Ad aprile saranno due anni, due anni di amministrazione straordinaria per Alitalia. Il prestito ponte di 900 milioni, stanziato dal governo precedente, a giugno scadrà, così come la cassa integrazione, che si esaurirà a fine marzo. Nel frattempo continuano le trattative per il rilancio della compagnia di bandiera. La vertenza sembrava aver preso un’accelerata improvvisa lo scorso ottobre, quando l’attuale esecutivo aveva annunciato l’ingresso di Ferrovie. Ma a oggi, spiega Fabrizio Cuscito, coordinatore del trasporto aereo della Filt-Cgil ed eletto da poco alla segreteria nazionale, non ci sono certezze sul futuro della compagnia. Manca un piano industriale, e il governo non sembra avere le idee chiare per il rilancio della compagnia.
Cuscito, in che condizione si trova attualmente Alitalia?
Alitalia è in amministrazione straordinaria quasi da due anni. La compagnia va avanti grazie a un prestito ponte che è stata fatto dal precedente governo da 900 milioni, che dovrà essere restituito il prossimo giugno. Ci sono 11mila dipendenti, la cassa integrazione riguarda 1.400 lavoratori, di cui 200 a zero ore. A ottobre Ferrovie ha presentato un’offerta vincolante, valutata positivamente dai commissari. L’offerta è soggetta a diversi paletti, tra cui il più importante riguarda la presenza, come partner industriale, di un’altra compagnia aerea. Da qui sono circolati tutta una serie di nomi, come Lufthansa, Air France, Delta e EasyJet. A oggi, nella trattativa rimangono Delta e EasyJet.
Sul nome dei partner, i riflettori si sono accessi su Air France dopo l’incidente diplomatico che ha coinvolto il nostro paese e la Francia. Credo che questo abbia influenzato sulla marcia indietro della compagnia francese?
Il ministro Di Maio ha detto che la questione dell’ambasciatore non ha avuto nessun tipo di influenza. Certamente noi sappiamo la realtà dei fatti. C’è da dire che non c’è stata neanche un’offerta vincolante, nero su bianco, di Air France.
E la trattativa con Delta e EasyJet come sta procedendo?
In questo momento Ferrovie sta trattando direttamente con Delta e EasyJet per dar vita a un consorzio per l’acquisizione di Alitalia.
Dunque Alitalia non tratta direttamente con le due compagnie?
Formalmente è Ferrovie che gestisce tutto il processo, anche se i commissari di Alitalia sono coinvolti perché sono loro che conoscono lo stato di salute della compagnia. Tuttavia, a causa della scarsa comunicazione del governo nei nostri confronti, fa sì che in realtà non sappiamo chi sta trattando con chi e soprattutto quale potrà essere la compagine finale della nuova compagnia. Anche perché mancano ancora molti soldi, circa due miliardi, per il rilancio di Alitalia.
Sono due compagnie affidabili quelle di cui stiamo parlando?
Assolutamente sì. EasyJet è la terza compagnia in Europa, con la quale abbiamo relazioni sindacali basate sul rispetto reciproco. Delta è un’azienda nord americana di assoluto valore. Certo si tratta di due realtà diverse, una low cost e l’altra di lungo raggio. La sfida sarà anche quella di far convivere due partner diversi, facendoli dialogare al meglio con la futura Alitalia.
Come valuta il coinvolgimento di Ferrovie?
Ferrovie era una delle poche partecipate statali che poteva essere inserita nella trattativa, peraltro credo con poca convinzione da parte delle stesse Ferrovie. È stata una mossa con la quale il governo si è assicurato del tempo ulteriore. Anche perché in campagna elettorale si è ripetuto più volte che Alitalia non doveva essere svenduta agli stranieri, e Ferrovie era perfetta per mantenere salda questa promessa. Tuttavia la realtà dei fatti è ben diversa, e ci dice che, allo stato delle cose, sono proprio i due partner stranieri ad avere l’ultima parola sul piano industriale.
Sono stati fatti dei passi in avanti sul piano industriale?
No, anche perché ancora non ce n’ è uno. Ci era stato comunicato che per il 31 marzo sarebbe stato pronto, ma a oggi nulla di nuovo sul fronte occidentale. Sino a questo momento le uniche voci riguardano la flotta e il personale.
