Fabrizio Tola – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali Fri, 28 Jul 2023 07:15:50 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.3 https://www.ildiariodellavoro.it/wp-content/uploads/2024/02/fonditore.svg Fabrizio Tola – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it 32 32 La magistratura, il sindacato e la logistica https://www.ildiariodellavoro.it/la-magistratura-il-sindacato-e-la-logistica/ Thu, 27 Jul 2023 16:41:41 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=169686 Nel dicembre scorso, la Procura di Milano ha disposto il sequestro di quasi 100 milioni di euro divisi tra due grandi gruppi della logistica: Geodis e BRT-Bartolini. Nel 2021 stessa sorte per DHL Supply Chain. Il motivo consiste in una grossa e complessa frode fiscale e contributiva a danno dell’erario e dei lavoratori. Il meccanismo passa attraverso il continuo e repentino cambio di appalto di servizi di trasporto e movimentazione merci. Un appalto che di fatto diventa “somministrazione”.

Queste grandi aziende della logistica, di mestiere movimentano e trasportano merci, ma non hanno né facchini né autisti tra i loro dipendenti. Il loro Core-Business, la loro Mission, viene svolta da aziende, cooperative, consorzi, a cui conferiscono l’appalto. Quando vedete un camioncino rosso con la scritta BRT, quel camioncino non è di proprietà BRT. Quando un driver con la maglietta rossa con scritta BRT, vi suona alla porta per consegnarvi un pacco, sappiate che non è un dipendente BRT. Questo sistema vale per tutta la logistica italiana.

Le categorie sindacali del settore, FiltCgil,FitCisl e Uiltrasporti, hanno più volte rivendicato l’accorciamento della filiera e quindi l’internalizzazione delle attività proponendo anche periodi di gradualità paragonabile a start up, senza mai essere ascoltati. Hanno più volte evidenziato come le aziende di appalto hanno poca autonomia, a volte sono finte: chi dirige, opera e paga, sono le aziende committenti. Gli impiegati delle aziende committenti spesso decidono le ferie o i provvedimenti disciplinari dei dipendenti delle aziende di appalto. Una vera e propria intermediazione di mano d’opera quasi generalizzata. C’è una letteratura sindacale (comunicati, denunce, articoli, piattaforme rivendicative), che testimonia questo.

Le tre federazioni sono però riuscite ad introdurre nel contratto nazionale e nei contratti regionali, le clausole sociali, cioè il passaggio diretto dei lavoratori dall’azienda uscente dall’appalto a quella subentrante, rispettando le condizioni contrattuali economiche e normative in essere.
L’azione della Procura di Milano, oltre ad evidenziare il danno erariale e contributivo, danno di cui otterrà giustamente, risarcimento, ha constatato, attraverso decine di testimonianze e interventi della Guardia di Finanza, l’intermediazione di mano d’opera. Mentre il Sindacato può denunciare politicamente l’intermediazione di mano d’opera ma non ha titolo giuridico che spetterebbe semmai al singolo lavoratore, la Procura di Milano ha la capacità persuasiva di convincere le aziende indagate ad internalizzare gli appalti. Qualcuna lo farà, in toto o parzialmente, qualcuna no.

È tanto vero questo, che BRT con i suoi circa 16.000 lavoratori in “appalto” non intende al momento assumere alcuno, farà sicuramente un accordo economico con la Procura di Milano sul pagamento del dovuto all’Erario e all’Inps, ma il tema dell’intermediazione rimarrà. Toccherà al Sindacato, come sempre, salvaguardare i lavoratori, attraverso il contratto nazionale, attraverso i contratti regionali, attraverso le mobilitazioni.

Questa storia che la Procura di Milano si sta di fatto sostituendo al sindacato non sta in piedi. Il Sindacato non porta i lavoratori a fare battaglie perdenti. Se le Aziende della Logistica e del Trasporto ultimo miglio non hanno dipendenti autisti e facchini da oltre 30 anni e nessuna legge li ha fermati, il compito del Sindacato (fermo restando l’obiettivo dell’internalizzazione), non potendo scegliersi il “Padrone”, è difendere l’occupazione e le retribuzioni. Ed è quello che è stato fatto e si continuerà a fare.

n.b. : Alla Procura di Milano sono depositate denunce del Sindacato che riguardano le aziende indagate.

Fabrizio Tola

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Pd sì! Pd no! https://www.ildiariodellavoro.it/pd-si-pd-no/ Mon, 03 Oct 2022 07:25:14 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=158979 Farsi carico degli interessi del Paese senza pensare agli interessi di Partito non paga. Non pagò per il PCI quando nel 1976,dopo 30 anni di opposizione, decise di dare una mano, visto che la DC non aveva i numeri per governare come nel passato. Decise di astenersi per dar vita ad un governo monocolore DC, senza nulla in cambio. C’era il rapimento Moro, c’erano gli anni di piombo.

Non pagò quando nel 1993, l’epoca di “Mani Pulite”, il PDS pur potendone approfittare, sostenne il governo  Ciampi, primo non parlamentare Presidente del Consiglio, chiamato dal Presidente Scalfaro per affrontare anche allora, l’emergenza “politica, istituzionale ed economica”.

Non pagò nemmeno quando il PD si fece carico del governo Monti, un governo “tecnico” che doveva evitare all’Italia, l’insolvenza dei conti pubblici che stava rischiando con il governo del centrodestra. Un governo di “lacrime e sangue” che doveva ridare fiducia all’Europa e ai mercati e dimostrare che eravamo in grado di pagare i nostri debiti. Quale migliore occasione di andare alle elezioni senza dar conto alle conseguenze economiche a cui andava incontro il Paese?

Non ha pagato, quando il PD arrivato terzo alla Camera e quarto al Senato nelle elezioni del 2018, si è messo a soccorrere il Paese, dopo la crisi di governo creata da Salvini, (allora si disse per scongiurare l’aumento dell’IVA, poi arrivò il Covid, un evento tanto drammatico, quanto inedito e sconosciuto) e la crisi successiva, creata da Renzi.

E non ha pagato sostenere Draghi. Si potrebbe dire Italiani ingrati. Si potrebbe sostenere  che gli italiani sono facili agli innamoramenti brevi(vedi Renzi, Salvini ,Di Maio ) o peggio, creduloni: pensioni minime a 1000 euro, aumento bollette pagate dallo Stato, un milione di posti di lavoro etc. Forse c’è  anche questo, ma c’è molto di più.

C’è quello che molti chiamano, “l’identità di un partito”, che a mio avviso non si è persa  dalla famosa “ fusione a freddo” di occhettiana memoria, ma dall’essersi concentrato esclusivamente sulla governabilità del momento, aggiustando di volta in volta il proprio pensiero in base all’emergenze del paese, senza mai fermarsi ad approfondire, a mettere a fuoco la propria identità.

 C’è una responsabilità del gruppo dirigente? Senz’altro ! Ma c’è stato anche un susseguirsi di eventi che oggettivamente non hanno consentito la metabolizzazione di un nuovo soggetto, l’amalgama di modalità, procedure e riflessioni di diversa estrazione.

C’era abbastanza consapevolezza che la nascita  del PD, (attraverso l’incontro di 2 grandi storie italiane ,comunista-socialista e cattolica democratica ) e la sua gestione, non sarebbero  stati una passeggiata di salute?

