Anche nel mondo dell’auto arriva lo smart working, il lavoro ”intelligente” che consente ai dipendenti di una azienda di svolgere la loro opera dalla location che desiderano: da casa, dalla palestra, al mare. Una formula da tempo sempre piu’ diffusa nel mondo dei servizi, ma che adesso tocca anche un modo ”antico” per definizione come quello metalmenccanico. E sopratutto, un mondo ”maschile”, rispetto a una visione tradizionale (e sbagliata) che indica lo smart working come un modello di prestazione tipicamente femminile. L’intesa e’ frutto del dialogo intenso tra i sindacati di categoria e azienda, e prevede che per dieci giorni l’anno i dipendenti del Centro ricerche di General Motors Powertrain potranno lavorare senza presentarsi in ufficio, ma semplicemente utilizzando gli strumenti informatici dell’azienda e soprattutto senza perdere alcun diritto, ticket restaurant compresi. Un’intesa che, evidenzia la Fiom-Cgil, “è unica nel settore metalmeccanico di Torino e prevede che la flessibilità venga utilizzata al servizio del lavoratore”.
Nel laboratorio di Gm Powertrain lavorano 650 persone, in prevalenza ingegneri addetti alla progettazione di motori del futuro, in particolare diesel ibrido. Un luogo di innovazione, dunque, non una tradizionale ”catena”, ma tuttavia pur sempre una fabbrica, in funzione su tre turni (dunque anche di notte) per testare i propulsori. Da ora, grazie al nuovo accordo, pure i contratti di lavoro saranno innovativi: “Si tratta – spiega il segretario provinciale della Fiom-Cgil, Federico Bellono – di un’esperienza di smart work che in Italia non ha precedenti tra i metalmeccanici: meno strutturata del telelavoro, più occasionale e legata alle esigenze del lavoratore. Insomma, il risultato di una buona contrattazione in un’azienda di alte professionalità e con tanti giovani”.
L’esperienza della GM si somma a molte altre simili in vigore nel mondo e in Italia. Tra gli apripista, nel nostro paese, c’e’ la Vodafone (con ben 3000 addetti coinvolti in smart working) e la Barilla. Nel 2014 si era perfino cercato di dare una cornice legislativa a questo tipo di prestazione, attraverso un disegno di legge firmato dall’ europarlamentare del Pd Alessia Mosca. Nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere recepito all’interno del Jobs Act. Ma poi non se n’e fatto nulla.