Una famosa e premiata società, che opera nel settore assicurativo, ha dovuto assumere alle proprie dipendenze, per provvedimento giudiziale, una lavoratrice che immediatamente dopo, per essere poco gradita, è stata trasferita ad una sede di lavoro ben lontana di quella spettante. La lavoratrice ha tempestivamente impugnato il trasferimento, rifiutando di recarsi della nuova sede, ma nel contempo, ha offerto la sua prestazione lavorativa da rendere presso la sede originaria. Il datore di lavoro ha rifiutato l’offerta della lavoratrice, confermando il suo provvedimento di trasferimento. Traendo ragione dall’assenza della lavoratrice, che non si era presentata sul nuovo posto di lavoro, l’azienda ha promosso nei confronti della dipendente la procedura di contestazione di addebito a conclusione della quale le ha intimato il licenziamento disciplinare.
Il tribunale prima e la Corte di Appello di Firenze dopo hanno dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare poiché, a monte, hanno ritenuto ingiustificato il trasferimento e hanno ordinato la sua reintegrazione nell’originario posto di lavoro. La reintegrazione nel posto di lavoro è stata disposta perché il trasferimento nella nuova sede è stato ritenuto illegittimo: quel posto di lavoro era scoperto da oltre 12 mesi e tale è rimasto negli anni successivi nonostante che la lavoratrice avesse rifiutato di recarvisi per prestare la sua opera. Il trasferimento per i giudici era privo delle comprovate ragioni organizzative previste dal nostro codice civile. La lavoratrice, considerata anche la lontananza della nuova sede di lavoro, rifiutando di prestare la sua attività lavorativa nel nuovo posto, ma offrendola, invece, per la sede precedente, si è comportata, per i giudici, rispettando i principi del nostro ordinamento.
Il datore di lavoro, non condividendo la decisione dei due giudici di merito ha fatto ricorso in cassazione. La Corte Suprema, però, ha rigettato il ricorso con la seguente motivazione: “la Corte territoriale ha operato la verifica richiesta dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’eccezione ex art. 1460 c.c., con un apprezzamento delle circostanze di fatto riservato ai giudici del merito; invero questa Corte ha sancito che l’inottemperanza del lavoratore al provvedimento di trasferimento illegittimo deve essere valutata, sotto il profilo sanzionatorio, alla luce del disposto dell’art. 1460 c.c., comma 2, secondo il quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, la parte non inadempiente non può rifiutare l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario a buona fede; la relativa verifica, in coerenza con le caratteristiche del rapporto di lavoro riconducibile all’alveo dei contratti a prestazioni corrispettive, deve essere condotta sulla base delle concrete circostanze che connotano la specifica fattispecie nell’ambito delle quali si potrà tenere conto, in via esemplificativa e non esaustiva, della entità dell’inadempimento datoriale in relazione al complessivo assetto di interessi regolato dal contratto, della concreta incidenza del detto inadempimento datoriale su fondamentali esigenze di vita e familiari del lavoratore, della puntuale, formale esplicitazione delle ragioni tecniche, organizzative e produttive alla base del provvedimento di trasferimento, della incidenza del comportamento del lavoratore sulla organizzazione datoriale e più in generale sulla realizzazione degli interessi aziendali, elementi questi che dovranno essere considerati nell’attica del bilanciamento degli opposti interessi in gioco anche alla luce dei parametri costituzionali di cui gli artt. 35,36 e 41 Cost.; tale verifica è rimessa all’esame del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici” Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza numero 13.895 pubblicata il 3 maggio 2022.
L’articolo 1460 del codice civile, richiamato dalla Corte Suprema di Cassazione, testualmente prevede che: “Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto.
Tuttavia non può rifiutarsi l’esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede”.
La lavoratrice, nel caso in esame, in modo corretto, ha rifiutato di andare a prestare la sua opera nel nuovo posto al quale era stata destinata ma ha correttamente offerto la sua prestazione lavorativa per il posto di lavoro da dove illegittimamente era stata spostata.
Inadimplendi non est adimplendum: all’inadempiente non è dovuto alcun adempimento.
In questo caso non vale il principio garibaldino del dissento ma obbedisco. Si dissente e non si obbedisce, con il placet della sentenza.
Biagio Cartillone