i suoi effetti di lunga durata. Le piccole dighe di categoria, costruite su base assicurativa, dovranno cedere il posto alla costruzione di un minimo vitale, di una grande diga. Minimo vitale, valido per tutti, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, alimentato per via fiscale. Uguale per tutti, proporzionato e indicizzato alle risorse del paese e in connessione stretta con i progetti di sviluppo, sia nazionali con quelli in discussione con l’Europa, in particolare con il New Generation Eu.

Non quindi “Ristoro” ma “Minimo Vitale”. Non si governa il dopo 31 di marzo con la Cassa integrazione e con gli altri strumenti assicurativi, che hanno un limite sia di risorse che di platea, come tutti i meccanismi assicurativi. Senza quindi un ricorso alla via fiscale e al bilancio dello stato. Sarebbe persino ingiusto, visto che i ristori hanno attinto tutti al bilancio dello Stato, mentre la Sindemia ha effetti sia sistemici che di lunga durata.

Perché dunque questo ritardo dall’approntare la riforma dei cosiddetti ammortizzatori sociali?

Alla base della strategia del sindacato confederale io vedo due errori analitici di fondo. Il primo riguarda la interpretazione della Sindemia, considerata come un fenomeno da mettere in buona sostanza tra parentesi e non come un cambio d’epoca. Il secondo errore riguarda la rivoluzione informatica e la esplosione della potenza di calcolo, interpretata come un processo evolutivo e non appunto come una rivoluzione. La sindemia e le conseguenze di lungo periodo: vedi l’esplosione del lavoro a casa, trasformata  da casa/periferia urbana a casa/mondo. La potenza di calcolo, vera arma in più, rispetto agli strumenti tradizionali che l’umanità ha oggi a disposizione rispetto alla diffusione e interruzione del contagio.

Il primo limite, in simbiosi con il secondo, ha portato a sottovalutare l’infarto produttivo e la conseguente disoccupazione di massa, sia del lavoro salariato che del lavoro autonomo. I due errori analitici stanno alla base della scelta del sindacato di proporre ai lavoratori ed al paese come cuore della sua azione, lo SCHWERPUNKT, direbbe Klausewitz, i rinnovi contrattuali, invece del tema dello sviluppo (vedi la sostanziale inesistenza sindacale sui progetti europei, di ieri e di oggi, come sul tema dello stato innovatore, ecc) e soprattutto del tema dell’approntamento della grande Arca, cioè della riforma degli ammortizzatori sociali, cioè ancora dell’intero assetto della protezione antisindemia, sia del lavoro salariato che del lavoro autonomo, per non lasciare quest’ultimo affidato ai ristori confusi e spesso insensati del governo o peggio ancora, alla Vandea demagogica della destra.

Ma non sono – verrebbe da chiedersi – i lavoratori e pensionati i principali pilastri del Bilancio dello Stato? Ma non sono i lavoratori e pensionati la base di massa dei sindacati confederali e insieme del serbatoio da cui provengono le risorse per i ristori? L’errore micidiale dello sciopero nel pubblico impiego, errore che fa il vuoto politico anche attorno al lavoro industriale, appartiene a questa catena. Sul blocco dei licenziamenti sembra aver agito più il riflesso condizionato del sindacato, che una scelta pienamente consapevole di tutta le implicazioni dello sblocco: un modo anche questo, per mettere tra parentesi la relazione sindemia-disoccupazione di massa.

Prova ne è la messa in sonno della questione della riforma dell’assetto degli ammortizzatori Sociali e del silenzio su tutta la strategia dei ristori. Lo sblocco dei licenziamenti si avvicina e tutto il lavoro salariato trema: tra smartworking e disoccupazione: assediato. Predisporre subito l’Arca prima del Diluvio. Il 31 di marzo è alle porte. Bisogna svegliare le Oche del Campidoglio.

Luigi Agostini

 

 

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Un vaccino per Draghi, a tutti i costi https://www.ildiariodellavoro.it/un-vaccino-per-draghi-a-tutti-i-costi/ Tue, 16 Feb 2021 18:29:47 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=134736 Non si scia fino al 5 marzo, ha decretato il ministro della sanità. Nonostante le minacce di Salvini che aveva chiesto l’intervento del neo presidente del consiglio Draghi per frenare le preoccupazioni sul contagio del Comitato tecnico scientifico che affianca proprio il ministro della sanità. Sembra che il partito degli scienziati debba giocare un ruolo importante nella nuova congiuntura politica, che vede le pulsioni leghiste contro le limitazioni da Covid ora al governo.

Nel corso di un seminario tenuto il 27 gennaio, dal Forum Pietro Greco scienza e politica, sulla Emergenza Vaccini  nella pandemia ( https://www.youtube.com/channel/UCafVLS6EmaBvxSL-b-BPz0Q ), il professor Andrea Crisanti ha insistito sulla necessità di un lockdown di almeno 3 settimane per poter realmente governare l’innesto della strategia dei vaccini nel quadro epidemiologico del paese, che rimane, ha spiegato, “molto preoccupante”. Non a caso su questa nuova emergenza sembra aprirsi il primo focolaio polemico nel nuovo governo Draghi. Il CTS del ministero della sanità, su sollecitazione del consigliere del ministro confermato Speranza, si è espresso contro l’apertura degli impianti sciistici e per una riflessione sulla necessità di un nuovo lockdown.

Un’evenienza su cui il leader della lega, forza ora di maggioranza, ha sparato ad alzo zero, chiedendo al premier di intervenire per smentire l’evenienza. Siamo già  al nodo del whatever it takes : contro che cosa bisogna agire ad ogni costo? Draghi non può non sciogliere questo primo nodo, dando subito un senso e una direzione al suo governo, prima ancora di raccogliere il voto di fiducia.

Non si tratta solo di discutere del calendario di un possibile chiusura, più o meno generalizzata. Al centro della scena si intravvede lo spettro di un liberismo sanitario. Dietro alla polemica sulla gravità del contagio, in cui la destra, nonostante mille camuffamenti, conserva una propria pragmatica e coriacea anima negazionista, che giustifica il suo irrinunciabile whatever it taker produttivo, bisogna  riprendere ad ogni costo l’attività economica, si delinea una strategia di scomposizione di ogni politica sanitaria unitaria. Veneto e Marche, ma anche la Lombardia del neo assessore Moratti, scalpitano per avventurarsi sul mercato dei vaccini a mano libere, magari rivolgendosi al fornitore russo che i buoni uffici della Lega con Putin già hanno allertato.

