“Come ha potuto la commissione europea accettare di inchinarsi così davanti alle case farmaceutiche? Sono loro che decidono. Tutte le informazioni più importanti come prezzo, programma di consegna e anche i dettagli delle clausole di responsabilità, sono segrete. Un pasticcio di ritardi e nessun programma rispettato. Senza alcuna sanzione. Sui brevetti, stesso scandalo. Questi vaccini sono stati resi possibili da miliardi di euro di denaro pubblico. Ma i brevetti rimangono proprietà esclusiva di Big Pharma. Di conseguenza, gli Stati non possono produrre su larga scala le dosi di cui il mondo ha così tanto bisogno. E infine la ciliegina sulla torta: i profitti. Quindici miliardi di fatturato, con un margine di guadagno dal 20 al 25 per cento, già registrati da Pfizer, felicissimo del suo blockbuster. Sanofi non ha trovato alcun vaccino ma ha trovato 400 posti di ricerca da tagliare e 4 miliardi di euro da distribuire in dividendi. I laboratori tirano fuori lo champagne”.
“Che confessione di impotenza! Non spetta a noi, in questo luogo, stabilire la legge? Siamo in grado di imporre ai nostri concittadini restrizioni senza precedenti delle nostre libertà ma non siamo capaci di stabilire regole per Big Pharma. Chiediamo una commissione d’inchiesta sulle responsabilità per questo disastro. Abbiamo diritto di sapere. Perché, dopo tutto, questi vaccini sono stati prodotti con i nostri soldi e l’equazione dovrebbe essere semplice: denaro pubblico, appalti pubblici, brevetti di dominio pubblico. Per decenni abbiamo lasciato tutto, compresa la nostra salute, nelle mani del settore privato. Ed eccoci qui in un vicolo cieco. Proponiamo un percorso inverso per porre fine all’onnipotenza dei laboratori. È ora di abbandonare i brevetti e assicurarsi che non si tragga alcun profitto dalla pandemia. Questo è l’unico modo per poter vaccinare rapidamente l’intero pianeta. I paesi ricchi e quelli poveri. Per rassicurare i cittadini che dubitano, facendoci uscire dalle grinfie delle multinazionali. Per sperare di rivivere dopo un anno di lutti, preoccupazioni, isolamento, precarietà. Non possiamo arrenderci alle case farmaceutiche, la popolazione non può più sopportarlo. Riprendiamo il controllo, togliamo la salute dal mercato. I vaccini vanno considerati bene comuni dell’umanità, non il bancomat degli azionisti”.
Ecco. Questo è il testo integrale del j’accuse pronunciato da Manon Aubry, europarlamentare francese, sinistra alternativa, nell’aula della commissione di Bruxelles. Quattro minuti e una manciata di secondi. “Non ci andrò alla leggera, signora Von Der Leyen” aveva esordito rivolgendosi direttamente alla presidente, immobile come una statua. Era il 10 febbraio. Non ebbe alcuna risposta adeguata e soddisfacente. L’ottimismo profuso a quattro mani dall’ Unione e dai vari governi per pompare la campagna vaccinale non ammetteva critiche.
Le parole della rappresentante di France Insoumise sembravano destinate a cadere nel vuoto. Relegate a espressione di un marginale populismo di stampo marxista. Poi è arrivato il caso AstraZeneca e ci si è resi conto che la sfrenata corsa al vaccino, e la contesa senza esclusioni di colpi per chi vince il titolo di campione di incassi, può avere effetti nefasti. E così il breve video sta diventando virale.
Cresce la consapevolezza che tutela della salute pubblica e logica del profitto collidono spesso e volentieri. Nulla esclude che le grandi aziende, in specie le multinazionali americane, dietro un’apparente concorrenza selvaggia, abbiano un accordo di cartello per spartirsi il mercato, come facevano le sette sorelle del petrolio.
Qualcuno ha perfino ipnotizzato che AstraZeneca, fuori da questa intesa, sia stata abilmente danneggiata, in quanto applica prezzi inferiori (meno di 3 euro a dose contro i 15-16 della Pfizer), diffondendo fin da subito notizie allarmanti sull’ efficacia dei suoi prodotti. L’azienda inglese, che ha sviluppato il progetto in una sinergia tra l’università di Oxford e l’Irbm di Pomezia, sconta anche le scorie della Brexit.
Come ha ben scritto la rivista Left, è in azione la “diplomazia dei vaccini” e siamo in presenza di un rivolgimento della stessa geopolitica, con la nascita di nuove alleanze, come quelle tra Danimarca, Austria e Israele. L’Unione Europea vacilla. La Russia sembra più impegnata nell’esportazione del suo Sputnik, già in uso a San Marino, che nella profilassi interna. Un modo per esibire la propria potenza. E la Cina, sempre lei, sta cercando di estendere il già ramificato dominio sull’Africa con una propria campagna vaccinale a base di Sinopharm.
Gli Stati Uniti (di gran lunga i più provvisti avendo in casa Pfizer, Moderna, Johnson&Johnson) hanno detto chiaramente di voler pensare prima a se stessi. America first. In questo, Joe Biden non si differenzia da Donald Trump. La clamorosa rottura con Vladimir Putin, tacciato di essere un killer, è di tutt’altro genere, riguardando le accuse di ingerenza nelle elezioni presidenziali, ma rientra in questo caos generale. La pandemia, invece di generare concordia, sta facendo ballare il mondo sull’orlo del precipizio.
