Pupillo di Totò Riina, il suo nome era inserito nella lista dei latitanti più pericolosi del mondo. Mattina Messina Denaro, uno dei boss più potenti di Cosa Nostra, è stato arrestato nel corso di un blitz condotto dai carabinieri del Ros, del Gis e dai militari della Legione Sicilia. Il superboss di Castelvetrano, nel Trapanese, è stato catturato alla clinica La Maddalena, di Palermo.
Matteo Messina Denaro era latitante dal 1993. Un ricovero in day ospital gli è stato fatale. Doveva sottoporsi a una terapia clinica, è stato ammanettato. Al momento della cattura, non ha opposto resistenza e quando i militari lo hanno caricato su un blindato nero, dalla folla si sono levati forti applausi. Ora sarà trasferito in un posto sicuro, come ha spiegato il comandante del Ros, Pasquale Angeloasanto. Il suo arresto arriva 30 anni e 1 giorno dopo la cattura di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio 1993. Pure lui fu catturato nel cuore di Palermo dai carabinieri del Ros guidati dal capitano Ultimo.
Nato a Castelvetrano il 26 aprile 1962, figlio di Francesco Messina Denaro, il suo padrino di cresima è Antonino Marotta, “uomo d’onore” ex affiliato alla banda di Salvatore Giuliano. Già dai primi anni Ottanta scala i vertici del mandamento di Castelvetrano arrivando a ricoprire il ruolo di capo e alleandosi al clan dei corleonesi di Totò Riina. Dopo l’arresto del “capo dei capi” di Corleone, sceglie la linea della continuità e si fa promotore della strategia degli attentati dinamitardi a Firenze, Milano e Roma. Ed è proprio dall’estate 1993 che si rende irreperibile dando inizio alla sua lunga latitanza.
Le successive inchieste giudiziarie, avviate anche sulla scorta delle dichiarazioni di diversi pentiti, fanno emergere con chiarezza quel’è stato il suo ruolo all’interno della cosca Trapanese, tanto che il maxi processo “Omega” porta alla prima condanna all’ergastolo. Ritenuto esecutore e mandante di decine di omicidi, è stato tra l’altro condannato per le stragi di Capaci e via d’Amelio, in cui nel 1992 furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, per la stagione degli attentati del 1993 a Milano Firenze e Roma. Tra gli omicidi più efferati che gli sono stati attribuiti, spicca quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito che venne prima strangolato e poi sciolto nell’acido.
La sua lunga latitanza è finita a Palermo, proprio come quella di Riina. Da circa un era in cura per un tumore alla clinica “La Maddalena” di Palermo” dove si era presentato con il falso nome di Andrea Bonafede. Questa mattina doveva sottoporsi a un ciclo di chemioterapia. Le manette sono scattate all’interno di un bar di fronte alla clinica. Ora si trova alla caserma dei carabinieri “San Lorenzo”.
E.G.