Nei primi anni Sessanta – quando è cominciata la mia attività alla Fiom di Bologna – la vita del sindacalista non era certamente facile. Per quanto mi riguarda, devo ammettere che, nonostante l’andazzo sparagnino, a me non è mai mancato uno stipendio decoroso a fine mese. C’era molto meno visibilità esterna. I sindacalisti non facevano – come ora – parte dell’establishment, non rilasciavano interviste (anche perché nessuno gliele chiedeva), non erano invitati in società. Ma soprattutto era particolarmente duro il lavoro. Allora, non c’era quella sfilza di diritti sindacali che vennero conquistati alcuni anni dopo. Le riunioni si svolgevano spesso dopo l’orario di lavoro o alla sera dopo cena, nelle sedi del sindacato. Talvolta, anche al sabato (che era comunque lavorativo fino all’ora di pranzo) o alla domenica mattina. Ma i maggiori disagi venivano dalle levatacce all’alba. Specie in inverno. E non capitava solo qualche volta, ma quasi tutti i giorni. Gran parte dell’attività sindacale si svolgeva all’esterno della fabbrica. Se occorreva informare i lavoratori per un qualunque motivo (dalla proclamazione di uno sciopero al commento di una vertenza o anche soltanto per invitare i lavoratori ad aderire al sindacato o per denunciare un fatto accaduto), si ciclostilavano dei volantini (con grande attenzione al contenuto) e, il mattino dopo, si andava davanti ai cancelli a distribuirlo. Una sola persona non ce la faceva. I lavoratori, infatti, venivano prima alla spicciolata, poi, man mano si avvicinava l’orario di entrata, affluivano sempre più numerosi e frettolosi. In tanti rifiutavano il volantino, soprattutto se li invitava a scioperare.
La raccolta dei contributi sindacali era ancor più laboriosa (raccontarne mette in grande spolvero la conquista della delega in busta paga). La raccolta dei contributi era un’azione importante, vista che ci andava di mezzo il finanziamento del sindacato. Per spiegare bene la questione è opportuna una breve cronistoria. Prima del contratto nazionale del 1963 le quote associative erano raccolte dai collettori: militanti sindacali che avevano il compito di avvicinare gli iscritti (in mensa o negli spogliatoi) con molta prudenza, perché i padroni allora erano assai maldisposti verso il sindacato, e farsi consegnare le poche lire del contributo mensile, in cambio di un bollino da appiccicare sulla tessera (da qui l’espressione “in regola col sindacato”). E’ facile immaginare quanto fosse precaria un’organizzazione siffatta e quanto modeste fossero le risorse recuperate con tanta fatica. Nel 1963, i sindacati conquistarono un altro metodo di raccolta delle quote. Ogni tre mesi, i datori di lavoro mettevano nella busta paga di tutti i dipendenti un assegno circolare da mille lire. In questo periodo i sindacalisti erano mobilitati allo spasimo. Nei giorni precedenti si faceva un lavoro di “pastura”, con la distribuzione di volantini che spiegavano quanto fosse importante il sindacato o con lo svolgimento di piccoli comizi volanti (si impiantava sul tetto dell’auto un portabagagli con altoparlanti). Poi, la mattina della paga ci si presentava, insieme ai colleghi delle altre federazioni, portando appresso dei pacchi di buste rosse dove erano stampigliate (anche la timbratura era stata eseguita in precedenza) le sigle (in ordine alfabetico) Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil e le si distribuiva ai lavoratori.
Al termine della giornata, ci si presentava con grandi scatoloni, a mo’ di urna, e si aspettava che i lavoratori, uscendo, infilassero la busta con incluso il fatidico assegno. Sia in entrata che in uscita si doveva tener conto dei turni e dei diversi orari di lavoro. Nei giorni successivi, gli attivisti facevano un puntuale lavoro di spigolatura, avvicinando personalmente i lavoratori. Tutto però si svolgeva nell’anonimato. Finita la raccolta, i fiduciari sindacali si spartivano, seduta stante, gli assegni sulla base delle croci tracciate sulla buste. I responsabili di zona più avveduti ed organizzati tenevano un elenco degli iscritti, fabbrica per fabbrica, e lo mettevano a confronto con gli assegni raccolti. In generale, rispetto agli aderenti erano in numero maggiore i lavoratori che versavano l’assegno. Tanti, però, se lo tenevano. Avevo, allora, uno zio che gestiva un distributore di benzina in un quartiere a forte insediamento industriale: nel giorno fatidico ne incassava parecchie decine. Allora, con mille lire ci si procurava un discreto rifornimento di benzina. E gli operai specializzati guadagnavano circa 300 lire l’ora.