Che piaccia o no,il PD è l’unica vera novità politica del terzo millennio. In tutti i paesi nascono e muoiono Movimenti Politici, Partiti Personali, ma in nessun paese si sono incontrati, formando un partito, la cultura della sinistra storica e la cultura cattolica popolare.

Quindi niente drammi. Non inventatevi nuovi partiti personali, coalizioni, movimenti . Allora prima di cercare un nuovo Segretario, il PD deve cercare se stesso. Mi vengono in mente alcuni esempi e senza alcuna presunzione di aver capito tutto, ma solo come spunti di riflessione

Lavoro : diminuzione delle tasse sul lavoro per aumentare gli stipendi ? Un piano del lavoro per la piena occupazione? Incentivi per ridurre il precariato? Politiche per il rilancio della produttività? Reddito di cittadinanza o reddito legato ad attività di lavori socialmente utili? Riconoscimento adeguato a giovani ricercatori e medici specializzandi prima che emigrino? Sanità, una su tutte: si può mettere un limite temporale da non oltrepassare, per garantire da Bolzano a Trapani, una prestazione di esame diagnostico o visita specialistica da parte del Servizio Sanitario Nazionale ? O le urgenze solo a pagamento ?

Istruzione : la scuola è un occupazionificio o un’istituzione prioritaria la cui funzione viene garantita da personale stabile, preparato e adeguatamente retribuito?

Pensioni :  Riforma Fornero si , Riforma Fornero No?  Si è d’accordo con la filosofia di quota 100, (tutti a prescindere) ,  o si anticipa la pensione per i lavori particolarmente logoranti e per i lavoratori di una certa età che si trovano in aziende in crisi? Si modifica la Fornero per tutti o si differenzia l’impiegato di concetto o il bidello dall’operaio alla catena di montaggio o l’edile?

Sono solo piccoli esempi e se ne potrebbero fare altri, diversi. Potremmo continuare con le riforme istituzionali: Proporzionale, semi-proporzionale o maggioritario? Cosa garantisce di più il combinato disposto rappresentanza-stabilità di governo?

Ci sono certo tanti temi da mettere a fuoco, l’ambiente, la giustizia, la burocrazia.

E ci sono temi già individuati e definiti come la legge contro l’omofobia, o lo jus soli, sono temi importanti che qualificano il livello di civiltà di un paese, ma sono temi che da soli non fanno vincere.

C’è bisogno di un partito come il PD in questo Paese, c’è bisogno del PD, guai se non ci fosse, sarebbe questa sì, un’emergenza democratica.

Le difficoltà si affrontano e si superano e il PD indiscutibilmente ha tante risorse a cui attingere a cominciare dai tanti Sindaci e Governatori regionali.

La destra ha vinto e ha il dovere di governare, il PD ha il dovere di fare una sana e forte opposizione, ma sempre nell’interesse del Paese . E naturalmente buon Congresso al PD.

Fabrizio Tola

]]> Superare il Jobs Act? Perché no? https://www.ildiariodellavoro.it/superare-il-jobs-act-perche-no/ Thu, 08 Sep 2022 15:42:37 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=158078 Come in tutte le leggi ci sono al loro interno, norme che migliorano l’efficienza del Paese e conseguentemente le condizioni delle persone e norme che invece mettono in difficoltà o peggio regrediscono le condizioni in essere. Il Jobs Act è una di queste. Ci sono norme interessanti come quelle sullo Smart Working che prima non esistevano o quelle che riguardano quei rapporti di lavoro “molto particolari”: lavoro intermittente, Job Sharing o lavoro ripartito, Associazione in Partecipazione. Per citarne alcune. Ci sono norme aggiornate, considerando l’esplosione della tecnologia, come quella sul divieto del controllo a distanza del lavoratore, ex art 4 legge 300/1970. Ci sono poi norme odiose. Non richieste da alcuno. Come togliere alcune tutele dall’art.18, sempre della legge 300/1970, già modificato un paio di anni prima dal Ministro Fornero. Che senso ha, togliere la reintegra in caso di annullamento del licenziamento da parte del giudice valida solo per gli assunti dopo il marzo 2015 ? Una tutela poco utilizzata ma che fungeva da disincentivo ai licenziamenti facili. Che senso ha, dire che si privilegia il contratto a tempo indeterminato contemporaneamente alla facilità di licenziamento? Perché di questo stiamo parlando, cioè di un licenziamento illegittimo stabilito dalla magistratura. Perché facile? Perché la legge per renderli facile scavalca i Contratti Nazionali, firmati dalle Parti, che prevedono, ad esempio , le casistiche per il licenziamento disciplinare.

Il Jobs Act va oltre. Infatti specifica che la reintegra c’è se la contestazione non sussiste, ma se sussiste il giudice non deve tener conto della sproporzione tra la contestazione e il provvedimento. Quindi mentre per i Contratti Nazionali, di qualsiasi settore, un ritardo sul lavoro non prevede il licenziamento, per il Jobs Act sì. Perché? Ma soprattutto quando non richiesto da alcuno. Non lo chiese Confindustria né Confcommercio, non era proprio un tema che interessava gli imprenditori che nel 2014, avevano ben altre priorità. Altra norma incomprensibile è la modifica dei criteri di accesso alla Cassa Straordinaria per Crisi Aziendale: devono rientrare circa 2/3 dei lavoratori posti in cassa. Come fa un’azienda in crisi, che avvia un piano di riorganizzazione , che probabilmente rivede le sue strategie, i suoi prodotti, a sapere prima di procedere, quali risultati porterà a casa e quante persone sicuramente rientreranno? Senza contare che gli Ispettori del Ministero si esprimono a valle dell’utilizzo dell’ammortizzatore. Risultato? Le aziende per non rischiare, preferiscono aprire le procedure di licenziamento collettivo. Gli ammortizzatori servono per attenuare gli sviluppi di una crisi, per dare tempo ad aziende ma soprattutto ai lavoratori, di guardarsi intorno di organizzare il proprio futuro. Quella modifica ha snaturato il ruolo dell’ammortizzatore e incentivato, in caso di crisi, le procedure di licenziamenti collettivi.

Volendo mettersi con la penna rossa, a mio avviso, anche l’abolizione dei contratti a progetto non è stata una grande idea. Il contratto a progetto ha un inizio e una fine, è vero che si è utilizzato spesso male, ma almeno vi erano le condizioni, se usato male, di trasformarlo in un contratto a tempo indeterminato. Mentre con i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ci si passa una vita.

La realtà è che dopo il Jobs Act la precarietà non è affatto diminuita. L’occupazione cresce e decresce se c’è il lavoro. L’idea che rendendo più flessibili i rapporti di lavoro e la facilità di licenziamento, si possa creare maggiore sviluppo, ormai non appartiene più, neanche ai cultori de “ laissez-faire” . Ed è questa la filosofia che sotto-intende alcune norme di questa legge. Per tenere in movimento l’economia e quindi lo sviluppo, c’è bisogno di certezze, di stabilità, che non vuol dire sedersi e sentirsi garantiti, ma vuol dire osare, non aver paura di fare un investimento che può significare un figlio che studia all’estero, un auto nuova, la ristrutturazione della propria casa. Insomma, non la paura, ma la certezza di un lavoro. Lavoro dignitosamente retribuito ,che consenta di fare passi avanti e quindi far girare l’economia. Vale anche per gli imprenditori, i quali chiedono e lo so per esperienza, meno tasse sulle retribuzioni dei loro dipendenti, perché consapevoli delle basse retribuzioni, che chiedono meno burocrazia e risposte in tempi certi e ragionevoli, che chiedono tempi sopportabili e civili per la definizione dei contenziosi legali.