I 3mila esuberi, di cui si è parlato in questi giorni, sono numeri plausibili, o anche in questo caso si tratta solo di voci?
Ancora sono solo voci. Anche se nell’ultimo incontro il governo non ha confermato ne smentito.
Riguardo a una possibile quota pubblica, il ministro del Tesoro Tria ha più volte ripetuto che la soluzione sarà unicamente di mercato.
Lo stesso Di Maio ha confermato questa strada, precisando che la presenza dello stato servirebbe come eventuale garanzia per i livelli occupazionali.
Fra una soluzione di mercato e una che prevede il coinvolgimento pubblico, avreste qualche preferenza?
Quello che è importante e decisivo è il piano industriale. Nel 2008 Alitalia era pubblica, e risultati sono stati fallimentari, così come nel 2014, quando invece era privata. Ciò che conta veramente è avere un piano industriale credibile, che voglia rilanciare la compagnia, che guardi al futuro e non miope. E oggi non si vede nulla di tutto questo.
Oltre alla mancanza di un piano industriale, ci sono altri elementi che vi allarmano?
Ce ne sono molti.
Quali nello specifico?
La cassa integrazione è in scadenza il 23 marzo. La compagnia ci ha inviato la lettera per prorogarla fino a settembre. È sicuramente una mossa cautelativa, ma prima di settembre bisognerebbe conoscere il destino della compagnia. Inoltre il prestito ponte scade a giugno, e va restituito. Altro dato allarmante è che questo governo ha tagliato, a partire da quest’anno, le risorse del fondo di solidarietà del trasporto aereo, che in questi anni è stato fondamentale per far fronte a tutte le crisi, anche a quelle di Alitalia. Se dunque l’azienda si dovesse trovare nuovamente in difficoltà non ci sarebbe nessun paracadute per i lavoratori.
Qual è la vostra ricetta per il rilancio di Alitalia?
Una riconversione industriale, per riposizionare Alitalia sulle tratte di lungo raggio. Questo comporta significativi investimenti, soprattutto sulla flotta, investimenti che devono essere prolungati nel tempo. Alitalia sconta un forte ritardo nei confronti dei competitor, e negli scenari attuali quando vengono lasciate fette di mercato, queste vengono immediatamente coperte dagli altri. Sicuramente una componente pubblica può essere un bene, perché vuol dire che c’è uno stato che non si disinteressa della compagnia di bandiera. Anche perché parliamo di un’azienda che dal 2008 ha perso 6-7mila posti di lavoro, ed è finito il tempo di chiedere i sacrifici ai lavoratori. Gli stessi contratti di lavoro, avendo costi sensibilmente più bassi, non sono in linea con le altre compagnie europee. In questi dieci anni c’è stato uno svuotamento delle competenze, soprattutto nel middle management e nelle alte professionalità come piloti e tecnici di manutenzione, e quindi bisogna colmare anche questo gap.
Ci saranno dei prossimi incontri?
A oggi non abbiano ricevuto nessuna comunicazione in merito. Abbiamo avuto, da ottobre, tre incontri con il governo, che aveva prospettato la creazione di un tavolo permanente, cosa che poi non è stata assolutamente concretizzata. Sicuramente avere uno scambio d’informazioni più frequente e poter dare il nostro contributo sarebbe un fatto positivo. Non siamo disposti ad accettare un piano industriale già preconfezionato senza il coinvolgimento delle parti sociali.
Qual è la vostra opinione, visto l’attuale stato della vicenda?
La sensazione che abbiamo è di una forte mancanza di chiarezza. Prima di tutto sul piano industriale e su come rendere nuovamente competitiva la compagnia. Ancora non sappiamo quale sarà la quota di Ferrovie, EasyJet e Delta nella futura Alitalia. C’è poca chiarezza anche nel governo sul futuro della compagnia. Questo esecutivo ha investito molto, Al livello mediatico e di propaganda, sulla vicenda di Alitalia e il suo rilancio, con il rischio, a oggi, che tutte le promesse fatte vengano disattese.
Tommaso Nutarelli
@tomnutarelli