Fine d’aprile 1965. Ero da pochi mesi alla Fiom di Bologna (magari in un’altra occasione ricorderò come vi ero entrato) quando venne nel mio ufficio Paolini, il responsabile organizzativo della Camera del Lavoro, il quale mi chiese se ero disposto a celebrare il 1° Maggio a San Pietro in Casale (un comune in prevalenza agricolo della pianura bolognese). Ovviamente aderii con entusiasmo anche perché in quella zona risiedeva una famiglia di lontani parenti, affittuari agricoli, che da bambino avevo frequentato quando facevo delle passeggiate in bicicletta con lo zio (di mio padre) Antonio, un personaggio eccezionale ormai anziano ma che aveva alle spalle una vita degna di essere raccontata in un romanzo.
Tornando all’impegno del mio (primo) comizio, scrissi e riscrissi più volte il testo, come se mi fosse toccato di parlare in Piazza Maggiore a Bologna. Ovviamente ci misi dentro tutto, dalla Resistenza, al Vietnam, al significato della Festa dei lavoratori. Certo un metalmeccanico non era la persona più adatta per arringare dei mezzadri e dei braccianti.
Ma altre volte mi è capitato di peggio. Mio padre, lusingato, volle accompagnarmi con la sua auto (una Fiat 600 di seconda mano, color pisello, che per lui rappresentava una conquista sociale importante, anche se la guida gli procurava un forte stress). Il comizio doveva tenersi nel pomeriggio intorno alle 17. Ricordo però che mio padre volle partire ‘’per tempo’’. Così, nonostante la sua guida estremamente prudente ed impacciata, arrivammo a San Pietro in Casale in grande anticipo. E trovammo la Camera del Lavoro chiusa. Così ci fermammo in un bar nella piazza in cui doveva svolgersi la manifestazione, dove non c’era neppure il palco con il microfono e gli altoparlanti.
Verso l’ora prevista, gli uffici della Camera del Lavoro si aprirono miracolosamente dall’interno (ebbi l’impressione che il capo lega vi fosse chiuso insieme alla segretaria) e vennero fatti gli allestimenti minimi indispensabili per poter dare corso alla mia esibizione. Salii su di un palchetto e cominciai a parlare davanti ad una ventina di persone che mi stavano davanti a debita distanza e ad altri che erano seduti nei locali della piazza. Come Dio volle finii e dopo un po’ di saluti, io e mio padre rientrammo verso Bologna. I miei parenti non si erano visti. Quindi decidemmo di passare a trovarli. Ci accolsero con un’evidente sorpresa..
Spiegammo loro i motivi della nostra presenza, ma loro caddero dalla nuvole; non avevano saputo nulla della mia presenza al comizio. Quando ce ne andammo verso casa compresi il motivo del mio ‘’anonimato’’ imbattendomi in un manifesto in cui veniva annunciata la manifestazione: c’era scritto che l’oratore ufficiale si chiamava ‘’Cazzoli Emilio’’. Quindi, a mia insaputa, avevo parlato a nome di un altro (problemi col cognome ne ho avuti ancora: in Puglia,negli anni successivi, non riuscii mai a convincerli che non mi chiamavo Cazzolla). Quel 1° Maggio fu l’ultima cosa che feci insieme a mio padre. Purtroppo, morì il 9 giugno di quello stesso anno.