Non era la ulteriore modifica dell’art 18, la priorità dell’imprenditore. Lo dimostra il fatto che in quasi tutti i settori, i sindacati propongono per i nuovi assunti e le controparti accettano senza alcuna fatica, il riconoscimento del quadro normativo ante Jobs Act. Sarebbe auspicabile, che qualsiasi governo di qualsiasi colore , a differenza di come è nato il Jobs Act, prima di fare una riforma di qualsiasi materia, ascoltasse le parti sociali, gli operatori del settore. Costruire il consenso se possibile, e dopo, solo dopo, decidere. Non c’è motivo per non superare il Jobs Act. Si può e si deve fare.

Dimenticavo la “coerenza”. Eviterei di richiamare la “coerenza”, di chi ieri ha votato per il Jobs Act e oggi lo vuole cambiare, ci sta. Siamo abituati ad incoerenze ben maggiori, se penso a dirigenti che si sono opposti alla nascita del PD per poi diventarne Segretari o a Giornalisti della sinistra radicale ,passare con la destra o dirigenti di partito e di sindacato appartenenti alla sinistra, passare armi e bagagli con Berlusconi e  Fini. Lasciamo stare la coerenza. Stiamo al merito.

Fabrizio Tola

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I partigiani di ieri e quelli di oggi https://www.ildiariodellavoro.it/i-partigiani-di-ieri-e-quelli-di-oggi/ Tue, 08 Mar 2022 17:13:38 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=149227 Caro Presidente, sono iscritto all’Anpi da tantissimi anni, ma non ho un pedigree partigiano, provengo da una famiglia semplice, una realtà prima contadina poi operaia, i miei genitori si sono sposati il giorno dell’anniversario della marcia su Roma in modo da percepire un premio in denaro, non erano né fascisti né antifascisti. Quando gli uomini furono chiamati in guerra in campagna rimasero solo le donne, e un cugino di mia madre che fu nascosto in soffitta. Egli era il sergente artigliere che a Barletta la settimana dopo l’armistizio, con il suo mortaio, fermò la colonna di panzer tedeschi che chiedeva la resa della città. Era un militare non un partigiano. Quindi pur non avendo una storia partigiana in famiglia ho sempre pensato al valore incommensurabile per il nostro Paese, di aver avuto la Resistenza. Non per il supporto militare che fu certo interessante ma modesto rispetto all’esito della guerra, ma per aver restituito una Dignità ad un Paese che era responsabile di tanti dolori, interni ed internazionali. Dignità, che ci ha consentito di riscattare l’Italia e di sederci al tavolo della pace da combattenti insieme agli alleati. Quindi fu giusto prendere le armi. Come fu giusta l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro i nazifascisti e l’imperialismo giapponese. Come fu giusto, (anzi con ritardo) l’intervento armato nella ex Iugoslavia, per fermare la pulizia etnica che alternativamente riguardava Bosniaci, Kossovari, Serbi, Croati. Oggi l’Ucraina ci chiede aiuto, non possiamo mandare soldati. Ma strumenti per difendere questo sì. Mentre la Diplomazia lavora cosa dovrebbero fare gli Ucraini? Certo che la diplomazia è decisiva, ma per raggiungere un accordo dignitoso devi avere potere contrattuale. E non lo hai se non resisti almeno un poco. Bene hanno fatto i governi democratici, il nostro Governo, a rispondere almeno parzialmente alla disperata richiesta di aiuto dell’Ucraina. Non basterà, lo sappiamo tutti, dobbiamo utilizzare la massima pressione economica anche a costo di fare Noi, qualche sacrificio. Dobbiamo ospitare i profughi, dobbiamo isolare Putin. Quindi oggi non ha senso parlare del ruolo della Nato, se deve allargarsi ad Est oppure no, rimanere così o sciogliersi. O domandarsi se esiste la guerra giusta, oppure parlare di tutti i conflitti del mondo, dall’Afganistan alla Siria, dalla striscia di Gaza al Corno d’Africa. Oggi si sta con gli Ucraini, si aiuta Loro. Le parole sono importanti, fanno male o possono fare del bene, dipende da chi le pronuncia e in quale contesto. Lei è Presidente di un’Associazione che ricorda quando uomini civili, decisero liberamente di prendere le armi e combattere contro un nemico ed invasore, per la libertà e la democrazia. Presero le Armi. Oggi nel 2022, in Europa, durante una pandemia mondiale, una grande potenza governata da 23 anni dalla stessa persona, invade senza motivo, uno stato libero e indipendente. Tutti possono dissentire dall’invio di armi ai civili e soldati Ucraini, tranne uno. Il Presidente Dei Partigiani Italiani.

Fabrizio Tola

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Davvero non abbiamo il salario minimo in questo paese? https://www.ildiariodellavoro.it/davvero-non-abbiamo-il-salario-minimo-in-questo-paese/ Fri, 01 Oct 2021 14:11:06 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=142320 Il Professor Balestrieri, sul Diario del 28 settembre rilancia il tema del salario minimo anche in Italia. Argomento largamente dibattuto in questi tempi, che al momento non ha trovato soluzione.

Argomenti a favore sono: “Lo hanno molti Paesi della Comunità Europea”; “tutelare i lavoratori senza protezioni e sottrarli al sotto-salario”.

Intanto diciamo che in nessun Paese Europeo ci sono ben 2 livelli di contrattazione come in Italia, anche se non tutti esercitano il secondo.

Poi diciamo che i contratti firmati dalle Organizzazioni Datoriali e Sindacali maggiormente rappresentativi, coprono tutto lo spettro dei lavori e delle professioni esistenti, individuando con molta precisione mansioni, inquadramenti, profili professionali e ovviamente relativi emolumenti diretti ed indiretti.

 Di fatto il salario minimo già esiste. Certo andrebbe irrobustito, supportato, ma per far ciò, non credo  serva un nuovo elemento  da inserire  nel panorama retributivo. Basterebbe riconoscere e rafforzare l’erga omnes dei Contratti Nazionali oggi esistenti, appunto quelli sottoscritti dalle Controparti Organizzate e maggiormente rappresentative nel Paese. Non nel quartiere.

Non è la cosa più facile da fare, invece di inventare altre regole? Davvero si pensa che il sotto-salario o il lavoro in nero siano frutto della mancanza del salario minimo?

 Già oggi, un lavoratore che si rivolge alla magistratura per reclamare differenze retributive e contributive, si vede riconosciute le quantità dovute dai contratti di riferimento.

Basterebbe una legge con un solo articolo: art.1 “A tutti i lavoratori, in base alle mansioni e alla categoria merceologica, va riconosciuto quanto previsto dai Contratti Nazionali di riferimento, sottoscritti dalle Organizzazioni Datoriali e Sindacali maggiormente rappresentativi sul  livello Nazionale. Tali contratti sono da riferimento anche per le attività in collaborazione”.

E poi quale è il salario minimo?

Ci sono tanti salari minimi. Quello che è congruo per una categoria può risultare altamente insufficiente per un’altra. Ciò potrebbe costituire un alibi legale, per inchiodare a ribasso la tariffa per tutti. Se al contrario, viene indicato un salario minimo elevato, questo per forza di cose sposterà in alto automaticamente, tutte le retribuzioni, perché il differenziale  economico, tra una professionalità e un’altra, non può essere alterato. Ci sono le risorse per farlo?

