Del professor Aris Accornero, venuto a mancare nella notte tra il 22 e il 23 ottobre scorso, sono stati messi in evidenza il lavoro e il magistero universitario; a me pare che accanto a questi elementi di giudizio vada anche ricordato il segno di testimonianza di tutta la sua vita (“Tu sei sempre occupato in queste cose” gli dirà un vecchio compagno di lavoro).
Nel 1984 Sociologia del lavoro dedica un numero (21) ai profili autobiografici dei maggiori esponenti della materia. Accornero di sé dice che la fonte più importante della sua apertura culturale era stata il “guardare, ammettere e studiare i fatti”, e, ancora, che “la curiosità per i fatti e lo studio dei fatti è ciò che ha ispirato tutte le mie cose”: ma con quale fine? Secondo me, il fine è quello di dare “alla rivista e al sindacato i pezzi di sapere che non avevano”, come scrive nelle pagine successive del proprio profilo. Al linguaggio della mente aggiunge quello del cuore di una pedagogia del lavoro nella società industriale: dal giornale di fabbrica, all’Unità, a Rassegna sindacale, all’Università.
C’è un dato che mi conferma in questa interpretazione: nel 1976 egli cura per la Fondazione Feltrinelli il volume degli Annali, che costituisce la glossa forse più preziosa dei “trenta gloriosi” (1943-73) delle nostre relazioni industriali. In pari tempo egli aiuta (io credo) Rassegna sindacale ad allestire un numero doppio (nn. 59-60, che ho potuto rileggere dopo quarant’anni grazie alla gentilezza di Ediesse e di Angelo Lana), costruito come sintesi antologica di alcuni contributi ed in particolare di quelli più importanti del volume Feltrinelli, a beneficio di chi aveva scarse risorse, comunque intese.
In questo senso le parole introduttive del primo capitolo del libro “Quando c’era la classe operaia” (2011), appaiono non un omaggio formale alle persone incontrate nel lontano 1960, ma la sincera soddisfazione di aver adempiuto fino in fondo il proprio dovere nel modo cui aveva improntato la sua vita.
Maestro e testimone di un ideale al cui servizio è stato fedele sino alla fine.
Raffaele Delvecchio, ex sindacalista d’impresa