Non conosco ciò che dirà Il segretario generale della Cgil Maurizio Landini quando concluderà, il 4 luglio pv il Seminario permanente “Culture politiche, culture del lavoro’ “Il sindacato e i movimenti sociali” nell’ambito della festa della Cgil di Bologna . Ho riconosciuto però la foto che fa da sfondo al manifesto dell’iniziativa. Benché sia trascorso quasi mezzo secolo dall’evento rappresentato nell’immagine (in bianco e nero), ho impiegato pochi secondi per rendermi conto a che cosa si riferiva, perché ero presente in quelle ore e in quel luogo e avevo vissuto nei giorni precedenti i fatti che avevano portato a raccogliere nella ex Sala Borsa di Bologna, alcune migliaia di giovani studenti ed operai per ascoltare Bruno Trentin. Era il 18 marzo del 1977. Alcuni giorni prima (l’11 marzo) era stato ucciso in via Mascarella (nel centro cittadino e nei pressi dell’Ateneo) Francesco Lorusso, 25 anni, studente di Medicina, militante di Lotta Continua, durante uno scontro violento con un reparto di Carabinieri da cui erano partiti alcuni colpi di arma da fuoco. Nel portico di Via Mascarella ancora oggi vi è una bacheca di vetro che copre un pezzo di muro in cui sono impresse due lesioni provocate da proietti nell’intonaco e cerchiate con un segno di gesso. Quell’omicidio scatenò una reazione furiosa: una marea di studenti si disperse per le vie dello shopping sfasciando le vetrine. Da un’armeria furono sottratte persino armi e munizioni. La città – capitale del comunismo d’occidentale, allora nel culmine della solidarietà nazionale – sentì di non meritarsi quel trattamento e ne rimase offesa. Così anche la locale Federazione del Pci che condannò quelle azioni. Il sindaco Renato Zangheri si rivolse al Questore con queste parole: “Siamo in guerra. Fate il vostro dovere’”. Per le strade di Bologna comparvero i blindati della Polizia. Le proteste proseguirono anche nei giorni successivi. Coordinava i movimenti una radio di nome Alice che riceveva le informazioni su quanto avveniva nei diversi teatri di scontri e trasmetteva le direttive conseguenti. Una notte le Autorità presero la decisione di chiudere la radio sovversiva. Io fui occasionalmente testimone dell’operazione. In quel tempo amavo, riamato, una cagnolina meticcia di nome Kelly, che conducevo, prima di coricarmi, a passeggiare, nei pressi di casa mia, in un giardinetto a fianco della Basica di San Francesco. Una notte arrivarono almeno due camion che trasportavano reparti speciali dei Carabinieri (i c.d. baschi neri) incaricati di far cessare le attività di Radio Alice la cui sede era poco distante da li, in via del Pratello che ancora oggi resta una énclave bolognese della sinistra di Mèlenchon. Ricordo che Kelly assistendo a questo trambusto prese di sua iniziativa la strada di casa inducendomi ad andarle appresso perché non si smarrisse. Tornando al punto, trascorrevano i giorni tra le polemiche; diversamente dal PCI (che poi – more solito – si sottopose anni dopo ad una severa autocritica per quella frattura con il movimento studentesco) i socialisti assunsero un atteggiamento dialogante decidendo, un po’ strumentalmente, di aprire le sezioni ai giovani manifestanti, perché potessero esprimere il loro malessere. Il che produsse, all’interno del partito, il mio dissenso “low & order” che manifestai in un articolo intitolato “il sonno della ragione genera mostri”. Comunque nel sindacato (allora io ero componente della segreteria regionale della Cgil) si fece strada l’idea di cercare un percorso di riconciliazione. Appena una settimana dopo i fatti di sangue – appunto il 18 marzo – la Camera del Lavoro (insieme alle altre sigle) convocò un’assemblea alla Ex Sala Borsa (allora dismessa, oggi recuperata come luogo di importanti iniziative culturali) un’assemblea aperta a studenti e lavoratori e pensò che l’unico Cid Campeador in grado di reggere quella sfida (benché il servizio d’ordine fosse imponente non era garantita l’incolumità personale, come accadde con Luciano Lama alla Sapienza) fosse una leggenda vivente come Bruno Trentin, in quel tempo ancora leader della Fiom (sarebbe entrato a far parte della segreteria confederale alla fine del XVI congresso, nel maggio di quello stesso anno). Trentin, in quel fatale pomeriggio, resse tutte le contestazioni; poi conquistò la platea con un’affermazione liberatoria (che aveva anche un significato di presa di distanza da posizioni emerse in ambienti locali): “Noi non mettiamo sullo stesso piano i vetri rotti e una vita umana spezzata”. Dopo di lui parlò a nome degli studenti un certo Franco Berardi detto Bifo, un personaggio che ha continuato a riempire la cronaca fino ai nostri giorni in occasione di multiformi ed estrose esperienze. La manifestazione del 1° aprile segnò un momento di svolta. Il confronto fu rimandato alla convocazione, a settembre, di una grande manifestazione internazionale contro la repressione con la partecipazione di quelli che allora si definivano i “nuovi filosofi” e che oggi, se sopravvissuti, sono diventati quasi tutti liberali. Tutto andò per il meglio, non fu torto neanche un capello. Grande fu il contributo dei salumieri bolognesi che misero a disposizione dei manifestanti rosette condite con abbondante mortadella per la modica cifra di cinquanta lire. Per quanto mi riguarda credo di essere una delle poche persone, tuttora trattenute contro la sua volontà in questo mondo divenuto irriconoscibile, ad avere a disposizione, la bobina con la registrazione del discorso di Bruno Trentin.
Giuliano Cazzola