I cambiamenti della legge di bilancio sui finanziamenti del Piano Industria 4.0 pongono non pochi problemi con una virata inaspettata che lascia il segno proprio sul tema delle competenze. Nella nuova versione del piano 4.0 restano le agevolazioni per l’Iperammortamento pur con l’inserimento del tetto massimo per gli investimenti di 20 milioni di euro che penalizza ovviamente le grandi imprese, ma è la scelta di ridimensionare fortemente gli incentivi per la formazione, quella che più preoccupa, perché uno dei pilastri del progetto di digitalizzazione delle imprese che puntava a sviluppare le competenze del personale a fronte della sempre più innovativa tecnologia richiesta dalle organizzazioni per restare competitive. Infatti, significa snaturare l’impianto stesso del piano originale che prevedeva due linee di intervento: da una parte gli incentivi per aiutare le aziende ad acquistare le tecnologie e dall’altra quelli per sostenere le imprese a utilizzare soluzioni digitali sempre più complesse. Il bonus formazione, sotto forma di credito di imposta per le spese di formazione tecnologica del personale rispetto alla disciplina del 2018,nella legge di Bilancio 2019 introduce una differenziazione dell’agevolazione in funzione della dimensione dell’impresa, nelle misure che variano dal 50% al 30% delle spese ammissibili.
Cambia il tetto massimo: 300.000 euro per le Pmi e 200.000 euro per le grandi imprese. La proroga prevede infatti che il credito di imposta per la formazione – inserito un anno fa in via sperimentale per il 2018 e quindi valido fino al 31 dicembre – venga poi dismesso in favore delle agevolazioni per le assunzioni temporanee dei manager chiamati a occuparsi di innovazione digitale. Avevamo puntato molto sul credito di imposta sulla formazione, perché consideravamo l’assenza delle competenze 4.0 in azienda come il vero collo di bottiglia per gli investimenti. Questa scelta è un importante messaggio politico da non sottovalutare: Ciò che traspare è il disinteresse nei confronti della formazione e quindi delle persone. L’inversione di tendenza rischia di compromettere i primi benefici del piano 4.0, visto che tecnologie e competenze dovrebbero procedere in sintonia e con la stessa velocità.
Ciò che è a rischio è addirittura la produttività delle imprese: secondo i dati del Politecnico, le aziende 4.0 hanno ottenuto un risultato di +25% in termini di produttività rispetto ai competitor che non si sono aggiornati. La formazione dovrebbe essere una priorità per la società e investire nelle tecnologie digitali vuol dire fare politiche per la crescita e il lavoro. La proroga del Piano è mirata alle Piccole e medie imprese che sull’innovazione hanno vissuto un pericoloso periodo di inerzia. La revisione delle aliquote è una scelta che privilegia le PMI, ma la proroga di un anno di Impresa 4.0 non basta per sostenere una trasformazione culturale del sistema-impresa che richiede un tempo ben più lungo.
Inoltre, si rischia di alimentare la preoccupazione legittima per la perdita di posti di lavoro generata dall’introduzione di tecnologie sempre più sviluppate e indebolire la prospettiva che l’effetto disoccupazione legato all’innovazione digitale sarebbe stato colmato dalla necessità di dotarsi di ‘operatori 4.0’ della digitalizzazione in grado di ottenere performance dalle macchine, visto che si affievoliscono egli stimoli a fare formazione. Il rischio vero è di avere aziende che possono dotarsi di strumenti molto evoluti, ma senza personale capace di sfruttarne tutte le potenzialità, almeno fino a quando la scuola non sarà in grado di soddisfare la domanda di competenze proveniente dalle aziende. La stessa quarta rivoluzione industriale infatti impone una formazione continua, visto che le 10 posizioni più richieste oggi dal mercato neppure esistevano fino a meno di un decennio fa. Non basta neppure la soluzione di orientare i fondi che prima erano destinati alla formazione all’assunzione di manager dell’innovazione. È una scelta sicuramente buona, ma che non risolve il problema, perché in questo modo si inserisce in azienda una sola persona con le competenze, ma più manageriali che tecniche. E se le nuove aliquote del piano vanno nella direzione di aiutare le PMI ,questa decisione di puntare su un unico ‘innovatore’ e concentrare l’investimento per l’innovazione su una sola persona non ha lo stesso impatto sulla produttività rispetto alla formazione di 10 persone.
Come Ceslar –Centro Studi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, TutteperItalia, insieme a Bureau Veritas e Cepas abbiamo predisposto un corso di certificazione del manager dell’innovazione e delle opportunità – MIO- che amplia di molto la platea delle persone che frequentandolo possono ottenere la certificazione delle competenze possedute e dunque aspirare anche a collocarsi con una possibilità in più nel mercato del lavoro e soprattutto attraverso la Rete di imprese anche piccole o medie dotarsi di informazioni e managerialità innovative dal punto di vista organizzativo e produttivo.
Alessandra Servidori