Poi certo ci vuole una seconda legge. Una legge che certifichi la Rappresentanza Sindacale. Chi Pesa, e Quanto, su tutto il territorio Nazionale. Semplificherebbe molte cose. Non è difficile, basta volerlo.

Rimane il tema dei temi: i salari in Italia sono bassi e comunque non a livello dei Paesi nostri competitor. La ricchezza non è distribuita come meriterebbe. La produzione, la produttività, i saperi, sono ancora economicamente e socialmente   mortificati.

C’è sicuramente la leva del Cuneo fiscale e delle tasse sul lavoro. Ma c’è anche il tema della svalorizzazione del lavoro e di un sistema che incentiva la rendita e la speculazione.

Ma anche questa è un’altra storia a cui prima o poi (più prima che poi), bisognerà metter mano.

Fabrizio Tola

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Il covid a Pomezia nel 1982 https://www.ildiariodellavoro.it/il-covid-a-pomezia-nel-1982/ Sat, 21 Aug 2021 08:54:05 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=141104 Mi chiedo in questi giorni di forte discussione e polemica sull’obbligo del Green Pass, cosa avrebbe detto e fatto il Consiglio di Fabbrica della Elmer di Pomezia, se il Covid fosse arrivato nel 1982.

Quel consiglio di fabbrica, che 2 giorni dopo il terremoto dell’Irpinia,( io ero stato appena eletto, alla prima esperienza),non solo organizzò la raccolta di generi alimentari non reperibili, coperte, vestiario, ma propose ( propose è un eufemismo), di cedere un giorno di ferie ciascuno, che per 1000 dipendenti valeva 1000 giorni, circa 30 milioni delle vecchie lire a cui si aggiunse altrettanto che chiedemmo all’amministratore delegato che accettò immediatamente. Intanto però prima di decidere come spendere i soldi, la stanza del C. di F. si era già riempita di tutto, riempimmo il camion del trasportatore che lavorava per l’azienda e insieme a lui partì il nostro capo, Bruno Tosti, operaio specializzato di 5 livello, leader indiscusso della Fiom e del Consiglio di Fabbrica. Il nostro camion arrivò prima di quelli dell’esercito, infatti non poté passare e tornò indietro( Tosti non si fidò a lasciarlo a nessuno). Tornammo qualche giorno dopo, quando le strade furono liberate.

 Cosa poteva fare quel Consiglio di Fabbrica davanti al Covid?

Quegli operai del reparto officina come Filippone e Fiorentini della Fiom o Panaccione della Fim o Pacchiarotti della Uilm, che si riunirono d’urgenza appena fu chiaro, che Alfredino Ciampi stava scivolando sempre più giù in quel maledetto pozzo. Discutevano di come realizzare uno strumento sottile, lungo ma resistente ,capace di  passare al lato del bambino e poi con un comando a molla aprire delle alette che lo avrebbero sostenuto e  tirato su. Fu incredibile la capacità e la velocità con cui si mossero, io ero affascinato dalle loro conoscenze tecniche, dalla determinazione con cui coinvolgevano i tecnici e i capi, senza alcuna remora senza alcun timore, sembravano loro i padroni dell’azienda. Ma era troppo tardi.

Cosa avrebbero fatto costoro davanti al Covid ?

Quelli capaci di bloccare gli straordinari facendo 16 sabati di picchetto dalle 6 del mattino per una vertenza aziendale, ma che non sopportavano i colleghi dal certificato medico facile, e che organizzarono le ronde per una Stella  (UNA),a  cinque punte con la sigla B.R. disegnata su un bagno del reparto Collaudo.

Gente tosta,  che non aspettava né si aspettava ,prendevano e partivano. Filippone( Terza Media), una volta mi disse: “ O siamo Avanguardia o siamo inutili, leggiti Gramsci ( Terza Media).

Ecco mi chiedo, cosa avrebbero fatto con il Green Pass?  Certo che lo so.

Avrebbero organizzato davanti all’ingresso un picchetto a turno, qualche delegato avrebbe avuto a che ridire, ma Tosti li avrebbe convinti : “ Se vogliamo essere liberi, l’azienda deve produrre, ricordati l’azienda non è solo del padrone, è anche la nostra e non possiamo permetterci che qualche coglione faccia ammalare tutti mentre noi ci facciamo il culo per stare attenti a non contrarre il virus”.

 Se qualcun altro, avesse cercato di contrastare questa decisione apponendo la necessità di una legge, Tosti avrebbe risposto :” Credi che oggi avresti lo Statuto dei Lavoratori, e potresti stare qui a parlare con i tuoi compagni, retribuito come se fossi al tornio, se non ci fossimo conquistati questi diritti, fabbrica per fabbrica, quando la legge non c’era??”

 Il rag. Flamini , avrebbe detto che non sarebbe stato legale ,ma sotto sotto avrebbe apprezzato, poi si sarebbe rifiutato di esibire il green pass al cancello, perché lui era il capo del personale,quello che oggi chiamano “Human Resorse Chief”, ma senza Green Pass non lo avrebbero fatto passare. Gli ordini di Tosti erano chiari. L’Amministratore Delegato , l’Ingegner Paladini, che era il vero capo in assoluto, colui che portava le commesse e che mandava avanti tutto, invece avrebbe fatto fermare l’autista e avrebbe esibito il Pass, senza alcun cenno o commento.

La voce si sarebbe sparsa in tutto il polo industriale di Pomezia, il giorno dopo , i Consigli di Fabbrica dell’Ansaldo delle acciaierie Moccia, della Feal Sud, della Selenia, avrebbero votato lo stesso dispositivo. Alla Fatme di Roma ( la Fiat de’noantri), avrebbero discusso molto.

La Flm territoriale sarebbe corsa in forza, ma non avrebbero deciso muro contro muro, avrebbero passato  la palla all’assemblea , che avrebbe deciso per il controllo del Green Pass all’ingresso non prima di quel lavoratore che dal fondo della grande sala mensa avrebbe detto :” Siamo stati un anno a passare la faccia davanti a quei monitor ogni volta che entravamo, a farci misurare la temperatura e a farci dire di mettere la mascherina, mo’ qual è il problema?

Fabrizio Tola

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I 35 giorni di sciopero alla Fiat e Berlinguer https://www.ildiariodellavoro.it/i-35-giorni-di-sciopero-alla-fiat-e-berlinguer/ Thu, 10 Dec 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/i-35-giorni-di-sciopero-alla-fiat-e-berlinguer/ La vertenza Fiat, in quei giorni, segnava il discrimine tra l’avanzata dei lavoratori, alla partecipazione della vita lavorativa, al coinvolgimento del sindacato nel definire l’organizzazione del lavoro, o tornare indietro al "zitto e lavora".

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Ho letto con grande interesse l’intervista di Enzo Mattina, (Diario del Lavoro 9-12) sulla famosa vertenza Fiat del 1980. Mattina è un testimone diretto della vicenda e un protagonista delle migliori stagioni dell’esperienza unitaria della FLM. Io invece, più modestamente ero un giovane colletto bianco, appena eletto nel Consiglio di Fabbrica di un’azienda metalmeccanica di Pomezia con circa 1.000 addetti. Tifavo FLM quando ero ancora studente, figuriamoci esserne parte.

