Pochi avrebbero scommesso su Toti presidente. Certo le divisioni della sinistra: lo schiaffo di Cofferati, il politico convinto di vincere a prescindere e la conseguente candidatura di Pastorino che raggiunge un 10% di consensi e la debolezza del candidato ufficiale del Pd Raffaella Paita, troppo legata al roccioso quanto immobile Burlando, che si ferma al 27,4%, sono tutti elementi in grado di pesare sul risultato finale. Nessuno tuttavia si aspettava che il neofita Toti, un uomo che non suscita certo entusiasmi a prima vista potesse staccate il secondo di ben 7 punti.
Ancora peggiore il risultato in Veneto dove Zaia, verboso e battagliero braccio destro di Salvini, ha stracciato la candidata e astro nascente del Pd Alessandra Moretti con un differenziale di quasi 30 punti, confermandosi il più amato presidente del Nord Est.
Di sicuro un colpo basso per quelli del Pd che ricordano, ammaccati dal risultato, tutto quello che Renzi ha fatto per venire incontro alle esigenze della piccola e media impresa che di quel territorio sono la nervatura economica e ideologica. Eppure neanche questo è bastato e in un sol giorno il partito è passato dal 37,5% delle europee al misero 23% di oggi. Ci si chiede dunque come mai. Forse la debolezza della candidata, che nonostante il suo piglio sicuro, non scevro da arroganza, non è riuscita convincere; o forse la scelta di Renzi che a ridosso delle elezioni quel mondo ha snobbato, preferendo i suv di Marchionne ai capannoni di Squinzi. O forse più semplicemente perché il lavoro di Zaia è stato apprezzato e i cittadini del Veneto hanno preferito il vecchio sicuro al nuovo da collaudare.
Alla fine il partito di Renzi vince laddove il leader ci ha messo la faccia come in Campania; ma qui il risultato è più opaco e più problematico della stessa sconfitta perché ora il premier dovrà scegliere e la sua scelta non sarà indolore. Certo potrà sempre dire che si perde dove gli altri, la minoranza del Pd, per ostilità alla maggioranza remano contro il risultato, in una sorta di intendenza con il nemico che in tempo di guerra si pagherebbe con la fucilazione alle spalle. Per consolarsi ci si potrebbe appellare al successo di Emiliano , ma anche qui la natura dell’uomo, un libero battitore che nonostante le simpatie per Renzi non è tagliato certo per il ruolo del gregario, non è balsamo sufficiente per lenire le piaghe della sconfitta.
L’onda lunga del Pd dunque si trasforma in risacca e ritirandosi porta via le certezze costruite sulla sabbia come quel 40,8% di consensi strappato nelle elezioni europee e tanto enfatizzato dal premier che appare ora pesantemente eroso dalla forza dell’acqua Si ritorna nei confini segnati dal desueto Bersani, ricadendo in quella sorta di maledizione biblica che condanna il paese a restare di destra nonostante la fatica del premier che pure della destra ha applicato con convinzione le ricette.
La marcia trionfale di Renzi sembra dunque arrestarsi, la destra riprende piede incoronando leader indiscusso Matteo Salvini e va avanti anche il Movimento 5 stelle che, liberatosi dai giogo di Grillo, esprime oggi una dirigenza di qualità che può ragionevolmente aspirare a vincere, sull’onda di Podemos, le prossime elezioni nazionali. Si attendono ora le mosse del premier che dalla sconfitta appare appesantito e perde di velocità. E forse chissà per non smentire se stesso potrebbe decidere di non farsi cucinare a fuoco lento e tentare il tutto per tutto.
Roberto Polillo