Il 2025 non inizia bene per l’industria italiana. All’orizzonte, e in tempi assai brevi, si profila infatti la fine della chimica di base, oggi Versalis, che l’Eni intende dismettere chiudendo gli impianti di cracking in Sicilia e in Puglia. Nelle due regioni il contraccolpo occupazionale potrebbe alla perdita di circa 20 mila posti di lavoro, ma sarebbe solo la prima e più immediata conseguenza di una reazione a catena che coinvolgerebbe altri siti produttivi in tutto il paese. Considerata la caratteristica principale dell’industria chimica, che è quella di avere produzioni fortemente integrate, il passo successivo riguarderebbe infatti tutti gli altri impianti di Versalis, da a Ferrara a Ravenna, a Mantova, a Marghera e Porto Torres, pregiudicandone le attività e la tenuta occupazionale. Senza contare le ripercussioni sull’indotto dei petrolchimici, che abbraccia i settori più diversi, dai trasporti alla meccanica.
In pratica, dietro la chiusura degli impianti di Versalis, rischia di nascondersi una nuova ‘’crisi modello Stellantis’’: una crisi, cioè, che va ben oltre la produzione di auto e finisce per colpire tutta l’industria nazionale. Nello stesso modo, l’abbandono della chimica di base avrebbe ricadute a largo raggio su tutta l’industria.
Da dicembre la questione è all’attenzione del Mimit, sede del confronto tra sindacato ed Eni. Dopo un primo incontro a dicembre, che aveva al centrola situazione della Sicilia, il 9 gennaio si è tenuto un nuovo tavolo tecnico per l’area industriale di Brindisi, sede di uno dei siti che l’Eni intende ‘’spegnere’’. Nel corso dell’incontro, il rappresentante del governo ha proposto a Eni di ripensare le proprie scelte e di prevedere, invece, la continuità produttiva dell’impianto, mantenendo “in marcia” il cracking di Brindisi, almeno per alcuni anni. Una soluzione ritenuta accettabile dai sindacati, ma la risposta dell’azienda è stata negativa: l’Eni ha infatti confermato la fermata dell’impianto entro aprile 2025, con il solo mantenimento in marcia della linea del polietilene, rinviando il progetto della giga factory, che dovrebbe sostituire l’attuale produzione, alla costituzione di una non meglio identificata joint venture con un partner ‘’già individuato’’ ma che, secondo i sindacati, non darebbe le necessarie garanzie.
Marco Falcinelli, segretario della Filctem Cgil, presente all’incontro assieme al segretario confederale Pino Gesmundo e ai colleghi di Cisl e Uil, spiega: “noi consideriamo la proposta avanzata dal Ministero percorribile, anche se parziale. Il Governo deve chiedere a Eni-Versalis di modificare il suo piano e mantenere la chimica di base nel Paese”. Quello che secondo Falcinelli il governo non ha ancora chiaro, è che seguendo il percorso scelto dall’Eni, di fatto, si finirebbe per distruggere una parte strategica dell’industria del nostro Paese: “l’80% dei prodotti della chimica vengono utilizzati da altri settori industriali. Si rischia di mettere in ginocchio l’intera industria italiana, e questo mentre in Europa, a partire dai contenuti del documento Draghi, si afferma la centralità dell’industria per la sopravvivenza economica dell’Europa stessa”. E se pure è vero che Versalis è in perdita, e che l’Eni potrebbe facilmente acquistare le stesse produzioni sul mercato a prezzi inferiori, resta che in una congiuntura come quella attuale, con un quadro geopolitico sempre più incerto, affidarsi al mercato internazionale è un rischio da non correre con leggerezza. Tanto più che, sottolinea Falcinelli, la principale ragione delle difficoltà di Versalis è legata all’aumento della bolletta energetica, tema che pende su tutta l’industria italiana come una pesantissima spada di Damocle, ma su quale latitano le risposte dell’esecutivo.
Anche per queste ragioni, chiedono i sindacati, il governo deve assumere un ruolo forte nella vicenda, facendo pressione su Eni per ottenere una modifica degli obiettivi: “avallando il piano di dismissione della chimica di base– dice ancora Falcinelli- il governo si assume una grave responsabilità. Tanto più che Eni è un’azienda partecipata dallo Stato, alla quale si dovrebbe chiedere di investire per accompagnare il Paese nei processi di transizione energetica. Cosa ben diversa dall’accettare chiusure di impianti e dismissioni di tecnologie industriali fondamentali per l’intero sistema industriale nazionale”. Il prossimo appuntamento è ora per fine gennaio, quando il ministero dovrebbe convocare un tavolo politico, ovvero più ‘’pesante’’ rispetto agli incontri tecnici. Filctem e Cgil, anche in quella sede, intendono ribadire la totale contrarietà al piano Eni. Nel frattempo, il 14 gennaio la confederazione di Corso Italia chiamerà a confronto tutte le categorie dell’industria, per una valutazione complessiva della situazione e per decidere le iniziative necessarie a fare pressing sul governo.
Al momento, la Cgil è la sola a affilare le armi per la vertenza Eni-Versalis, ma anche da parte Cisl non mancano dubbi rispetto al piano di chiusure. Sebastiano Tripoli, segretario della Femca Cisl, chiede infatti che l’Eni “avvii le attività di costruzione della gigafactory per la produzione di batterie, nelle aree già disponibili del sito di Brindisi, indipendentemente dalla chiusura del cracking. Chiediamo inoltre che venga garantita la continuità lavorativa, non solo per i dipendenti di Versalis, ma anche per tutto l’indotto del petrolchimico”. “Abbiamo bisogno di certezze – ha sottolineato- sulle tempistiche e i dettagli del progetto, ma anche su come accompagniamo questa transizione: non va dimenticato che a Brindisi si parla di un sistema di aziende interconnesse. Va bene parlare di nuovi posti di lavoro, ma intanto dobbiamo garantire che non ne vada perduto neppure uno”.
Nunzia Penelope