Lo sappiamo che siamo in campagna elettorale, che tra due mesi ci saranno le elezioni amministrative e tra un anno quelle politiche. Lo sappiamo che proprio per questa ragione i partiti hanno bisogno di marcare il territorio, di dimostrare agli elettori la loro faccia più appetibile, di distinguersi dal proprio condomino, nonostante governino insieme al condomino. Sappiamo anche che in periodi come questo la demagogia rischia di prendere il sopravvento sul realismo politico, il populismo sulla serietà, l’interesse particolare su quello generale. Non scopriamo oggi quanta strumentalità esista nel mondo politico, quanto i partiti – tutti i partiti – facciano spesso le loro mosse non tanto per convinzione bensì per interesse contingente. Non siamo nati ieri, purtroppo, siamo adulti e vaccinati.
Quindi siamo perfettamente in grado di distinguere il grano dal loglio, ossia la pianta buona da quella cattiva, insomma il bene dal male. Nel caso in questione, la politica trasparente da quella opaca, il detto dal non detto, la scena dal retroscena, l’onestà dall’ambiguità. In particolare stiamo parlando delle ultime mosse di Giuseppe Conte, appena rieletto leader dei Cinquestelle, che ha sollevato con una certa energia la questione dell’aumento delle spese militari. Rischiando di aprire una crisi di governo in tempo di guerra e di rompere irreparabilmente i rapporti con quello che sarà (o dovrebbe essere) il suo alleato del futuro, il Partito democratico di Enrico Letta.
Ora, la crisi non ci sarà, il compromesso è stato trovato, l’aumento della spesa militare verrà spalmato da qui al 2028, tutti hanno fatto mezzo passo indietro per poterne fare domani uno in avanti (parafrasi di un concetto di Lenin). Tuttavia la questione, depurata dalla strumentalità politica, resta sul piatto della discussione pubblica. E si può sintetizzare con una semplice domanda: è giusto o sbagliato investire miliardi nel riarmo?
Lasciamo perdere la guerra in Ucraina, che non c’entra nulla visto che le armi all’esercito e alle milizie che combattono contro i russi le abbiamo già inviate, e visto anche che l’impegno preso con La Nato risale al 2014. Lasciamo perdere pure il problema – nient’affatto secondario però – della crisi economica ed energetica che ci sta colpendo e che quindi ci impoverisce e che dovrebbe obbligarci a usare le poche risorse disponibili per beni di prima necessità, come sanità, scuola, welfare. Facciamo finta che tutto vada bene, che i soldi ci siano e che potremmo utilizzarli come vogliamo, anche per aumentare e modernizzare il nostro sistema di difesa, come si dice con un eufemismo. E non curiamoci nemmeno dei sondaggi che ci dicono che almeno i due terzi degli italiani è contrario a investire più risorse nelle mondo militare, anche se qualcosa il parere dei cittadini dovrebbe contare.
Discutiamo invece della questione in sé, depurata dalla contingenza politica, geopolitica, economica e sociale. Ecco allora che viene da chiedersi quale sia il senso profondo della spesa militare, politico, storico e anche morale. Che genere di futuro immaginiamo per noi e soprattutto per coloro che verranno? Pensiamo che saranno costretti a vivere in un mondo che è sempre in allerta, pronto a passare da una guerra all’altra? Oppure intendiamo lavorare già da subito – scusate la frase retorica – per costruire un mondo di pace? Se è la seconda risposta che ci interessa, allora dobbiamo dare l’esempio, cioè non aumentare ma tagliare la spesa militare, dimostrando nei fatti – agli italiani ma anche ai nostri alleati e ai nostri potenziali “nemici” – che esiste una strada alternativa. Al contrario di quel che dicevano i latini, si vis pacem, para bellum, oggi la pace si prepara con la pace. Lo dicono in molti, ma tutti inascoltati, a cominciare dal Papa. Eppure se il nostro pianeta vuole avere una prospettiva, sarebbe questa la strada da percorrere, insieme a quella dell’ambiente naturalmente.
E allora chissenefrega dei giochi politici, giochetti di potere, tra Conte e Draghi e Letta e Salvini e Meloni e Berlusconi e Renzi e Calenda… Chissenefrega se gli altri Paesi della Nato ci criticheranno (peraltro venti di loro su trenta la spesa non l’hanno ancora aumentata). E chissene pure dei nostri apparati militari che chiedono più soldi, loro fanno il mestiere che sanno fare. L’interesse generale dovrebbe avere la meglio su tutto e su tutti, magari ricordandoci una famosa frase di Sandro Pertini pronunciata quando era Presidente della Repubblica: “Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”.
Era il 31 dicembre del 1979, più di quarant’anni passati invano.
Riccardo Barenghi