Giorgio Ambrogioni, il presidente di Federmanager, l’organizzazione che associa i dirigenti di aziende industriali, si ribella di fronte alla caccia alle streghe che è iniziata contro la sua categoria, additata come fonte di privilegi ingiusti. Bisogna distinguere, dice, tra pochi casi di alcuni capi azienda e la gran massa di dirigenti, che guadagna quello che merita. Per questo pensa che si debba smettere di parlare solo male dei dirigenti, che sono indispensabili per la creazione di una vera classe dirigente del paese.
Ambrogioni, sono momenti difficili per i manager, messi sotto accusa un pò da tutti.
Sul termine manager sarei più cauto, perché si tende a fare di ogni erba un fascio, ma si sbaglia obiettivo.
In che senso?
Perché con il termine manager si fa riferimento a tanta gente, si va dal capo azienda fino al buon quadro. È tempo ormai di fare delle distinzioni.
La polemica che si sta facendo sui capi azienda è centrata sulle loro altissime retribuzioni.
E qui c’è poco da dire, perché in effetti ci troviamo di fronte in alcuni casi a retribuzioni oggettivamente alte, per non dire fuori misura. Ma non è lo stesso per i dirigenti intermedi.
Quanto guadagna un dirigente intermedio?
La sua retribuzione media, comprendendo anche la parte variabile, non supera i 130mila euro annui lordi. Una media fatta mettendo assieme i direttori generali di grandi aziende fino al dirigente neonominato.
È poco?
È una retribuzione due volte superiore a quella di un buon quadro e a quattro volte quella di un buon impiegato. Parlare di retribuzioni esagerate mi sembra improprio e fuorviante. Altre sono le retribuzioni esagerate, spesso scollegate dai rischi connessi alle responsabilità che i dirigenti si assumono.
Ma perché questi dirigenti ricevono queste retribuzioni esagerate? Per quale meccanismo malato?
Le politiche retributive spesso sono sbagliate e la colpa ricade sui comitati di remunerazione, che dovrebbero essere davvero indipendenti.
E non lo sono?
Non sempre. Il loro compito dovrebbe essere quello di agganciare le retribuzioni ai risultati di medio e lungo periodo, perché solo così si crea valore per gli azionisti. Se io capo azienda so che retribuzione e bonus sono legati invece ai risultati a breve termine, mi comporterò diversamente, ma non necessariamente creerò valore per gli azionisti.
Che bisognerebbe fare?
Una proposta condivisibile espressa da più parti prevede che la retribuzione fissa venga il più possibile contenuta, dando invece più spazio alla retribuzione variabile, legata ai risultati ottenuti, ma quelli di lungo periodo.
Ambrogioni, che rischio si corre alimentando questa denigrazione dei dirigenti come struttura sociale? Che guasti si manifestano nella società?
Un giudizio generalizzato e demagogico come quello che si sta esprimendo in questa circostanza presenta diversi aspetti negativi. Il primo è che questo giudizio si riverbera negativamente sulla classe dirigente del paese. E invece c’è bisogno del ceto manageriale, che sia competente, etico, socialmente responsabile, perché si faccia carico del rilancio della nostra economia.
Ancora?
Un secondo aspetto che non sottovaluterei è la determinazione di un sentiment di invidia sociale, che per quanto ci riguarda è fortemente immotivato. Noi non siamo a non vogliamo essere percepiti come una casta. Al contrario vogliamo essere la dimostrazione palese che l’ascensore sociale in questo paese funziona.
Questa è la vostra realtà?
Il 90% dei dirigenti di azienda industriale proviene dal ceto medio, sono persone che si sono affermate per quello che hanno saputo fare.
Tutti parlano del merito, ma pochi lo usano come vero metro di giudizio.
In punto è che la meritocrazia è un’arte difficile. Significa valutare, giudicare, e nessuno vuole essere giudicato o valutato.
Lei cambia il giudizio sui dirigenti. Questo vale per quelli privati come per quelli pubblici?
Purtroppo no. Nel privato la certezza del risultato fa parte del nostro dna, tutti i giorni nelle aziende che stanno sul mercato si è valutati sulla base dei risultati ottenuti.
Nel pubblico non è così?
Non ancora. Mancano completamente sistemi di governance in grado di responsabilizzare la dirigenza.
Per colpa della dirigenza, che non ha mai chiesto una valutazione su diversi criteri?
Nella pubblica amministrazione sta emergendo una classe dirigente giovane che vuole essere misurata., responsabilizzata, vuole scrollarsi di dosso l ‘immagine che l’opinione pubblica ha di essa.
Tentativi che hanno portato dei risultati?
I vari tentativi di riforma della pubblica amministrazione, dobbiamo dircelo, non hanno saputo risolvere questo problema. E questo anche per responsabilità della dirigenza pubblica. Ma la gran parte della responsabilità va addossata alla classe politica e alla politica del sindacalismo confederale.
Voi di Federmanager avete sempre seguito una politica diversa.
Ormai da due rinnovi contrattuali la dinamica retributiva reale della nostra realtà è determinata esclusivamente dalla parte variabile. Tanto che in questi sei anni di crisi le nostre retribuzioni non solo non sono cresciute, ma in molti casi sono diminuite. Questo è un modello che rivendichiamo e che ci consente di respingere le generalizzazioni di certi commentatori, la caccia alle streghe che si è scatenata, come se tutti i problemi derivino dall’azione di dirigenti.
La partecipazione può essere la strada per cambiare qualcosa?
La partecipazione è quell’evoluzione che da sempre auspichiamo per responsabilizzare a tutti i livelli i lavoratori, per promuovere senso di appartenenza, per legare sempre più retribuzione e andamento dell’azienda.
Sembra che qualcosa cominci a marciare in questa direzione.
Seguiamo con molto interesse l’esperimento che si sta facendo per Poste italiane.
Ma il governo vuole andare avanti per questa strada?
Renzi questo ha detto, ha confermato l’impostazione. E anche Alessandro Pansa, l’amministratore delegato di Finmeccanica, ha detto la stessa cosa.
Il protocollo Finmeccanica dell’anno passato è basato tutto sulla partecipazione.
L’impostazione è quella. Ma dal governo ci attendiamo anche una politica fiscale che dia peso alla retribuzione variabile a tutti i livelli, senza limiti applicativi che restringano il campo d’azione. Se si escludono quadri e dirigenti dalle agevolazioni fiscali sulla retribuzione variabile si disincentivano figure invece determinanti per il buon fine delle esperienze di partecipazione e per la competitività delle aziende.
Massimo Mascini