La vertenza Fiat, in quei giorni, segnava il discrimine tra l’avanzata dei lavoratori, alla partecipazione della vita lavorativa, al coinvolgimento del sindacato nel definire l’organizzazione del lavoro (ascoltavo affascinato gli operai del Consiglio, con il diploma di terza media, tener testa al Direttore sull’organizzazione del lavoro, proponevano le “isole produttive”, cioè gruppi di lavoratori capaci di svolgere più mansioni sullo stesso prodotto in costruzione), il discrimine appunto, tra andare avanti o tornare indietro “zitto e lavora”.

La realtà, come abbiamo visto era più complessa, ma questo era quello che si percepiva in quel momento, in quella realtà, così lontana da Torino. Torino e Fiat che comunque rappresentavano, nell’immaginario collettivo e non solo nell’immaginario, il cuore pulsante del sindacato. La marcia dei 40 mila chiuse la vicenda, in modo drammatico per il sindacato. Tentarono di spiegare le ragioni Gino Mazzone Fiom Lazio e Adalberto Minucci Direzione PCI in una riunione dei quadri comunisti della Fiom di Roma (a quel tempo c’erano ancora le componenti di partito nella Cgil). Uscimmo da quella riunione sconfortati e qualcuno con le lacrime agli occhi. Il danno non fu solo per i lavoratori che furono sospesi, oltre la metà dei quali non rientrò più, il danno si riverberò in TUTTI i luoghi di lavoro. Ricordo il cambio di atteggiamento del nostro capo del personale: diventò in maniera repentina, aggressivo, arrogante.

Ci tirammo su le maniche per ricostruire il nostro “potere” contrattuale. Credo che la sconfitta dopo quei 35 giorni di sciopero, non fu meritoné della marcia dei 40mila, né di Romiti. E non fu certo Berlinguer a delegittimare il Sindacato, con la sua presenza davanti ai cancelli di Mirafiori. Voglio ricordare che il comizio di Berlinguer avviene a metà dei 35 giorni di sciopero e presidi davanti ai cancelli.

Che i lavoratori si sentissero appoggiati dal Pci è certo, ma Berlinguer non disse una sola parola di incitamento, disse che il Pci non li avrebbe lasciati soli. E cosa doveva dire il capo di un partito che nasce per l’emancipazione di operai e contadini? Soprattutto quando era il sindacato a gestire la mobilitazione. O No?  Perché se non era la FLM a gestire la mobilitazione, allora inutile cercare responsabilità altrove. Non fu opera della sconfitta, neanche la pubblicazione da parte di Fiat, dei nominativi degli esuberi, che certamente indebolì il fronte unitario. Penso che se anche non ci fossero state queste variabili, e il Sindacato fosse riuscito ad imporre la cassa integrazione a rotazione, comunque di lì a poco tempo la Fiat, avrebbe presentato di nuovo il conto degli esuberi.

Credo, se non mi è sfuggito, che un’analisi approfondita da parte sindacale, di quella vertenza, non sia mai stata fatta. Eppure una lettura aggiornata di quella vertenza, farebbe bene a tutti, perché di piccole vertenze Fiat ne sono capitate tante e tante ne capiteranno ancora, spesso con esiti drammatici (vedi Almaviva). Certo ogni vertenza sindacale fa storia a sé, ma inquadrare nella giusta prospettiva, con un’analisi seria, le crisi aziendali che si determinano, e quindi trovare le adeguate soluzioni specifiche, fuori dagli slogans che spesso servono per non sporcarsi le mani, può fare la differenza sia per le condizioni dei lavoratori impattati, sia per il Sindacato che li rappresenta.

Fabrizio Tola

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Il Covid e il lavoro fuori dall’azienda https://www.ildiariodellavoro.it/il-covid-e-il-lavoro-fuori-dallazienda/ Wed, 01 Jul 2020 22:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/il-covid-e-il-lavoro-fuori-dallazienda/ Non c’è dubbio che questa pandemia ha fatto conoscere un tema ai più sconosciuto, lo Smart Working. Siamo passati da un’ignoranza stratosferica ad un uso ed abuso del termine che viene incollato a qualsiasi attività “particolare, strana”. Speriamo di non rovinare uno strumento interessante e moderno che in determinate circostanze può e deve essere usato con successo.

Possiamo comunque dire, che ciò che è accaduto durante il lockdown, è più Telelavoro che SW. Anche se nella scarsa conoscenza generale si è trattato più di un “fai da te”. Telelavoro e SW hanno in comune solo il fatto che la prestazione lavorativa viene svolta da remoto, cioè non nei normali locali aziendali. Per il resto hanno poco in comune. Il Telelavoro è normato da un accordo interconfederale mentre lo SW da una legge. Il Telelavoro è una prestazione effettuata in modo continuativo, da casa. La casa diventa il luogo di lavoro del Telelavorista, tant’è che le aziende quando lo attuano, provvedono ad ispezionare il locale e ad acquisire la documentazione che certifica l’idoneità degli impianti. Nel telelavoro la contrattazione sindacale cerca di garantire al telelavorista, un collegamento continuo con il resto della comunità aziendale (Assemblee, elezioni rappresentanza sindacale, formazione, rientri brevi ma periodici). Non c’è un tempo minimo di durata, ma di solito, al netto della sperimentazione iniziale, non dura meno di un anno, eventualmente prorogabile, alla sola condizione che ci sia condivisione tra le due parti.

Lo Smart Working è un’altra cosa.

Effettuare la prestazione da qualsiasi altro posto: da casa, dalla casa al mare o in montagna, da un’altra sede aziendale, dalla casa di un parente, di un amico, dal parco. In alcune realtà, le sedi devono essere indicate, in altre non è richiesto, purché in tutti i casi, si garantisca la sicurezza propria, dei dati e dei beni aziendali. Lo S.W. viene utilizzato in alcuni giorni precisi già condivisi con il “capo”, possono cambiare su richiesta di entrambe le parti, ma l’ultima parola spetta all’azienda. Di solito sono dai 4 ai 6 giorni al mese. Nello SW la contrattazione sindacale si concentra dalla difesa del buono pasto, all’aumento dei giorni e delle aree professionali abilitate. Entrambi gli strumenti non modificano il rapporto di lavoro subordinato, il rapporto gerarchico, gli aspetti economici, l’orario di lavoro, i diritti sindacali, le ferie e i permessi. Quanto al diritto alla disconnessione, gli accordi sindacali lo prevedono, definendo precisamente l’orario di lavoro, questo non impedisce, come del resto accade nelle sedi aziendali per i livelli apicali e i quadri, di andare oltre l’orario di lavoro, pur sapendo che non viene economicamente riconosciuto. Queste modalità di prestazione, sono rese possibili dalle tecnologie per attività digitali, per attività rese in modalità di comunicazione remota, non tutti potranno farlo, anche se in prospettiva, queste attività  tenderanno a crescere. A chi giova??? A tutti! Alle aziende che riducono gli spazi, i “costi per Mtq”; ai lavoratori, che guadagnano in qualità della vita già solo evitando il “viaggio A/R casa/lavoro”, alla vivibilità generale che vede ridursi il traffico, l’affollamento dei mezzi pubblici in determinate ore. Non vanno sottovalutati i risultati di queste prestazioni che registrano buone performance (probabilmente per dimostrare che non si sta in ferie). Insomma sono strumenti interessanti che per troppo tempo sono stati rallentati per la diffidenza sindacale che teme la sottrazione del contatto, la dispersione e la frantumazione del sentirsi dentro una comunità ma soprattutto per le paure del management che vede sottrarsi teste da coordinare, svuotare uffici di cui si è responsabili. Il covid ha dato un bel colpo a queste preoccupazioni e paure, questi strumenti, senza enfatizzazioni, debbono entrare nell’arena della contrattazione tra le parti, nei contratti nazionali.

