All’inizio di questo 2020 è davvero difficile fare previsioni. Ovidio però sosteneva che va gettato sempre “il vostro amo: nello stagno in cui meno te lo aspetti troverai un pesce”. Insomma la migliore aspettativa da coltivare è quella che ti conduce a guardare avanti.
Ed è quello che dobbiamo fare. Il nostro Paese arriva da due anni di sostanziale stagnazione non va dimenticato. E se restiamo alle stime più recenti la crescita nel 2020 non farà certo fare salti di gioia a nessuno. Anzi, secondo l’Ocse il nostro Pil si attesterebbe allo 0,4%, ovvero il peggior esito fra i Paesi più sviluppati. E saremmo ancora una volta fanalino di coda in una Europa la cui crescita sarebbe comunque modesta con uno striminzito 1,1%. Altre stime sono leggermente più…generose come quella dell’Istat che ci colloca allo 0,6%, comunque sempre la metà di quello che avverrebbe nel Vecchio continente.
I motivi sono evidenti ed ancora una volta sommano ragioni internazionali e quelle, ben più cospicue, interne alla nostra economia.
Dovremo fare i conti con la Brexit, con il persistente protezionismo, con le grandi incertezze dovute alle tensioni nel mondo. Tutto questo ovviamente non produce solo rallentamento nella attività economica, ma frena gli investimenti e riduce la propensione al rischio. Non è tempo di commesse perché sono troppe le variabili in circolazione.
Anche sul piano della finanza mondiale gli esperti vanno molto cauti e la ragione prevalente riguarda il fatto che le buone performance delle borse sono più il frutto di interventi straordinari delle Banche centrali con l’immissione continua di liquidità che una vera e propria evoluzione positiva delle economie reali. La Fed ad esempio ha immesso nel sistema finanziario circa 400 miliardi di dollari di liquidità per dare stabilità. Ma quanto potrà durare questo orientamento? E se guardiamo all’Europa ci si accorge facilmente che l’azione di Draghi alla Bce ha sostenuto l’euro a dispetto dei vari sovranismi, ma inevitabilmente lascia alla Lagarde una eredità non facile: continuare nella politica accomandante che ha evita “gelate” economiche in una Europa priva di vere locomotive per le difficoltà sopravvente in Germania.
Ed allora ci si rifugia negli…interrogativi. Il primo è quello più scontato: come andrà a finire la guerra commerciale fra Usa e Cina. I rischi di recessione più volte paventati a livello mondiale ma mai emersi davvero si paleseranno o invece lasceranno il posto ad una nuova stagione di crescita? L’inflazione, specie quella negli Stati Uniti che viaggia oltre il 2%, inciderà o meno sulle scelte delle Banche centrali e dei Governi? Ma nell’attesa di capirne u po’ di più è assai saggio guardare dentro casa nostra, alla nostra economia ed alla tenuta sociale del Paese.
Se volessimo indicare una qualche priorità verrebbe da dire che u ruolo i importante dovrebbe averlo la tutela del nostro capitale umano, vale a dire il futuro dei nostri giovani e la interruzione della loro fuga verso l’estero od il nord per sfuggire ad un destino quanto mai precario ed inconcludente.
Ma potremmo avere anche delle opportunità da sfruttare: lo stop all’Iva ci permette di utilizzare risorse per gli investimenti e non penalizzare i consumi che non a caso sono dati in leggero aumento nel 2020. Inoltre se cessassero le indecisioni politiche sugli investimenti nelle opere pubbliche i segnali di ripresa di questo settore da sempre volano economico potrebbero rafforzare a beneficio della intera economia. Non da ultima sarebbe comunque da utilizzare in positivo la relativa stabilità di governo raggiunta e che non può rimanere solo un dato di fatto che serve alle varie forze politiche ma deve produrre risultati concreti. Resta però l’indeterminatezza sulle politiche industriali da perseguire con i macigni di grandi crisi sul tappeto e coni l pericolo di impoverire ulteriormente il nostro settore produttivo che resta asse portante dello sviluppo del Paese e non solo sul piano economico.
In altre parole al d là degli scenari internazionali la sorte economica dell’Italia dipende soprattutto da quello che si saprà o non si saprà fare. Non servono le promesse che hanno stancato l’opinione pubblica, non serve la propaganda che accompagna i periodi elettorali, non servono le furbizie contabili, occorre invece un cambio di comportamenti assai profondo. Il primo dei quali non può che essere la realizzazione di una nuova stagione di confronti fra Istituzioni e forze sociali nella quale contino le proposte, i progetti, la capacità di ascoltare le opinioni altrui senza ritenersi autosufficienti.
E sarebbe bene non ricadere in errori compiuti nel passato. Il recente ritorno di fiamma della questione delle pensioni ne costituisce un esempio lampante: si è ricominciato a trattarlo come un problema di cassa per lo Stato, esercitandosi sulle varie combinazioni di età e contributi, senza tener conto della situazione lavorativa e sociale del Paese. Il confronto fra Governo e confederazioni sindacali potrà indirizzare le future scelte verso altre valutazioni di merito, ma è inevitabile osservare che si è ripartiti con il piede sbagliato di ipotesi che hanno il solo effetto di allarmare lavoratori e famiglie.
L’altro sintomo di sottovalutazione da evitare sul piano politico ed istituzionale riguarda gli incidenti sul lavoro. Il 2019 è stato un anno angosciante su questo versante. Sarebbe fondamentale che l’attenzione politica e di governo verso questo tremendo fenomeno che rende il lavoro una guerra con vittime, divenga un problema urgente da affrontare senza trincerarsi dietro il solito, inutile, cordoglio a sciagure avvenute.
Viene da sé che il 2020 sarà un anno nel quale occorreranno una forte unità ed una grande capacità propositiva da parte del sindacato italiano. Non è pensabile perdere altro tempo quando la minaccia di trovarsi impelagati in una economia cedente resta comunque alta.
Naturalmente l’Italia ha bisogno di ricostruire una sua identità politica ed internazionale ben più forte di quella di cui dispone al momento. Ma ci vorrà tempo. Ed ha anche bisogno di riflettere anche sul tipo di coesione sociale che va perseguito per evitare che i timori per il futuro si trasformino ancora in manifestazioni di intolleranza, di violenza, di egoismo e, soprattutto, di ripiegamento sui propri interessi immediati.
Ma intanto è necessario saper reagire sul piano economico e sociale. Ed è questa considerazione già un impegnativo programma di proposta e di azione.
Paolo Pirani – segretario generale della Uiltec