La rottura del patto associativo che la stessa presidente della comunità europea Von Der Leyen ha duramente stigmatizzato , denunciando la scorrettezza della Germania, diventa invalicabile per soggetti che a livello internazionale non hanno personalità giuridica come le regioni, e magari , se qualcuno imbocca quella strada , anche le grandi città e nelle città qualche municipalizzata.

L’attacco di Zaia ad Arcuri  , che reclama appunto autonomia nell’approvvigionamento tende in realtà ad aprire un fuoco di sbarramento rispetto al tema che sta crescendo nell’opinione pubblica: i problemi legati alla proprietà dei brevetti dei vaccini per una equa distribuzione.   In un suo intervento sull’Espresso Gino Strada ha ricordato che i paesi ricchi con il 14 % della popolazione si sono già assicurati il 53 % delle dosi di vaccini disponibili. Una scelta miope , oltre che spietata. Lasciare intere aree del mondo esposte al contagio significa programmare le prossime ondate che colpiranno anche le cittadelle più arroccate in Europa. Ma la gestione speculativa dei farmaci  si sta rivelando un boomerang persino per l’Europa occidentale che non riesce ad ottenere da Pfizer e Moderna le dosi di vaccini pre acquistati perché il prezzo precedentemente pattuito non è più considerato congruo dai proprietari delle case di produzione.

Anche in questo segmento del mercato, cosi come nel mondo digitale, si stanno creando monopoli che confiscano la ricerca di base abbondatemente finanziata dagli stati e la manovrano ersclusivamente per i propri interessi di arricchimento. Una situazione che non solo appare immorale, ma , come abbiamo visto ai fini concreti del contrasto al virus inefficacie.

La produzione deve rispondere ad un piano di programmazione pubblica, concordata con le aziende proprietarie ma chiaramente orientata alle priorità dei bisogni sociali. Ancora Andrea Crisanti nello stesso Forum Pietro Greco  spiegava che la produzione della materia vaccinale per i prodotti della nuova generazione, come quelli elaborati appunto di Pfizer e Moderna, la produzione non è solo un’azione meccanica che si limita a generare quantità del farmaco, così come è stato elaborato dai ricercatori.

Con le nuove modalità di sviluppo dei vaccini, per  la innovativa struttura e il meccanismo genetico allestito nella molecola, basato su dinamiche informative, che agganciano e comunicano con il sistema degli anti corpi, adeguandosi alla dinamica del virus, e coprendo dunque anche gran parte delle temute varianti che stanno subentrando, la produzione del materiale vaccinale diventa una sorta di rielaborazione e di adattamento della molecola originaria ai nuovi ambienti che il virus determina. Dunque avere una visione del sistema di produzione e poterlo condividere è anche un elemento di garanzia e di sicurezza proprio per l’efficacia del sistema di lotta all’epidemia. Esattamente come per gli algoritmi che autoapprendono e si evolvono, così anche per i nuovi vaccini  la comunità deve avere consapevolezza dei meccanismi più intimi del dispositivo scientifico che viene elaborato. Siamo nel cuore di quel processo che fino a qualche tempo fa era considerato un puro principio astratto: la scienza se non è trasparente e condivisa non è efficacie e di venta persino pericolosa. Il sapere come bene comune si manifesta nella sua concreta potenzialità.

Il Governo Draghi, l’Unione Europea, il consesso internazionale non può ignorare ne esorcizzare questo nodo. La transizione ecologica se non diventa anche evoluzione dell’etica scientifica e pratica di esperienze sociali che assicurano stabilità e condivisione alle nuove tenicalità rischierebbe di diventare puro giardinaggio industriale. Come si leggeva  nel 2008  nel rapporto della Commissione Europea dal titolo Taking European  Konwledge Society Seriously “ Una società della conoscenza  democraticamente impegnata può possedere l’immaginazione morale e intellettuale per definire i modi in cui mondi sociali molteplici possano interagire creativamente con una scienza più libera ,aperta e diversificata”.

Il Forum Pietro Greco sintetizza cosi una politica dei vaccini,socialmente,economicamete ,politicamente condivisibile:Il vaccino è il banco di prova di un cambiamento sistemico dell’assetto sanitario pubblico.

Accessibilita’:il vaccino deve essere universalmente accessibile.

Velocita’: il vaccino deve vincere la gara in velocita’ con i possibili sviluppi di nuovi supervirus;Il tempo è quindi determinante.

Centralizzazione:la campagna di vaccinazione,se vuol essere efficace,deve essere governata centralmente  e attuata con un passo programmato.A partire da una centralizzazione degli acquisti.

Produzione:il sistema sanitario pubblico deve dotarsi di un sistema pubblico di produzione dei vaccini.

Produzione ,distribuzione,ricerca,devono vedere un ruolo del pubblico assolutamente protagonista.

In anni ormai lontani,a chi gli chiedeva perche’ non avesse brevettato il suo vaccino,Salk rispondeva: si puo’ brevettare il Sole?

Il vaccino è Un Bene Comune.

Luigi Agostini

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La Sindemia alimenta e porta ad una nuova Geopolitica https://www.ildiariodellavoro.it/la-sindemia-alimenta-e-porta-ad-una-nuova-geopolitica/ Sun, 06 Dec 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-sindemia-alimenta-e-porta-ad-una-nuova-geopolitica/ Europa Sovrana.

La Sindemia alimenta e porta ad una nuova Geopolitica: ad un nuovo assetto politico del Mondo.

Basterebbe aver presente un grande classico come Armi Acciaio Malattie, di Jared…. per avere una idea di quali sconvolgimenti, anche geopolitici, una grande epidemia può provocare.

La crisi del Washington Consensus è testimoniata proprio in questi giorni dall’accordo di libero scambio dell’Asean, patrocinato dalla Cina invece che dagli Stati Uniti: l’Asean rappresenta la più grande area commerciale, superiore alla stessa area europea.