Egoismi nazionali, errori e omissioni sovranazionali, interessi più o meno inconfessabili, guerre commerciali, scontri di potere, appaiono fatti apposta per alimentare l’inquietante e pericoloso universo del complottismo e del negazionismo. Big Pharma, cioè la potenza dittatoriale dei principali marchi, è un’espressione coniata proprio per dare un connotato tutto negativo, persino diabolico, a questa entità dedita essenzialmente al lucro.
Da qui a sostenere che alcuni morbi sono creati ad arte per poi vendere le cure necessarie, il passo e breve. La vicenda dell’Aids può essere definita la madre di tutte queste distorsioni interpretative. Con effetti gravissimi persino nella contestazione alle cure contro il cancro. Linfa irrazionale ma costante per la paranoia dei no vax, che ha raggiunto picchi stratosferici con il mistero del coronavirus. I ritardi nel comunicare l’inizio della pandemia e la mancanza di trasparenza sulla sua origine hanno innaffiato a dismisura sospetti e accuse. Che cosa è accaduto a Wuhan? I colpevoli sono davvero topi e pipistrelli?
Si esce dal campo degli scienziati e si entra in quello dei giallisti. Il destino di AstraZeneca è stato affidato alle autopsie. Un macabro metodo per dimostrare che non esiste legame tra la somministrazione e i decessi improvvisi. Giudici, poliziotti e coroner al capezzale della fiducia pubblica. Ora l’Ema, l’agenzia europea dei medicinali, ha stabilito di riammettere il contestato siero nell’elenco dei buoni. “È efficace e i benefici sono superiori ai rischi”. Verrà comunque modificato il foglietto illustrativo per chiarire gli effetti collaterali. Ma il danno di immagine, sempre che solo di questo si tratti, è difficile da superare. La diffidenza regna sovrana.
Barbara Spinelli, sul Fatto Quotidiano, ha spiegato che la decisione del precauzionale stop deciso da Angela Merkel si basava su un serio rapporto scientifico del prestigioso Istituto Paul Ehrlich. Lo studio “smonta la vulgata secondo cui i deceduti sarebbero morti anche qualora non si fossero vaccinati” ed evidenzia che il numero di casi letali di cui si sta occupando è “statisticamente superiore, in maniera significativa, al numero di trombosi cerebrali che si manifestano abitualmente nella popolazione”. Sul quotidiano Domani, il medico e giornalista Andrea Casadio rimarca invece che “se col vaccino una persona ogni due milioni rischia la trombosi, col Covid muoiono due persone ogni cento”.
Comunque sia, è inaccettabile che chi soffre di particolari patologie o le donne che assumono la pillola anticoncezionale siano alla fine costrette a scegliere da sole quale rischio correre, se quello di coaguli assassini o quello di finire contagiati. Servirebbe un maggior coinvolgimento dei medici di base, ai quali non andrebbe riconosciuto un ruolo meramente inoculatorio, e degli specialisti, nell’indicazione del farmaco più adatto. Alla riffa dei vaccini, sotto a chi tocca, la fretta, pur di fronte all’emergenza pandemica, è sempre cattiva consigliera. Il principio precauzionale non può essere mai eluso. Nel raggiungimento dell’immunità di gregge andrebbe tutelata la vita di ogni pecora.
Poi c’è il dramma dei Paesi Poveri. Non si tratta solo di umanità. A pesare, è la consapevolezza che se non vengono vaccinati tutti gli abitanti del pianeta, prima o poi il virus potrebbe tornare indietro, magari rafforzato e mutato. Una catena senza fine. Il progetto Covax, animato da organismi internazionali come l’Oms e l’Unicef, sta cercando di distribuire le fiale là dove non era previsto che arrivassero. Uno sforzo immane, eppure non sufficiente. Le nazioni ricche, che rappresentano solo il 14 per cento della popolazione mondiale, si sono assicurate la stragrande maggioranza dei lotti. “Immorale, ma anche miope e inefficace, la spartizione fra dieci commensali internazionali del 75 per cento delle dosi disponibili per tutta l’umanità”, ha denunciato l’Osservatore Romano.
Nel tentativo di scalare la montagna dei ritardi e delle inadempienze, India e Sudafrica hanno chiesto che il Wto, l’unico competente in materia, stabilisca una moratoria temporanea dei brevetti, riferiti ai soli vaccini, in modo da poter avviare su larga scala la produzione. Più di cento paesi e centinaia di organizzazioni civili si sono espresse in tal senso. Da noi, appelli con firme che vanno da Silvio Garattini a don Luigi Ciotti, hanno cercato di convincere il governo ad appoggiare queste posizioni. Ma nella riunione dell’11 marzo i più importanti stati membri dell’Organizzazione mondiale del commercio, Italia compresa, hanno detto no. La motivazione è che tanto non esiste una capacità produttiva sufficiente e adeguata, con il timore di una corsa incontrollata a fabbricare e distribuire sieri senza alcuna garanzia.
In verità, si è voluto riaffermare il principio che solo l’iniziativa privata può spingere in avanti l’innovazione e la ricerca. Toccarla, questo il retropensiero, potrebbe essere un primo passo per quella collettivizzazione dei beni primari, farmaci compresi, che viene vista come fumo agli occhi dalla trionfante visione capitalistico-liberista. Qui si colloca la valenza dell’atto d’accusa lanciato da Manon Aubry.
Ricordiamoci, lo rimarcano Nicoletta Dentico e Eduardo Missoni in un interessante saggio, che Jonas Salk, prima, e Albert Sabin, dopo, non brevettarono le loro scoperte per sconfiggere la polio. Appartengono alla gente, dissero. Era un regalo a tutti i bambini del mondo.
Marco Cianca