I dirigenti italiani mettono a disposizione le loro esperienze per far uscire il paese dalla crisi. Questo il messaggio uscito dagli stati generali del Cida, che si sono svolti lunedi 26 novembre a Milano, e ai quali ha preso parte anche il presidente del Consiglio Mario Monti. Il diario ne ha parlato con Giorgio Ambrogioni, presidente di Federmanager, che in questa intervista traccia una sintesi dell’evento.
Ambrogioni, i dirigenti da lunedi scorso tornano dunque protagonisti?
Direi proprio di sì. Anche il presidente del Consiglio, Mario Monti, è rimasto sorpreso per la massiccia presenza di una categoria che di solito rimane in disparte.
Cosa vi ha detto il presidente del Consiglio?
Che ha commesso un errore non coinvolgendo i dirigenti nella concertazione. Monti ha ammesso che si tratta di uno strumento in cui crede poco, ma ha anche aggiunto che è fondamentale che vi partecipino tutte quelle parti sociali, come la nostra, che hanno molto da dire.
E voi, che messaggio avete indirizzato a Monti?
Che abbiamo apprezzato il risanamento dei conti pubblici, ma che moltissimo resta da fare per liberare tutte le potenzialità del Paese oggi soffocate da lacci e laccioli di ogni genere.
Quello che è stato fatto fin qui non è sufficiente?
L’impressione è che, al di là delle buone intenzioni del governo, poco sia andato in porto.
Che valutazione dà della riforma del mercato del lavoro?
Noi puntavamo ad avere maggiore flessibilità e meno precarietà. La riforma Fornero è però molto parziale e non garantisce affatto una diminuzione della precarietà in cambio di buona flessibilità.
Quali sono, secondo voi, i nodi principali da sciogliere per rilanciare l’economia?
Il fisco, a nostro parere, rimane uno dei problemi maggiori del Paese. Non si riesce ancora a passare da una tassazione diretta a un’indiretta, nonostante questo sia auspicato da molti. Serve poi una maggiore lotta al sommerso, utilizzare la leva del contrasto di interesse attraverso la possibilità di poter detrarre dalle tasse molte spese fatturate e una maggior tassazione delle rendite.
Fisco, e poi?
Abbiamo fatto presente a Monti che l’Italia è ancora troppo legata al capitalismo famigliare, e questo mette a rischio la sopravvivenza delle imprese a ogni passaggio generazionale. E’ fondamentale che si comprenda che il modo migliore per evitare questo rischio è affidare il più possibile le aziende a manager capaci. E’ poi importante creare un sistema di regole che permetta alle imprese italiane di essere presenti sui mercati internazionali e di attrarre investimenti stranieri nel paese. Infine, abbiamo auspicato che il governo favorisca l’italianità di alcune aziende, come per esempio l’Ansaldo Breda Energia, anche attraverso forme di azionariato diffuso del management.
Si parla molto di quanto la scarsa efficienza della Pubblica amministrazione pesi sull’economia, a partire della lentezza dei processi. Voi condividete questa impostazione?
Assolutamente sì. Bisogna favorire l’inserimento di manager che portino a un efficentamento del sistema. E’ anche fondamentale per attrarre investimenti che la giustizia italiana si pronunci in tempi veloci.
Mario Monti proprio ieri ha parlato di un rischio di non sostenibilità del Sistema Sanitario Pubblico. Che ne pensa?
Bisognerà in futuro favorire sempre di più politiche di sussidiarietà attraverso la contrattazione nazionale e integrativa.
Molti sostengono che l’Italia debba puntare sul turismo e l’agroalimentare, più che sull’industria. Che ne pensa?
Sarebbe una tragedia per il paese rinunciare al proprio sistema industriale. Ma per salvarlo è fondamentale che si torni a occuparsi di politica industriale, energetica e dei trasporti. Bisogna avere una visione del futuro.
Lo si dice da molti anni, ma poi quando si tratta di realizzare questi principi concretamente, non si va molto lontano.
Questo è un problema serio.
I manager delle vecchie imprese dell’Iri, negli anni Cinquanta e Sessanta, erano pagati molto meno dei dirigenti delle imprese attuali. Siamo sicuri che i risultati di oggi siano migliori di quelli del boom economico?
Sotto questo fronte serve un forte ripensamento della figura dei dirigenti. Sono assolutamente contrario a certi stipendi esagerati, anche a fronte di risultati non sempre ottimali. Bisogna riconoscere che i manager dell’Iri avevano una forte professionalità, anche dovuta a una formazione molto rigorosa e sapevano avere anche una visione etica del loro lavoro. Bisogna tornare a essere protagonisti nella società e ricominciare ad avere una visione anche “morale” del ruolo del dirigente.
Il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche degli anni 90 ha funzionato?
Se l’idea era quella di creare dei campioni nazionali che stessero sul mercato e che investissero nella ricerca e nell’innovazione, la risposta è no. Sono stati fatti molti errori, tra cui la volontà di fare cassa che ha prevalso sull’importanza di selezionare imprenditori che potessero portare avanti le imprese. Interi settori industriali come le privatizzazioni sono semplicemente scomparsi.
Oggi si corre il rischio di fare gli stessi errori, in nome del ‘fare cassa’?
Il rischio è dietro l’angolo. Basta vedere cosa è successo con Parmalat. Nessun industriale italiano si è fatto avanti per rilevarla e l’azienda è finita ai francesi che l’hanno svuotata del suo risparmio. Gli industriali italiani hanno perso coraggio o sono disincentivati dallo stato.
Tra pochi mesi si terranno le elezioni, cosa farete per favorire il dibattito su questi temi?
Una delle cose sui cui mi sono battuto maggiormente durante la mia presidenza è stato il ritorno al protagonismo dei manager. Vogliamo mettere la nostra esperienza a disposizione del Paese. Quindi favoriremo tutte le possibilità di dibattito con il mondo politico e le parti sociali.
E’ ottimista per il futuro del Paese?
Penso di sì. In questo momento moltissimi sono interessati ad ascoltare la nostra esperienza. L’Italia ha ancora moltissime energie, bisogna però creare regole che permettano a tutte le sue potenzialità di sprigionarsi.
Luca Fortis