Fabrizio Tola

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Al Cnel un convegno per fare il punto sulla “salute” del SSN https://www.ildiariodellavoro.it/al-cnel-un-convegno-per-fare-il-punto-sulla-salute-del-ssn/ Tue, 04 Feb 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/al-cnel-un-convegno-per-fare-il-punto-sulla-salute-del-ssn/ Ieri nel Parlamentino del Cnel, si è svolto il convegno sul Sistema Sanitario Nazionale, organizzato da ” Il Diario del Lavoro”. Hanno partecipato rappresentanti di Aziende, Sindacati, Istituzioni, Aziende Sanitarie e Rappresentanti di Fondi dediti alla Sanità Integrativa, erano presenti pensionati e studenti. Il Ministro Speranza non vi ha potuto partecipare per lo straordinario impegno richiesto dalla situazione. Il dibattito a cominciare dalla relazione del dott. Polillo, ha evidenziato aspetti importanti, come ad esempio:

la differenza di prestazioni tra Nord e Sud del paese;

la rinuncia da parte dei cittadini, a prestazioni diagnostiche per tempi e burocrazia inaccettabili;

modelli organizzativi differenti da regione a regione, che creano sacche di inefficienza e spreco;

scarsa conoscenza e conseguente fallace programmazione del fabbisogno di competenze;

mancanza di momenti e luoghi di confronto tra i vari attori e protagonisti del SSN, per la gestione di un’attività così importante e così complessa; rapporto tra SSN e Welfare aziendale e Sanità Integrativa contrattuale;

rapporto con le Università e ruolo dei laureati e specializzandi anche in relazione all’età media del personale medico e paramedico, nonché alla svalutazione del ruolo.

Tutti hanno però confermato, che nonostante le difficoltà, il SSN rappresenta, così come fu previsto dal legislatore con la legge 833 del 1978, votata quasi all’unanimità, un pilastro fondamentale per la salvaguardia della salute dei cittadini.

Nelle pieghe dei vari interventi che sembravano grosso modo convergere, ho colto però il riproporsi delle solite diatribe che hanno contrassegnato da sempre le scelte del nostro Paese. Il rapporto tra pubblico e privato.

E’ meglio se è pubblico o è meglio se è privato? Gestione collegiale o manageriale? Ci sono sprechi o ci sono poche risorse? Ci sono sacche di inefficienza e troppo burocrazia, o ci sono operatori poco motivati? La Sanità Integrativa ostacola o aiuta la Sanità Pubblica?

Non sono un esperto del settore, ma credo che per queste domande non ci siano risposte nette. Credo ci sia un poco di tutto:

C’è che nel reparto geriatrico se si risparmia sull’assunzione del fisioterapista, si condanna l’anziano ad una difficile riabilitazione e non è vero che si risparmia, perché aumentano i costi del posto letto.

C’è l’operatore che non va a prendere un macchinario mezza ora prima del fine turno perché teme di andare un po’ oltre.

Non c’è dubbio che si devono costituire momenti e luoghi di confronto, con la partecipazione dei rappresentanti di tutte le competenze che fanno riferimento al funzionamento di una struttura sanitaria, al fine di definire gli indirizzi, determinare il perimetro entro il quale collocarsi, ma successivamente serve una gestione manageriale, un’organizzazione aderente agli indirizzi, capace di far funzionare a dovere la macchina, in grado di evitare qualsiasi alibi che dà la colpa “al Sistema” .

Insomma attivare un principio di definizione dei compiti e quindi delle responsabilità. Insomma un cittadino che entra in una struttura sanitaria( che sia un ospedale o una ASL) deve sapersi muovere, deve sapere a chi chiedere e da chi ricevere informazioni e prestazioni!

Non mi convince poi, la tesi secondo cui il welfare aziendale e la sanità integrativa, costituiscono una minaccia per la sanità pubblica.

Di questo posso parlare, grazie al mestiere che faccio. Ho avuto occasione di partecipare ad alcune trattative, aziendali, regionali e nazionali, nelle quali si è trattato di sanità integrativa.

La Sanità integrativa in tutto o in gran parte (dipende dai contratti) è a carico delle aziende. Conviene loro, perché oltre a sostenere un servizio per i dipendenti, è un costo netto senza oneri sociali da quantificare nel costo complessivo di un contratto nazionale o aziendale.

Conviene ai lavoratori, perché una polizza del valore di 300 -400 € o anche di più, all’anno, se tradotto in busta paga significherebbero 10-15 € al mese. Se consideriamo una visita specialistica, più un’analisi del sangue, più il contributo per le lenti, il lavoratore ha già ampiamente guadagnato, per non parlare di interventi odontoiatrici o diagnostica strumentale.

Considerando poi che, se si va in una struttura convenzionata, si può contare sul giorno e l’ora programmata, senza dover aprire il portafoglio e con la certezza che dopo 10 giorni hai l’esito a casa via mail, formato Pdf.

In che modo tutto ciò danneggerebbe la struttura o il servizio pubblico? E’ evidente che questo tipo di welfare interviene su un corollario di prestazioni, più o meno di routine, di diagnostica, di prevenzione.
Per le cose più serie si va in ospedale come è giusto che sia.

Il fatto che migliaia di persone utilizzino questo strumento aziendale fa sì che, da una parte non si ingolfano le strutture pubbliche, dall’altra si produce una consuetudine virtuosa di ceck-up, per uomini e donne, che costituiscono un formidabile strumento di prevenzione, tale da, salvaguardare il benessere della persona e di conseguenza ridurre i costi della spesa sanitaria.

Non sottovaluterei che molti giovani medici e paramedici, lavorano grazie alla sanità integrativa, certo non tutti con contratto di lavoro subordinato, ma lavorano.

Ritengo quindi che, la sanità integrativa debba essere considerata uno strumento complementare alla sanità pubblica, non alternativo e questo sta bene in mente a tutti coloro che ne usufruiscono, semmai dovremmo fare sforzi per estenderla a tutti i contratti .

Infatti nei casi di cessione di ramo di azienda (2112 cpc. Art.47-L. 428) che mi sono capitati, tra le Prime richieste dei lavoratori ceduti, ci sta il piano sanitario in essere, nell’azienda subentrante.

Infine c’è il tema dei giovani laureati in medicina, di come indirizzarli, di come utilizzarli e adesso, anche di come convincerli a non andare all’estero. Eh sì, abbiamo anche questa contraddizione: medici anziani, di numero insufficiente, di giovani laureati disoccupati, di giovani laureati e specializzandi che vanno in altri paesi, meglio pagati e più rispettati.

Anche questo è emerso dal convegno di ieri.

Fabrizio Tola.