Due Discorsi strategici dominano la scena: il discorso di XI alla Assemblea del popolo,che passerà come il discorso sulla Doppia Circolazione ed il Discorso di E. Macron a le Grand Continent sulla autonomia strategica dell’Europa.

Entrambi i discorsi hanno un fondamento comune:l’ autosufficienza; l’autosufficienza della Cina, centrata sul suo enorme mercato interno, l’autosufficienza strategica dell’Europa, centrata sul proposito del più pieno controllo del mercato interno unico.

Il multilateralismo della terza Fase della globalizzazione, spinto dalla Sindemia, sta assumendo sempre più il volto della costituzione di grandi blocchi continentali, i cui contorni sono e saranno sempre più innestati su profonde differenze storico-culturali.

Benvenuto Biden, dice in sostanza Macron, ma noi europei dobbiamo tornare ad un antico concetto: alla distinzione cioè tra Occidente (l’Europa) e Estremo Occidente (l’America).

La novità politica alla base della proposta di Macron, sta nella svolta nei fatti della Merkel e nel lancio del Recovery Fund. Cioè del ruolo da asse strategico che la Germania si assume nella costruzione concreta dell’Europa Sovrana.

Lo spazio politico nuovo che Macron in definitiva individua come occasione per il balzo in avanti della Sovranità europea, è quello che si è venuto a creare negli ultimi anni, e che si colloca tra i due assi cartesiani della perdita di ruolo degli Stati Uniti da una parte, e della crescita di ruolo della potenza cinese dall’altra.

Spazio che neanche la nuova Amministrazione Biden, sarà più in grado di rioccupare.

Sinteticamente, tra il ruolo calante degli Stati Uniti (crisi del 2007, innesco della Sindemia ecc) e il ruolo crescente della Cina e lo spostamento conseguente del baricentro del mondo nel continente asiatico.

Gli ostacoli sulla via della piena Sovranità dell’Europa sono ardui da superare, e solo la forza di Pressione scatenata dalla Sindemia,la frusta o Forza delle cose, spinge la situazione in avanti: da qui l’importanza del Discorso di E.Macron ed il nuovo spazio che delinea anche per una forza di Sinistra,non infeudata ad un anacronistico atlantismo.

La sovrastruttura politico-istituzionale dell’Europa è costituita in definitiva da tre fattori, tre elementi portanti: Parlamento e suo ruolo; Consiglio e suo ruolo; la NATO ed il ruolo dominante che gli Stati Uniti hanno nella alleanza.

Il voto alla unanimità nel Consiglio, conseguente anche all’errore strategico degli anni passati, dell’allargamento all’Est, paralizza, lega le mani ad ogni grande iniziativa politica, e rende conseguentemente il ruolo del Parlamento scarsamente incisivo; la presenza della NATO, anche se con l’encefalogramma piatto ,come dice Macron, rappresenta ovviamente l’altro principale ostacolo sul cammino della Europa Sovrana.

Sul piano Economico, della struttura produttiva, inoltre poche imprese europee hanno la stazza alla Dimensione dell’Europa Sovrana.

 Da qui la spinta dei due ministri, Altmaier e LeMaire ad una “collaborazione economica ma con ambizione politica”.

Tale spinta va colta in tutto il suo significato strategico e merita ogni attenzione (vedi l’intervista di LeMaire di oggi al Corriere della Sera su Batterie Idrogeno e Spazio ecc) .

Si tratta nella sostanza della strategia dei Campioni Europei, della Strategia Airbus, per intenderci.

il Progetto europeo sulle Batterie, dopo Airbus, è il più grande progetto pensato in funzione della autonomia strategica dell’Europa!

Sul piano sociale, l’introduzione del Salario Minimo Europeo, come vincolo continentale delle politiche del Lavoro. Primo pilastro continentale della condizione salariale del Lavoro.

Quello che colpisce è la quasi totale assenza di un protagonismo dell’Italia alla altezza della autonomia strategica dell’Europa.

Il recovery fund o Next Generation viene declassato ad una specie di Bancomat Europeo, per coprire e continuare con le nostre nefandezze.

Solo dei vecchi progetti a 5/6/7 anni restano tuttora inevasi quasi 150 miliardi.

Come si farà a spendere i 200 miliardi in tre Anni del Recoverj Fund?

La Francia ha la Commissione del Piano e uno Stato che funziona(L’Ena) e infatti ha già presentato i suoi progetti.

A quando anche in Italia una Commissione del Piano,o almeno un contenimento di questa disarticolazione dello Stato, innescata dalla riforma del Titolo Quinto della Costituzione?

Come si partecipa alla costruzione dei Campioni Europei, dall’acciaio, all’idrogeno, dalle batterie al Cloud?

Possibile che la Sinistra abbia perso persino la memoria del miglior contributo, – dopo le Tesi di Lione – alla storia del Pensiero Politico?

Parlo delle Riforme di Struttura, di cui la Rete pubblica Unica-rete pubblica da rendere la connessione attivabile come il rubinetto dell’acqua- oggi rappresenterebbe il suo inveramento più Perfetto.

Luigi Agostini 21 Novembre 2021

Luigi Agostini

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Ora subito una Tennessee Valley Authority della Sanità https://www.ildiariodellavoro.it/ora-subito-una-tennessee-valley-authority-della-sanita/ Sun, 22 Nov 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/ora-subito-una-tennessee-valley-authority-della-sanita/ Ci sono decenni in cui non accade niente e settimane in cui accadono decenni.

La massima di un giovanissimo Lenin, che ritroviamo in apertura del libro di Michele Mezza e Andrea Crisanti il Contagio dell’algoritmo, meglio di ogni ulteriore speculazione documenta il tempo che stiamo vivendo.

Lo Stato, come luogo pubblico non subalterno al privato, è al centro di un tiro incrociato. La pandemia, che pure sembrava mettere al centro l’idea di pubblico come unica salvezza, sta dando la stura al peggio degli istinti speculativi e reazionari che decenni di individualismo parassitario hanno contribuito a diffondere in tutte le fibre sociali del Paese.

