Più che un intervento nel senso stretto del termine, quella del segretario generale della Fillea Cgil, Alessandro Genovesi, all’assemblea nazionale sulla contrattazione organizzata dalla Cgil e in corso a Bologna, è stata un’arringa a tutti gli effetti. Una voce stentorea, la sua, che si è unita al coro di rabbia e determinazione per centrare l’obiettivo di cambiare il corso del Paese e imboccare, una volta per tutte, la tanto invocata Via Maestra. Non più solo a parole, ma con fatti e concretezza.
Innanzitutto guardando in faccia la realtà: richiamando l’intervento del segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio, sulla tragedia di Brandizzo e, ancor di più, la definizione “non solo politica, ma tecnica” impiegata dalla segretaria confederale nazionale, Francesca re David, che ha parlato dei morti di Brandizzo come “rischio calcolato del business plan” dell’azienda presso cui erano impiegate le vittime, Genovesi aggiunge il fatto che dal 2018 ogni cinquantasette giorni vi è un un infortunio grave nelle manutenzioni ferroviarie e ogni centoquindici giorni muore un edile. Dietro a questi dati, aggiunge il segretario della Fillea, c’è “chi costruisce il proprio sistema consapevole di una dinamica di sfruttamento insita nella riduzione dei tempi, in un modello di business, nel tenere insieme più manutenzione su una rete vecchia e più traffico tra treni a tir”. E davanti a questa verità c’è una sola reazione: “So che è una categoria antica, ma io provo ancora odio di classe”, perché “inconsapevolmente fate della vita umana una variabile economica”, ed è ora di dire basta, soprattutto dal momento in cui il Paese è già avviato a innovare e manutenere la propria rete infrastrutturale e “non può al contempo teorizzare che su quella stessa rete possa passare più roba. Perché è come dire che ho un telaio vecchio su cui devo fare manutenzioni, ma intanto quel telaio deve produrre ogni anno il 20-30% in più. Prima o poi il morto c’è”.
Non senza ironia quando dice di parlare “come se fosse una seduta dallo psicologo”, Genovesi manifesta poi tutta la sua insofferenza nei confronti del governo che continua a negare il nesso tra la salute, la sicurezza, la qualità del lavoro e la liberalizzazione dei subappalti. “In questi casi il silenzio è d’oro, ammonisce il segretario, spiegando a chiare lettere che “la dinamica della scarnificazione d’impresa, dell’appalto e del subappalto, è la competizione. Ci sono settori dove c’è la specializzazione produttiva e il valore aggiunto, ma ci sono settori, quelli più labour intensive, dove alla fine si risparmia solo sul costo del lavoro e sulla sicurezza”.
Quanto alla funzione salariale dei contratti collettivi nazionali, richiamando ancora una volta l’intervento di Re David, Genovesi si sofferma sugli effetti di un’inflazione sempre più “fuori controllo”, che se inizialmente era generata da un eccesso di domanda rispetto all’offerta nella fase post pandemica, e successivamente diventata un’inflazione da beni energetici importati, assume oggi sempre di più l’aspetto di un’inflazione da prezzi e speculazione, poiché quando i costi di produzione sono scesi, i prezzi al consumo sono rimasti invariati. “Questa è un’inflazione in gran parte da profitti e questo chiama sì direttamente in causa il governo: non solo per la questione di tassare o no, ma proprio perché la funzione calmieratrice della tassazione sui profitti è lo strumento per andare a colpire chi fa profitti da speculazione”.
Da questo punto di vista, spiega Genovesi, “la funzione salariale oggi assume una funzione quanto mai decisiva. E il salario è anche l’elemento fondamentale per l’innovazione. Finché il costo del lavoro rimane basso, le imprese non saranno mai spinte a investire in tecnologia, in nuovi macchinari, in nuove organizzazioni del lavoro, in formazione”. Tradotto: “un aumento della produttività basato sulla crescita del valore aggiunto per ora di lavoro. Eppure mai come oggi di fronte alla sfida digitale, del cambio del modello produttivo per essere più sostenibili, per collocarci come Italia nella parte alta della nuova divisione internazionale del lavoro, servono investimenti, pubblici di certo, ma anche e soprattutto privati”.
In questo senso, Genovesi chiama in causa, “e forse dovremmo farlo più spesso”, il ruolo dell’impresa. Citando Sergio Garavini, “alti salari rendono il lavoro più prezioso e quindi obbligano il datore di lavoro a impiegarlo al meglio” e, ancora, gli alti salari, rifacendosi a Sylos Labini, “sono il vero antidoto alla vocazione di impiegare gli utili di impresa nella rendita, e invece ti spingono a dover migliorare con tecnologia il saggio di profitto”. Genovesi, quindi, sottolinea con forza la funzione salariale dei contratti nazionali di lavoro, in cui anche l’aggiornamento professionale è salario – “perché riconoscere una professionalità in più è riconoscere un livello”-, così come la riduzione dell’orario – “anche quella è salario perché a parità di entrate è il salario orario che aumenta”. Inoltre, la funzione salariale del contratto diventa anche “uno strumento di politica industriale, per qualificare i settori e proporre una via alternativa allo sfruttamento delle persone. Un modello diverso e alternativo da chi segue la via bassa e ha sostituito la svalutazione della lira, non possibile con l’euro, con la svalutazione del lavoro, di cui poi la precarietà, l’appalto e il sub appalto, sono una traduzione organizzativa di un modello di business”. Ecco perché “questione salariale, precarietà e riorganizzazione degli orari sono tutte facce di una stessa medaglia, perché indicano un modello di sviluppo e creazione di valore aggiunto alternative”.
Ed è anche per questo, riferendosi in particolare all’artigianato e alle pmi, che il segretario generale della Fillea invoca l’adozione di una legge sulla rappresentanza con l’obiettivo della misurazione: “È arrivato il momento di avere dei riferimenti, dei contratti leader che sono quelli che danno di più e in quel settore e in quel comparto di sotto non si va”. Non negando la difficoltà del percorso da affrontare, Genovesi riporta l’esperienza del settore edile, in cui dal 2018 “i contratti Confindustria, cooperative, Confapi e artigiani, hanno lo stesso salario, lo stesso costo contrattuale e gli stessi accantonamenti. Quindi tra di loro il dumping non se lo fanno più ed è solo il modello di azienda, la dimensione, che fa la scelta contrattuale. Quando io dico: non trattiamo i datoriali come se fossero tutti uguali intendo questo”.
Al termine del suo intervento, Genovesi si rivolge direttamente ai suoi colleghi di sindacato: “Da qui non deve arrivare un messaggio solo alle controparti, ma deve uscire anche un messaggio di solidarietà che diventi pratica diffusa tra di noi. Un messaggio per cui nessun lavoratore si deve sentire solo nella sua azienda e nel suo settore. Ricordava Fabrizio Russo che se in un settore i lavoratori e il sindacato sono più deboli non è un problema di quei lavoratori, di quel delegato o di quel segretario, ma è un problema di tutti e tutte noi. Cari compagni – conclude Genovesi -, la solidarietà non è commentare cosa fa l’altro, ma dargli una mano, coordinarci e fare in modo di essere domani tutti insieme più forti”.
Elettra Raffaela Melucci