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Dove va Confartigianato ? https://www.ildiariodellavoro.it/dove-va-confartigianato/ Wed, 19 Jun 2019 22:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/dove-va-confartigianato/ Si  è svolta a Roma ,il giorno 18 Giugno,l’Assemblea Nazionale di Confartigianato ,presenti i 2 viceministri. La relazione del presidente Giorgio Merletti ha tratteggiato uno scenario, fatto di rivendicazioni,orgoglio,apprezzamenti e preoccupazioni,come del resto siamo abituati ormai da tempo, in altre occasioni simili,quando si cerca di fotografare la realtà del nostro paese.

C’è un grande riconoscimento al Presidente della Repubblica e alla sua capacità di “garantire equilibrio e solidità delle istituzioni” e la difesa del ruolo dei “corpi intermedi” nonché un apprezzamento alla contrattazione sindacale “che ha contribuito a mantenere in piedi il sistema economico e la coesione sociale”.

Segue  un apprezzamento al governo, “ dopo la lunga parentesi dei   governi non eletti”  …..   “ tante cose positive per le nostre imprese sono state avviate come misure inserite nella legge di bilancio..” e.. ”azioni che chiedevamo da anni e che finalmente abbiamo visto entrare nell’agenda di governo”.  Però….

 la crescita non c’è , “quello shock positivo che aspettavamo non è arrivato” ,bisogna correggere la rotta. Dalla relazione si evince che la rotta da correggere riguarda solo  una parte della maggioranza di governo.

Il Presidente pone  la questione delle tasse troppo alte per le imprese, che soffocano la capacità imprenditoriale,”Per chi le tasse le paga,non è più sopportabile quel che avviene nel nostro paese.

Rivendica la necessità di tenere lo spread basso negando però, che tale parametro si alzi per  notizie di stampa o per dichiarazioni politiche.

Sul reddito di cittadinanza :   ” dare lavoro e dignità,non concedere reddito“, “quanto reddito da lavoro si potrebbe creare con i 5,6 miliardi impegnati per il reddito di cittadinanza

Chiede di invertire il rapporto tra spesa per investimenti e crescita e spesa corrente per assistenza.

Richiama  l’idea di un’Europa bene comune prezioso.

Il Presidente conclude, auspicando che il Paese, punti tutto su investimenti per lo sviluppo,sull’innovazione, infrastrutture e ammodernamento della macchina statale, avvertendo che” le 3 rivoluzioni in corso – digitale, globale e demografica non sono tsunami ma onde da cavalcare”.

E allora?

Intanto rimane incomprensibile parlare dei precedenti “governi non eletti”, a fronte di quello attuale!! Qualcuno conosceva il Premier Conte, o ne aveva sentito parlare durante la campagna elettorale del 2018?? Lega e M5s non erano  alternative in campagna elettorale???

Quello che sorprende, sono le tante cose non dette sugli stessi argomenti affrontati.

Il Presidente della Confartigianato,nella sua dettagliata e puntigliosa relazione ,non ha nulla da dire sulla superficialità con cui Ministri e personale di Governo,esternano a più non posso spaventando i mercati.

Tace sul fatto che lo Spread dalla nascita di questo governo ad oggi è quasi raddoppiato (da 157 a 290,con punta a 326).

 Tace su quota 100 per tutti, misura che,secondo la logica esposta, drena risorse,risorse non certo per lo sviluppo.

“  L’affermazione in Europa e in Italia di forze che spingono per una trasformazione radicale dell’Unione può essere occasione per fare un passo avanti verso istituzioni,finalmente legate concretamente ai popoli”. Eppure sembrava che questi  nuove“  forze”, tendessero più al nazionalismo/sovranismo che all’Europa,più all’uscita dall’euro che a starci dentro).

Il Presidente tace sui Minibot . Nulla da dire su questo argomento!  Proposta fatta per le imprese,proposta del partito del Ministro Salvini, che all’Assemblea Nazionale dichiara : “sono uno di voi”.

Ti aspetti, da chi giustamente denuncia enorme pressione fiscale e la difesa dell’artigiano che paga le tasse,una condanna senza appello per i condoni che oggi chiamano “pace fiscale”.  Silenzio.

Si può tenere insieme la flat-tax, la diminuzione  del  debito, quota 100, salario di cittadinanza, minibot, diminuzione delle tasse , condono fiscale , spread basso, investimenti ,sviluppo,esternazioni continue,etc.??

 Non credo!

La difesa strenua degli interessi della propria Organizzazione,passa sempre attraverso una certa dose di coerenza.

Posizionare su un partito, la propria organizzazione,è legittimo anche se non auspicabile,ma di solito si raccolgono più danni che benefici. Vale per tutti.

Fabrizio Tola

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Quota 100, un pugno in faccia ai nostri giovani https://www.ildiariodellavoro.it/quota-100-un-pugno-in-faccia-ai-nostri-giovani/ Tue, 23 Apr 2019 22:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/quota-100-un-pugno-in-faccia-ai-nostri-giovani/ Avessero deliberato Quota 100, per i lavoratori costretti  a lasciare il lavoro, sarebbe stato non solo utile,ma doveroso.

 Pensiamo a quei lavoratori impattati dalla crisi della propria azienda,che apre procedure di licenziamenti collettivi , o a quel lavoratore che ha un’invalidità elevata ma non sufficiente per la pensione, oppure ad alcune tipologie non ancora “normate”,di lavoro gravoso, usurante.

Avessero dedicato questa misura a condizioni oggettive,mirate ,avrebbero fatto un opera di aggiustamento della Legge Fornero, con un costo sopportabile e spiegabile. Non è andata così.

Al netto dei lavoratori “costretti”, chi utilizza quota 100?

(Intanto possiamo dire che i 62enni di oggi,con molta probabilità,hanno almeno un secondo figlio/a ,che ancora o studia o non ha un lavoro stabile e vive con i genitori.)

 

1)      La possono utilizzare quei lavoratori che stanno già economicamente bene, che pur riducendo significativamente lo stipendio,si possono permettere una vita abbastanza agiata, non temono il futuro né per loro, né per i loro figli.

 

2)      La possono utilizzare quei lavoratori che già con lo stipendio fanno fatica, e con la pensione se la vedrebbero davvero brutta, ma che avendo una professionalità da spendere,  possono aggiungere alla pensione, un incremento derivante da lavoro nero,la cui somma sarebbe superiore allo stipendio precedente.

Riassumendo, si impegnano ingenti risorse economiche per dare la pensione ,prima del dovuto, a lavoratori “benestanti”, oppure, ad incentivare il lavoro “nero” ( in questo caso  il “nero” è conveniente sia per il datore che per il prestatore, una professionalità esperta a basso costo ,con la certezza che entrambi non denunceranno).

Si sostiene che quota 100 è una misura pro-occupazione,pro-giovani.

Davvero è così?   Intanto non c’è alcun automatismo. In una fase di stagnazione può succedere che il lavoro di uno, si ridistribuisce ai restanti.

La priorità del nostro paese,non è modificare il mix generazionale, anche se è un tema di cui tener conto, la priorità, è allargare la base produttiva. Oggi  per ogni 1000 posti di lavoro,abbiamo 1110  persone che devono lavorare. Se aggiugiamo i giovani che hanno smesso di studiare ma non risultano tra i disoccupati,il fabbisogno diventa di 1300. Mentre difendiamo i 1000 posti di lavoro,se ne devono cercare altri 300.

Abbiamo bisogno di occupazione aggiuntiva, non sostitutiva.