La sanità pubblica e universalistica sta combattendo una battaglia campale, ma senza una strategia politica e senza una base sociale che la rivendichi come valore estremo. Il governo annaspa inseguendo un virus che corre a velocità siderale. La sinistra ondeggia fra l’istinto solidarista e la tentazione efficientista. In queste ore che stanno ridisegnando il mondo dobbiamo ritrovare la forza di un’identità sociale altra rispetto alla dinamica del mercato. È il tempo di una sinistra forte. Che assuma il conflitto fra calcolanti e calcolati, come matrice della battaglia dei cittadini contro il virus.

Vanno quindi sostenuti quegli scienziati, come Andrea Crisanti, o Massimo Galli, che chiedono piena autonomia e sovranità nell’uso dei dati per contrastare la marcia del contagio. Senza i dati si muore. Senza quei dati che Google e Facebook  hanno messo in vendita, diventa davvero difficile circoscrivere il virus. Dobbiamo usare questo mese di similockdown per potenziare la capacità della sanità di prevedere l’incubazione del covid 19 e non di inseguirlo. Ci vogliono i dati sociali I dati necessari per fermare il contagio ci portano alla centralità della proprietà di tutti i dati, confiscati da pochi gruppi privati che tendono ormai a sostituirsi ad ogni potere democratico.

Più ancora i monopoli delle piattaforme che profilano miliardi di persone ormai esplicitamente condizionano fino a sostituirsi al potere politico, sfruttando e piegando il nuovo tratto distintivo della nostra epoca, la potenza di calcolo, potenza che tutto regge e tutto regola. È così che la sinistra, attraversando il terreno lastricato di dolore della pandemia, può rientrare nel nuovo tempo, imparando dalla realtà concreta. Analisi concreta della realtà concreta.

Una sinistra che possa tradurre in digitale i suoi tradizionali linguaggi di solidarietà, di democrazia e di riorganizzazione degli assetti produttivi e sociali. Esattamente come nel cuore della crisi degli anni 30 il movimento del lavoro interloquì con tutti i mondi della cultura per ridisegnare un modo in rovina, oggi bisogna rimettere in piedi questa capacità di parlare a tutte le persone a partire dalla loro sicurezza e salute, in un mondo in cui solo con i dati digitali si può anticipare e predire la velocità del contagio.

Una sinistra che parta proprio dalla sanità, dall’articolo 32 della Costituzione, che fa obbligo allo Stato di assicurare ad ogni cittadino e garantire ad ogni comunità non solo la sicurezza ma la piena consapevolezza sulle misure diagnostiche e terapeutiche.

Una consapevolezza che non può prescindere oggi dal controllo esplicito e cosciente di quel flusso di dati sensibili che rappresenta la base della nuova produzione di valore e di autonomia sociale e di sovranità statuale.

E’ indispensabile  che Immuni, l’applicazione di tracciamento, sia collegata alla tessera sanitaria e sia parte integrante della documentazione di ogni cittadino. L’applicazione deve potersi agganciare al GPS in modo di monitorare i nostri movimenti. La pandemia ci ha insegnato ormai che senza un controllo esplicito dei dati ,il contagio diventa inarrestabile e si muore.

Nessun pretestuoso e strumentale richiamo ad una privacy ridotta ad un guscio vuoto,-un Privatismo senza più Privato – quotidianamente violata e sbeffeggiata dai grandi poteri tecnologici globali può giustificare che la sanità pubblica non possa essere partner di ogni cittadino nella tutela della salute, sicurezza e socialità.

Il fallimento di Immuni, nata subalterna e inefficiente. Inefficiente perché subalterna ai grandi domini della telefonia mobile, ci mostra una sola via per una democrazia reale, attuale, moderna, che attivi ogni risorsa e infrastruttura digitale per sostenere una concreta ed efficacie territorializzazione dell’assistenza e del contrasto al contagio nella fase dell’incubazione per non attendere sulla soglia dei reparti ospedalieri la valanga dei malati.

La via della sicurezza e della obbligatorietà.

Si annunciano nei prossimi mesi l’avvento di soluzioni, come il 5g e la rete a banda larga, che renderà inevitabile la circolazione veloce di pacchetti di dati corposi e rilevanti, come le stesse cartelle cliniche: dobbiamo convertire il titubante progetto di Fascicolo Sanitario Elettronico in una straordinaria ed autonoma Infrastruttura, pietra angolare di  un welfare pubblico competitivo ed efficiente che trascini la modernizzazione del paese, che fornisca strumenti e saperi per smorzare progressivamente il contagio e per innestare una società più eguale e sicura.

Che dimostri come Pubblico non equivalga a Burocrazia.

Proposta allora improrogabile :Il Ministero della Salute deve  diventare il fulcro e la cabina di regia di questo nuovo welfare del calcolo, per guidare efficacemente l’intero processo di contrasto alla Pandemia,e per programmare le politiche altrettanto necessarie alla tutela della salute pubblica.

Medici ed infermieri sono indispensabili, ma altrettanto indispensabile oggi è un Supercomputer al Ministero della Salute: appunto la potenza di calcolo.

Concretamente proponiamo che si risponda all’emergenza con una strategia che veda il Ministero della salute in pochi mesi completare la  interoperabilità di tutti i dati della sanità che si riferiscono a spazi, memorie e capacità di elaborazione, accessibili e integrabili dalla rete composita degli ospedali, delle RSA, delle ASL, dei medici di base, per diventare un potente data base della nostra salute e il luogo dove crescere in capacità di analisi e riconoscimento predittivo di tutti i fenomeni patologici.

L’universo pubblico dispone di straordinarie capacità di calcolo, come le infrastrutture di Eni, Leonardo e INPS, dimostrano.

Essere stato oggi significa congiungere e finalizzare tutti questi assets alla nostra sicurezza e salute.

Oggi e non domani.

Luigi Agostini

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Il pugno di Lama https://www.ildiariodellavoro.it/il-pugno-di-lama/ Sun, 18 Oct 2020 22:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/il-pugno-di-lama/ Elias Canetti sostiene che quando le grandi forze non hanno qualcosa da dire, ricorrono alla celebrazione di qualche anniversario. Il grande scontro degli anni ’80 tra sindacato e Fiat non appartiene a questa serie di eventi celebrativi, sia per la fase che chiude che per la fase che apre.

Da parte sindacale lo scontro è condotto dalla Flm, che ne uscirà ferita a morte: la Flm è stata il prototipo di una forma sindacale originale, il sindacato dei consigli; è stata l’esperienza di massa più ricca della storia d’Italia, tra il sindacalismo cristiano ed il sindacalismo di formazione diciamo marxista, almeno  nella parte più consapevole; è stata infine l’anima e la struttura del grande incontro tra le masse operaie e studentesche che, a partire dall’autunno caldo, ha sorretto il movimento sociale di più lunga durata del Paese.

La vicenda degli anni ’80 chiude l’esperienza della Flm, per così dire l’età dell’oro del sindacalismo italiano e apre una fase di luci e di ombre; molte le ombre e poche le luci. La morte recente di Cesare Romiti ha riacceso le luci su quella battaglia, sul significato e sul modo  di come è stata condotta, sui protagonisti e sul senso più generale del suo esito. Come dopo Canne o dopo Waterloo. Perse Lama?

Per molto tempo non si ebbe coscienza piena di una sconfitta campale del sindacato, come sembra suggerire T.Rinaldini, a quel tempo coordinatore del settore auto della Fiom? Io penso l’esatto contrario. La mattina della cosiddetta marcia dei quarantamila, di buona ora, Lama convoca una riunione assolutamente straordinaria. Il vertice dei comunisti della Cgil e della Fiom. Lo stato maggiore. Lo scontro con la Fiat stava arrivando al suo epilogo. Io partecipavo come segretario nazionale della Fiom, responsabile della Siderurgia, una specie di decima legio della Fiom. Le vibrazioni del pugno di Lama sul tavolo ancora risuonano nelle mie orecchie.

Caro Tiziano Rinaldini. come stai? Ho letto la tua intervista sulla vicenda Fiat. Vorrei ricordarti l’incontro straordinario tra comunisti della segreteria Fiom e comunisti della segreteria Cgil, più Bertinotti, come segretario del Piemonte e appunto tu come coordinatore Fiom dell’auto. In quel incontro, avvenuto proprio la mattina della funesta marcia, la relazione fu di Pio Galli: sia Trentin che Garavini, soprattutto Garavini ,espressero un giudizio ad alzo zero -sia sulla relazione ottimistica sullo stato dello scontro con la Fiat, e sull’ancor più ottimistico intervento di Bertinotti sulla tenuta della città (non riempiranno neanche il cinema Smeraldo o Apollo, disse Fausto), che sulla conduzione avventuristica della intera vicenda. Stiamo precipitando, disse Trentin; siamo già precipitati disse Garavini, con Lama esterrefatto che corre al telefono, attraverso cui gli veniva annunciato il successo della marcia. Ricordo ancora l’ira furibonda di Lama (con voi faremo i conti dopo, rivolgendosi a Galli Sabattini e Bertinotti,) mentre calava la mano sul Tavolo, ordinando a Trentin e Garavini, di correre a Torino e al ministero del Lavoro per salvare il salvabile. Quindi nessuna responsabilità di Lama (diretta), tranne quella che, come segretario generale della Cgil, inevitabilmente può essergli attribuita: la responsabilità della più grande sconfitta campale del sindacato e della Cgil. Del dopoguerra. Sconfitta campale appunto perché sono le sconfitte campali – fra l’altro percepita da subito come tale – che segnano le svolte della Storia. Il Sindacato, la Cgil mise la sua testa sul ceppo: La Fiat di Romiti calò la mannaia. Ricordando agli immemori che la lotta di classe non è un pranzo di gala.

Le conseguenze di quella sconfitta, come un fiume carsico, segnano la storia successiva del sindacato e particolarmente la Cgil, incrociandosi con i tanti accadimenti della storia. Nel senso più generale sindacale segna la fine della Flm ,del suo ruolo centrale, baricentrico, assunto nella storia sindacale degli anni settanta: come strategia, come struttura, come cultura. Nella Cgil le ripercussioni toccano tutti gli aspetti della vita della organizzazione, dalla politica dei quadri (una specie di cordone sanitario attorno ai quadri fiom: esempio vivente Giorgio Cremaschi, intelligenza viva e fiom a vita) alla forma/sindacato (declino e superamento del sindacato dei Consigli).

Sul piano della cultura, nasce con Sabattini l’idea del sindacato indipendente. Ha ragione Rinaldini: la sconfitta campale è la vera genitrice del sindacato indipendente. Il sindacato indipendente, è uno strano miscuglio di ingredienti: si nutre della sconfitta, della delusione verso la sinistra politica, (Torino come Danzica ma occasione mancata per l’ignavia della sinistra) della debolezza e dei limiti della politica confederale. (i diari di Trentin sono illuminanti). Il sindacato indipendente, badate bene indipendente e non autonomo, come sottolinea Rinaldini, Sarebbe potuta rimanere una pur traumatica conseguenza di una sconfitta bruciante – ogni sconfitta genera negli sconfitti la sindrome della sconfitta- Se non si fosse accompagnata ad un fatto importante: il ritorno di Sabattini alla Fiom, il posto meno adatto alla elaborazione della sconfitta.

La scelta di Trentin di Sabattini alla Fiom è stata la scelta – in termini di politica dei quadri – alla insegna della totale insensatezza. Per il peso comunque storico della Fiom nella vita della Cgil. Il luogo della sconfitta è infatti il luogo meno adatto per elaborare le ragioni della sconfitta. Sono tornato, si dice che abbia detto Sabattini al suo ritorno in Fiom. Il sindacato indipendente non è altro che il sindacato di scuola anglosassone che si nutre nel fondo di un classismo duro ma corporativo. Cosa sono se non una via alla corporativizzazione del lavoro, la proliferazione incontrollata di ogni genere di fondi, da quelli previdenziali a quelli sanitari? Il sindacato indipendente è l’esatto inverso del sindacato confederale e della sua politicità.