Si continua a perpetrare l’idea, che l’occupazione si crea facilitando l’assunzione. Per certi versi, era il tratto distintivo anche del Jobs Act : incentivi all’assunzione, economici e normativi( No art.18), incentivi che certo si utilizzano, ma sono di corto respiro come abbiamo visto.

E’ vero che per l’imprenditore è meglio assumere un giovane che costa poco e di cui è più facile eventualmente privarsi, ma per l’imprenditore come per il Paese, prima di tutto,serve il lavoro.

Quota 100 e Jobs Act facilitano le assunzioni, ma se la torta è sempre la stessa o addirittura si contrae, non è un gran vantaggio ; persiste la cultura che ad una certa età sei anziano, e si finanzia l’anziano, affinché mantenga il figlio a casa.

Ecco perché mobilitare risorse economiche, per pagare pensioni a persone che potevano tranquillamente lavorare (e pagarle almeno per i prossimi 20-25 anni visto l’aspettativa di vita in crescita), è un pugno in faccia ai nostri giovani.

Il fatto che questa misura sia popolare, non significa che fa bene al “popolo”.  La riforma Dini, che toglieva la possibilità di andare in pensione dopo 15 anni 6 mesi e un giorno, non era popolare tra i pubblici dipendenti, ma andava fatta. Così come non erano scelte popolari, passare da 35 a 40 anni la pensione di anzianità, o passare dal retributivo al contributivo. Sono scelte impopolari ma necessarie per il “popolo”.Se non fossero state fatte ,il sistema sarebbe saltato. I sindacati confederali lo spiegarono in migliaia di assemblee. Non fu facile, ma la maggioranza dei lavoratori capì la posta in gioco e approvò la riforma.

Caricare il sistema pensionistico, che continua a marcare un saldo negativo tra pensioni erogate e contributi versati, in un paese cui l’età media si alza sempre più, per effetto del benessere e di poche nascite,significa caricare di debiti enormi, il futuro.

I debiti se dobbiamo farli, vanno fatti per trovare lavoro, per portare lavoro, per costruire conoscenze, professionalità, investire su innovazione, tecnologie, infrastrutture.

Bisogna trovare quei 300 posti di lavoro.

Fabrizio Tola

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A proposito del salario minimo https://www.ildiariodellavoro.it/a-proposito-del-salario-minimo/ Tue, 19 Mar 2019 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/a-proposito-del-salario-minimo/ Il tema del salario minimo fissato per legge, ha sicuramente un suo fascino e risponde a parametri di un paese avanzato, civile. Chi non vuole un salario sotto il quale non si può e non si deve andare? Ma è sul come ci si arriva che mi sembra si stiano confrontando idee diverse, tutte legittime e degne di interesse, spero sganciate da una logica propagandistica e di parte.

Intanto possiamo dire che in questo tanto vituperato paese non siamo all’anno zero?

E vediamo cosa ci si propone affrontando questo tema:

1)Fissare una quota minima oraria sotto la quale non si può andare per fermare la corsa al ribasso e dare dignità alle persone?

2)Questa quota minima deve essere rapportata alla tipologia della prestazione o deve essere uguale per tutti?

3)Si può fissare per legge la quota minima senza tener conto della riparametrazione dei profili professionali?

Insomma quale è l’obbiettivo?

Dare un valore dignitoso per ora lavorata e quindi al lavoro, perché oggi siamo in presenza di fenomeni di dumping retributivo inaccettabile, o contribuire ad alzare il valore delle retribuzioni?

Avremmo bisogno di perseguire entrambi gli obbiettivi ma le leve da attivare, sono diverse.

Bisogna dire, che un salario minimo nei fatti, fino a qualche anno fa, era determinato dai contratti collettivi, stipulati dalle centrali sindacali e datoriali, maggiormente rappresentative.

Poi, anziché fare una legge sulla rappresentanza sindacale con l’introduzione dell’efficacia erga-omnes dei contratti nazionali, si è data la possibilità a sindacati e associazioni datoriali inventati sulla carta, senza alcun riscontro rappresentativo, di firmare contratti e renderli efficaci attraverso il semplice invio al Cnel. Ciò ha determinato una corsa al peggioramento economico e normativo. Non dimentichiamo che anche la parte normativa si riverbera sul costo orario.

Quindi, per rispondere alla prima domanda, basterebbe far riferimento al salario minimo individuato dalle Organizzazioni Sindacali e Datoriali maggiormente rappresentative.

Una quota minima per tutti i mestieri non è realistica!

Se si vuol dare valore al lavoro, non lo si può livellare: l’apprendista infermiere esprime un valore maggiore dell’apprendista al centralino. Del resto imporre la quota minima uguale per tutti, potrebbe creare una crescita salariale per alcuni, ma un riferimento al valore più basso, per altri. C’è il rischio che una quota minima generalizzata per legge, venga utilizzata per pagare certe prestazioni, meno di quanto previsto dai contratti, con tanto di autorizzazione legale.

Una quota minima non la si può fissare, senza tener conto della riparametrazione per livelli professionali.

Insomma, se non si vuol tener conto dei minimi contrattuali, le possibilità sono due: o la quota individuata è più BASSA (il che sarebbe ridicolo e contro le intenzioni almeno dichiarate dei sostenitori), o la quota è più ALTA.

 In tal ultimo caso se si alza il valore minimo, non può rimanere fermo il valore degli altri parametri, ci troveremo quindi in un aumento generalizzato complessivo, di cui saremo tutti contenti ma temo non funzioni.

Non c’è dubbio che i salari netti in Italia, sono tra i più bassi ‘Europa.

Così, come è palese che c’è un tema che riguarda una distribuzione più equa della ricchezza che ha determinato una distanza stratosferica, tra pochi sempre più ricchi e molti, sempre più poveri. Ma l’aumento percentuale del valore minimo va applicato a tutti i livelli riparametrati.

Se la scala parametrale tra l’ultimo e il primo livello, sta dentro un rapporto 100/200 (più o meno, varia da contratto a contratto), se 100 lo si porta a 110, 200, deve diventare 220. È un dato oggettivo.

E chi paga un aumento generalizzato su tutti i lavoratori e su tutte le categorie? A meno che non si voglia sostenere che l’aumento va solo ai profili più bassi.

La realtà è che, per i lavoratori inquadrati nei contratti nazionali maggiormente utilizzati, le differenze tra i livelli professionali, non sono elevate. Qualsiasi movimento parziale, rischia di sovrapporsi o avvicinarsi oltremodo, al livello superiore. Questo non è sopportabile per l’intero sistema.

Il fatto che il salario minimo esista negli altri paesi, di per sé non è un punto di forza, dimostra solo che è un sistema diverso.

Riterrei utile ed indispensabile:

1)      Legge sulla rappresentanza sindacale

2)      Estensione erga-omnes dei ccln stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali maggiormente rappresentative.

In questo modo:

1)si risolve il problema di un salario minimo dignitoso;

2)si fa una legge sulla rappresentanza comunque necessaria, evitando una frantumazione e una balcanizzazione sindacale portatrice di conflittualità latenti e dichiarate;

3)si evita il dumping sociale tra valori orari, definendo di fatto il valore minimo, agganciato a tutta la struttura delle retribuzioni dei vari settori.

Tutto questo non risolve il problema dei bassi salari. Per aumentare i salari si deve intervenire sulla riduzione delle tasse sul lavoro e su l’aumento della produttività.

Ma questa è un’altra storia.

Fabrizio Tola

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