Il sindacato confederale poggia sul concetto che sinistra politica e sindacato confederale sono gemelli siamesi autonomi ma in relazione dialettica reciproca. Ognuno nutre la politica dell’altro. Il sindacato indipendente è all’origine “dell’agnosticismo politico” di gran parte oggi di tanti quadri sindacali , che li porta a  chiudersi in una dimensione puramente sindacale, il sindacato come mestiere, e a rivendicare una cosa che avrebbe fatto rabbrividire Luciano Lama: la detassazione degli aumenti contrattuali. Il contratto di lavoro cioè pagato dalla collettività’, anche da chi sta peggio. Si tocca la massima espressione  del classismo corporativo, l’inverso esatto di una politica di alleanze  sociali, di un possibile ruolo egemone dei lavoratori all’interno del terzo stato. Terzo stato sempre più composito, ma proprio per questo, la egemonia del Lavoro richiede un di più di visione e cultura confederale. Non di meno. Di politica appunto.

Gigi Agostini

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Il Balzo in avanti dell’Europa https://www.ildiariodellavoro.it/il-balzo-in-avanti-delleuropa/ Wed, 02 Sep 2020 22:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/il-balzo-in-avanti-delleuropa/ Maledetta Pandemia, Benedetta Pandemia. Sotto il segno della sua forza d’urto, l’Europa della Terza Globalizzazione cioè la riorganizzazione dello spazio-mondo per grandi blocchi continentali omogenei ha superato il suo battesimo del fuoco.

L’Europa Latina, sotto la spinta della necessità ha funzionato da ariete, ma quello che più conta la Germania ha scelto di mettersi alla testa di questa nuova direzione di Marcia, che trova nello spazio del Mercato Unico Interno il primo riferimento strategico delle scelte di controllo e di sviluppo.

Il balzo in avanti del processo di integrazione continentale è notevole: Il bilancio sovrano della Commissione è quasi raddoppiato, la capacità impositiva affermata, una politica di sostegno per i paesi ed aree più in difficoltà supera la soglia della mera solidarietà e finalmente assume la forza di una strategia.

Da qui  in avanti modello Airbus per tutte le situazioni. Si apre l’era dei Campioni Europei.

I piani di investimento dei singoli paesi ,andranno inseriti in tale nuova dimensione strategica, che va colta in tutta la sua novità, specie per il ruolo che assegna e implica per tutti i soggetti: Stato, Impresa, Sindacato, Cooperazione, Consumerismo.

Per la Sinistra Europea è imprescindibile salire a questa nuova dimensione, che è insieme teorica e organizzativa: E farsene alfiere .

Siamo usciti, dobbiamo uscire da una idea infantile dello Spazio Politico sintetizzato dalla coppia concettuale di locale/globale: un locale impotente ed un globale inafferrabile.

Afferrare una nuova dimensione culturale e strategica.

Tra l’insignificante e l’inafferrabile c’è lo Spazio Europeo, per la siderurgia come per la sanità, per la ricerca come per il traporto aereo, come per le telecomunicazioni ecc . Per riprendere una parola d’ordine in questi anni semidimenticata: c’è l’Airbus per tutti. Sui Campioni Europei si costruisce l’Autonomia dell’Europa.

Pesce fritto. La competizione intraeuropea, essendo il mercato unico interno già oggi il mercato più ricco e dalle enormi potenzialità, sarà dominato dai Campioni Europei e da imprese comunque di taglia Europea, pubbliche o private.

Se l’orizzonte è quello che ho cercato di delineare e che riassuntivamente possiamo chiamare Terza Globalizzazione, l’errore più pacchiano che possiamo commettere è quello di destinare le risorse ad un rilancio dei consumi, per di più privati. Primo perché e non da oggi, siamo di fronte ad una saturazione ormai cronica dei consumi privati. La crisi del 2007 è in primo luogo una crisi di sovracapacità produttiva.

Secondo, perché se lo scenario è quello tratteggiato della Terza Globalizzazione, la costruzione di Campioni Europei, dovrà essere, con tutto quello che ne consegue (ricerca ,logistica, ambiente, formazione, ecc) l’obbiettivo su cui concentrare gli investimenti necessari.

La forza produttiva ed il peso dei singoli paesi nello Spazio unico europeo, e quindi mondiale sarà misurato dal conferimento che i singoli paesi, sapranno dare, nei singoli settori, a tale strategia: siderurgia, Reti, materiali ed immateriali ecc ecc.

Gia a Sinistra, la Sinistra Distributiva che io chiamo invece che keynesiana, la Sinistra del pesce fritto, che ha già dato il meglio di sé con le politiche di rottamazione, comincia a rumoreggiare sul rilancio dei consumi, per di più privati. Su progetti purché piccoli,al centro della fase del Riavvio postpandemia. Per non dire delle associazioni padronali di ogni ordine e grado, la cui idea di fondo è sempre la stessa: i soldi a noi. Gratis e senza vincoli.

Per un paradosso ma non tanto, si opera una convergenza di fatto tra la Sinistra Distributiva e senza progetto ed un Padronato altrettanto senza progetto all’insegna della parola d’ordine del Rilancio dei Consumi, che la Sinistra Distributiva vende come lotta alle diseguaglianze e una Destra analfabeta come Libertà … dal Tallone di ferro dell’Europa o perlomeno della Germania.

Di fronte a tali posizioni viene  quasi da dire: Forza Conte o meglio ancora Forza Merkel.

Che Fare dunque, direbbe il sommo Maestro?

Alcuni hanno calcolato che con le risorse europee in arrivo, è possibile raddoppiare le risorse pubbliche per i prossimi sei anni.

Nei grandi momenti del passato, la parola d’ordine era: Fare gli italiani.

Oggi la parola d’ordine dovrebbe essere : Fare gli Europei.

Come? Concentrando le Risorse su quattro direzioni.

a) Rete informatica, chiudendo per prima cosa la questione che la rete deve essere una e pubblica.

Oggi la rete informatica vale strategicamente anche molto di più delle ferrovie o della nazionalizzazione della energia elettrica del passato.

La rete informatica rappresenta il sistema nervoso del Paese.

Di tutto il Paese e di tutte le realtà e problemi di cui è fatta la vita da un paese: dalla riorganizzazione dello Stato e della sua Sovranità, a quella delle città, dalla mobilità urbana al rapporto centro/periferia, dalla organizzazione della impresa e della produzione/distribuzione ,ai nuovi rapporti di lavoro ecc.

b) Rete Sanitaria, riorganizzando e modernizzando il sistema, rendendolo veramente universale, colmando le deficienze messe pienamente in luce dall’esplodere della pandemia: dall’inserimento dei medici di base nel sistema pubblico, alla cancellazione dell’intramoenia nella struttura ospedaliera pubblica.

Chi lavora per il pubblico lavora per il pubblico.

c) Rete della Pubblica istruzione e della Ricerca pubblica sul modello della Fraunhofer tedesca.

d) Impresa europea, Campioni europei, modello Airbus,o,come il recente accordo franco-italiano sulla Cantieristica.

La strategia della costruzione dei campioni europei rappresenta il terreno altrettanto necessario di quello della democratizzazione istituzionale, per una strategia  complessiva degli Stati Uniti d’Europa.

Fare quindi gli Europei, sapendo molto bene che questo significa completare anche quello che non si è fatto, o che addirittura si è fatto ma all’incontrario sulla via del Fare gli Italiani.

Ho sempre ammirato  dei Francesi, l’ENA e dei tedeschi Fraunhofer. Così io vedo il compito di una Sinistra Pensante.

Luigi Agostini

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Da Wuhan a Detroit (via Milano) https://www.ildiariodellavoro.it/da-wuhan-a-detroit-via-milano/ Tue, 17 Mar 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/da-wuhan-a-detroit-via-milano/ Da Wuhan a Detroit

Riuscirà il Coronavirus a far saltare -partendo dalla Sanità- il welfare Contrattuale, che negli Stati Uniti ha trovato la sua più piena realizzazione?

Come si sa,in anni lontani, con i protocolli di Detroit, nella industria dell’auto, si fissa una linea che poi diventerà generale per tutto il mondo del lavoro americano: una parte dei benefici salariali viene trasformata in benefits previdenziali e sanitari.

Nascono i Fondi Previdenziali e Sanitari di Azienda. Pietra angolare del welfare Americano.

La via imboccata dal sindacalismo americano ha conseguenze politiche formidabili: ha portato il sindacalismo americano ad assumere tendenzialmente una logica corporativa: tutti i tentativi, ultimo quello di Obama, di riforma sanitaria di carattere universalistico, hanno visto il sindacato americano contro.

A difesa dei propri Fondi, insieme alle grandi lobbjes conservatrici.

Il sostegno del sindacalismo americano agli stessi Democratici si ferma al momento prima dei tentativi di impiantare un sistema sanitario universalistico.

La strategia padronale del Welfare Contrattuale ha fatto prigioniero il sindacalismo americano, trasformando quello che dovrebbe essere il suo antagonista, nel principale difensore della diseguaglianza sul tema dirimente: quello della Malattia/Salute.

Riuscirà’ l ‘attuale Pandemia a liberare il lavoratore americano dai Protocolli di Detroit?

Riuscirà’ la sua diffusione a sgretolare la muraglia che ha reso il lavoratore americano prigioniero di Big Fharma?

Muraglia alla cui costruzione Big Fharma – a detta di Krugman- ha investito risorse superiori al costo della guerra del Vietnam.

Muraglia contro cui il povero Bernie Sanders non può avere forze sufficienti al suo sgretolamento.

La pandemia metterà a dura prova comunque la resistenza della muraglia. La talpa scava.

Da Wuhan a Milano

lo Stiletto della Misericordia. Corre notizia che in molti luoghi di lavoro, i lavoratori si rifiutano di partecipare al lavoro.

Sembra un volersi sottrarre al contributo di solidarietà che tutto il paese è chiamato a produrre in questo frangente così difficile.

In realtà la ragione è molto più elementare: date le condizioni di lavoro particolarmente problematiche, il rischio non è solo quello di ammalarsi, ma di finire in reparti improvvisati o addirittura inesistenti, data la saturazione dei posti letto.

I tagli e la privatizzazione della Sanità pubblica-i due processi sono andati a braccetto in questi anni-complici quasi tutti i soggetti per la loro quota (amministratori, imprese, sindacati, governi) hanno ridotto enormemente la capacità protettiva della Sanità pubblica.

Serpeggia la paura dello Stiletto della Misericordia: lo strumento che, dopo la battaglia, la mano pietosa del cappellano, impugnava per porre fine ai dolori senza speranza dei feriti.

Altro che fondi sanitari integrativi di categoria e di azienda.

Per di più Esentasse. Estesi persino ai propri cari, persino in enti pubblici, persino in Regioni in cui la Sanità pubblica come il Lazio era stata necessariamente commissariata.

Il Coronavirus parla anche di noi. Dei nostri limiti ed errori.

Scudi di latta di fronte alle pandemie di nuovo tipo.

Di Vittorio consigliava di partire sempre dall’analisi dei propri errori.

Il dopo Coronavirus comincia da adesso.

Il silenzio del sindacato sui suoi errori di valutazione rimbomba in questa ora tragica.

Modesta Proposta.

Oggi sia Landini che Monti, il meglio dei rispettivi mondi, avanzano proposte interessanti, pressati dalla Grande Pandemia e dagli enormi problemi che tale Pandemia mette davanti a tutti.

Sia riguardo alla Salute Pubblica che al Modello di Sviluppo del Paese.

Partire dal dramma della Pandemia significa mettere mano alla riorganizzazione del sistema sanitario; dotare cioè la Organizzazione sanitaria che ha il suo Centro nel ministero della salute della Potenza Tecnologica, della Potenza di Calcolo che sola permette oggi la Previsione e la Programmazione di autentiche politiche della Salute.

La Cina insegna.

Solo una formidabile tecnologia – la tecnologia del supercomputer – permette una tale azione di Prevenzione e di Programmazione.

Monti parla d’una imponente massa di risorse da destinare alla Sanità ,di Bond di salute pubblica: un Fondo nazionale, a rendimento garantito.

La proposta sta alla altezza del problema.

La mia Proposta, ma qui deve confluire il Sindacato, a partire dalla Cgil: i fondi sanitari e previdenziali integrativi, costituiti in questi anni, partecipino alla costituzione del Fondo nazionale, alle condizioni definite.

Il Fondo deve avere come obiettivo prioritario quello di dotare la nostra Organizzazione Sanitaria della Potenza tecnologica in grado di fronteggiare i pericoli che la nuova era della globalizzazione ormai serialmente produce.

Un nuovo Scudo della Salute. Pubblico. Perché solo ad un Sistema Pubblico posso conferire i miei dati personali.

Luigi Agostini

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La crisi dell’Ilva https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-dellilva/ Tue, 07 Jan 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-dellilva/ La crisi dell’Ilva sta arrivando al suo culmine: tra ignavia dissipazione disperazione. Il Siderurgico di Taranto rispondeva a tre esigenze: a) acciaio per l’industrializzazione del Paese b) risposta alla questione meridionale c)programmazione pubblica del modello di sviluppo, impossibile senza un controllo pubblico della industria di base.

 Tali ragioni sono oggi ancora più valide di ieri.

Al destino di Taranto sono stati sacrificati Bagnoli e Cornigliano. Ma il vero  delitto politico/industriale è stato la consegna ai privati della siderurgia pubblica, per di piu a prezzi stracciati.

 Privatizzazione dell’acciaio che come tutte le altre privatizzazioni, si sono risolte in un colossale fallimento dell’industria italiana: l’Italia non ha più grandi imprese.

 Oggi di fronte a tale disastro: corresponsabili la miopia e l’ingordigia dei privati e l’ignavia della sinistra storica, sindacale e  politica, va invertita la rotta: tornare al grande disegno originario, illuminato a sua volta, dal grande progresso tecnologico nel frattempo affermatosi nelle produzioni siderurgiche.

 Acciaio ed ambiente non sono in antitesi. Liberarsi dei Privati. Ricostruire la grande scuola di manager pubblici che fu vanto dell’Iri (il delitto di Prodi).

 Ridare al Siderurgico il suo ruolo e destino.

 La garanzia di questo ruolo sta in un riconquistata natura pubblica dell’Ilva.

Il governo attuale  è di fronte al bivio deve prendere atto che non esistono altre vie per chiudere la partita a mosca cieca iniziata con la Privatizzazione.

 L’Ilva può segnare il nuovo inizio dello Stato Innovatore.

Ilva: non basta dire Pubblico. L’acciaio non è un panettone. La presenza pubblica non può essere concepita è realizzata come una presenza di garanzia, tutto sommato indiretta, attraverso la solita Cassa Depositi e Prestiti.

Proprio perché l’acciaio è una produzione strategica per tante ragioni, la Presenza Pubblica deve stare alla altezza di tale compito: Presenza quindi di Direzione, di Conduzione.

 Dopo il fallimento dei Privati, dopo la conclusione della fase puramente speculativa del capitalismo privato.

 Questo significa manager pubblici; non commissari/avvocati, riaprendo la scuola della grande Managerialità dell’Iri, la cui chiusura è stata un vero e proprio delitto industriale.

 Questo significa resuscitare una Banca di Investimenti pubblica, proprio per finanziare con capitali pazienti, gli investimenti necessari ai progetti di sviluppo e di riconversione ambientale e di rilancio del Sud.

 La manifestazione nazionale dei lavoratori dell’Ilva di oggi pone tale necessità Strategica Nazionale , dimensione che il capitalismo privato non è in grado di raggiungere.

 Il Governo nazionale è chiamato a dare una risposta alla altezza del problema che la manifestazione dei lavoratori pone e rivendica.

 Come avviene sempre nei momenti difficili, la lungimiranza strategica del mondo del lavoro si rivela come la forza più affidabile a cui affidare le scelte strategiche del Paese. Con Fiducia.

UniCredit accumula profitti e licenzia. Ilva accumula perdite e licenzia.

 L’apparenza indica una contraddizione, la realtà invece indica un’ unica questione: la questione del modello di sviluppo.

 Una difesa rigida dei livelli di occupazione, senza affrontare il tema del modello di sviluppo è una lotta senza sbocchi. Accumula solo sconfitte.

 La tematizzazione del modello di sviluppo richiede una ricostruzione del profilo sociale del Partito politico, sia una ricostruzione del profilo politico del Sindacato.

 Profili entrambi oggi largamente Assenti. Lavoro gigantesco, ma qui siamo.

Serve una frustata al cavallo.

 Le cose cambiano ma anche ritornano, pur in nuove forme.

 La scala mobile ritorna con le sembianze del reddito di cittadinanza.

 Il Siderurgico di Taranto nato come frutto di due necessità, (una politica di programmazione dello sviluppo e l’uscita dal sottosviluppo delle regioni meridionali,)

 con Il fallimento delle privatizzazioni dell’industria pubblica – tra cui quella dell’acciaio e la cancellazione di ogni politica di programmazione , – due facce della stessa medaglia, la medaglia del cosiddetto libero mercato – ripropone le stesse questioni, anche se in contesti e forme diversi.

 Le privatizzazioni degli anni novanta, per le stesse modalità di attuazione, sono alla radice del vorticoso processo di diseguaglianza del Paese.

L’esito lo raccontano la vicenda del ponte Morandi ed i dati forniti in questi giorni dalla Svimez: la nuova grande migrazione dal Sud e l’impoverimento del Paese.

Le privatizzazioni in secondo luogo hanno lasciato un Paese ormai quasi senza grandi imprese, mentre in Europa si progettano sotto l’urto della competizione cinese(emblematica la recente aquisizione di Kuka, una delle aziende tedesche di avanguardia), i nuovi “campioni europei”e mondiali.

 La  vicenda dell’Ilva parla di questo ,del fallimento delle privatizzazioni, dell’abbandono da parte della Sinistra di ogni idea di programmazione dello sviluppo, della sua resa alla colonizzazione da parte del Mercato.

 Da qui bisogna ripartire.

Controllo pubblico dell’Ilva, per ritessere da qui il discorso dello Stato innovatore e di un nuovo modello di sviluppo.

 Un nuovo modello di sviluppo – se non lo si vuole ridurre ai fervorini della domenica – rimanda imperiosamente a decisioni strategiche.

Quella che riguarda l’Ilva è una di queste.

La pubblicizzazione dell’Ilva, la riapertura di una grande scuola di Formazione di managers pubblici, una nuova Banca Pubblica per capitali “pazienti”, fanno parte di una stessa concatenazione strategica.

Per lo Stato significa  ricostruire la sua funzione di stratega dello sviluppo.

 Per la Sinistra si tratta di tornare dove ha smarrito la Via.

Luigi Agostini

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